Verso la III Conferenza
Nella confusione del dibattito istituzionale sui ruoli da assegnare a stato, regioni ed enti locali, una serie di elementi mettono in evidenza come l'ente parco, grazie alle sue finalità e dimensioni, trovi una preziosa e precisa collocazione di raccordo territoriale e progettuale cui bisogna dar voce senza timidezze.
Il dibattito in corso sui diversi ruoli istituzionali da assegnare, in base alla riforma del titolo V della Costituzione, allo stato, alle regioni e agli enti locali non si può dire che brilli per chiarezza di obiettivi. Né giova aver raccordato la questione -spesso disinvoltamente- alle pressanti esigenze di bilancio e dei tagli conseguenti. Infatti, se isoliamo la questione dei tagli dai ruoli dei diversi livelli istituzionali, contribuiamo soltanto a ingarbugliate ulteriormente una matassa già fin troppo intricata. Qualche esempio. Nessuno nega che vi sia oggi una esigenza fortissima di aiutare i piccoli comuni a collaborare per superare una frantumazione fonte di tanti guai e inadeguatezze. Si è pensato, infatti, anche ad una legge ad hoc. Poi però si chiede da alcune parti l'abrogazione delle province che dovrebbero operare su 'area vasta' proprio per favorire e sostenere anche l'operato dei comuni soprattutto piccoli e piccolissimi. Anche le Comunità Montane sono nate principalmente all'insegna di questa esigenza, resa anche maggiore nei territori montani soggetti ad abbandono e degrado. Accanirsi quindi, solo per esigenze sicuramente sacrosante di risparmio, rischia di mettere in ombra proprio questi ruoli oggi più validi di ieri, e quindi penalizzare quella politica di aggregazione che si dice di voler perseguire addirittura con legge. Intendiamoci bene e subito. Province e Comunità Montane hanno varie bucce da rivedere, se è vero che in non pochi casi sembrano volere operare più che su area vasta su area minima (vedi le troppe nuove piccole province istituite o proposte specie in Sardegna) mentre le comunità montane sono arrivate fino ...al mare.
Ma un conto è agire sforbiciando quasi a casaccio e un conto è mettere mano ai correttivi perché la lotta agli sprechi non può prescindere -anche se in troppi sembrano averlo dimenticato- dai ruoli. A questi esempi si possono aggiungere a maggior ragione quelli riguardanti i tanti organismi 'strumentali': consorzi, agenzie, aziende che operano generalmente in comparti settoriali destinati spesso a marciare divisi per colpire
divisi. Ecco perchè la messa a punto di efficaci politiche volte a evitare sprechi e 'doppioni' non può prescindere -prima ancora che dai tagli- da come ricondurre i troppi rivoli a sedi e strumenti idonei ad aggregare sia per dimensione territoriale (l'adeguatezza di cui parla la legge) che per tematiche quel che oggi è separato, frantumato e disarticolato. Insomma, si evitano davvero gli sprechi se si ridisegnano i ruoli e per questo le forbici non bastano. Tagliare non è condizione sufficiente per rendere più efficace e risparmiosa la nostra pubblica amministrazione.
Fatta questa premessa vengo ad una questione assolutamente ignorata finora che ritengo invece si intrecci con questo dibattito al quale può fornire non pochi e niente affatto trascurabili sbocchi. Intendo riferirmi agli enti parco. Premetto appunto: ente. Perché contrariamente ad una vulgata superficiale -ma diffusa- il parco è oggi un consolidato livello e soggetto istituzionale, non confondibile -come pure talvolta avviene anche in regioni di encomiabili tradizioni in questo settore- con i molteplici 'organi strumentali' (come è scritto negli statuti regionali) in quanto volti principalmente a gestire competenze delle regioni non delegate o trasferite agli enti locali. Un fatto che attira spesso -e non senza fondamento- sulle regioni la critica di 'neocentralismo'. L'elenco in questo caso è lunghissimo e molto diversificato anche da regione e regione, ma a nessuno risulterà difficile trovare gli esempi più macroscopicamente discutibili. Permane in sostanza una situazione ancora assai confusa per quanto concerne la definizione dei vari ruoli istituzionali -in molti casi come abbiamo visto in sofferenza riguardo al loro futuro tanto da apparire dei 'precari' che ad ogni stormir di fronda debbono 'legittimarsi' ricorrendo anche a 'rivendicazioni' poco ragionevoli e fondate- pur di giustificare la propria esistenza. Ebbene, per quanto a molti possa sembrare una affermazione bizzarra ritengo che dagli anni settanta -da quando cioè sono entrate in vigore le regioni- il solo soggetto istituzionale 'nuovo', non rimesso in discussione oggi sia proprio il parco. Certo ci vuol poco a vedere che i parchi nel loro insieme presentano ancora profonde differenze e non pochi problemi anche per la diversa storia ed età, ma in discussione non vi è oggi la scelta fatta prima ancora che dallo stato dalle regioni, di affidarne la gestione ad un soggetto istituzionale, (l'ente misto di cui parla la Corte Costituzionale), espressione delle assemblee elettive che ha -ecco la sua vera 'specialità'- compiti non settoriali quanto a finalità e competenze e opera sulla base di confini non 'amministrativi', non riconducibili cioè agli attuali confini comunali, provinciali o regionali.
A nessuno è venuto in mente, in questa caccia allo spreco con i caratteri che ho ricordato, di chiedere l'abrogazione dei parchi. Sì, qualche rarissima voce sui parchi come 'stipendifici' e già prima come 'carrozzoni' la si è sentita, ma lascia il tempo che trova proprio perché tutto si può dire dei parchi tranne che siano sovrappeso. Tanto è vero che specie quelli nazionali sono stati criticati per i troppi residui passivi, ma questo se da un lato testimonia una difficoltà politica a mettere bene a frutto le risorse non eccelse disponibili, dall'altro -e spesso- evidenzia una carenza di organici specialmente qualificati.
Tutto ciò naturalmente non significa che nel momento in cui si debbono ridelineare con il nuovo codice delle autonomie i vari ruoli istituzionali -e anche per evitare una conflittualità che non giova a nessuno- non si possa e non si debba a sedici anni dalla entrata in vigore della legge 394 e trent'anni buoni dalla istituzione dei primi parchi regionali, verificare se e come l'ente parco possa giocare un ruolo in parte nuovo o comunque 'arricchito' nel nuovo contesto non solo istituzionale. Ma questa esigenza -di cui sicuramente dobbiamo oggi tener conto- va innegabilmente in direzione opposta a quella fortunatamente sostenuta da pochissimi e cioè che i parchi vanno 'ridimensionati' o tenuti a stecchetto per 'salvare' altri più precari e traballanti ruoli. Va detto, semmai, che avere rinunciato ad una riflessione meno impacciata e timorosa sulla legge quadro, ma anche su molte esperienze regionali -che nessuno può ragionevolmente mettere sul banco degli accusati- non ha giovato a far emergere con maggiore chiarezza il ruolo dei parchi oggi. Vi è stata e per molti versi perdura, infatti, una qualche incertezza ed esitazione a riconoscere che la validità e ragione di fondo di un parco e del suo ente di gestione stà proprio nella sua ambizione ad occupare uno spazio istituzionale e progettuale 'sistemico', ossia non meramente settoriale e gregario in questo o quell'ambito (qualità dei prodotti, turismo, etc
) che hanno ovviamente un senso, ma solo se ricondotti ad una progettualità complessiva rintracciabile in primo luogo nella pianificazione. Questa timidezza a riconoscere al parco un ruolo strategico niente affatto marginale e casuale sotto il profilo istituzionale, ha contribuito in più d'un caso a defilarne la presenza e a ridimensionarne la funzione o di contro ad affibbiargli ruoli impropri. Eppure il dibattito istituzionale in corso, con quei risvolti ambigui e confusi che ho ricordato, confermano che proprio dal parco può venire un contributo importante di chiarezza che può aiutare a imboccare la strada giusta, anche in quelle situazioni in cui è fin troppo evidente il rischio di approdi fasulli come nel caso delle province e delle comunità montane.
Vediamo in che senso e perché il parco e l'ente istituzionale anziché essere considerata presenza ingombrante deve essere considerato sotto ben altro profilo. Su un punto ci siamo già soffermati; quello relativo all'aggregazione dei comuni chiamati oggi a interpretare in maniera del tutto nuova una dimensione 'locale' non più riconducibile al vecchio municipalismo (il glocale su cui tanto si è detto e scritto), ma anche a quello delle province che potrebbero rischiare, nonostante le invocazioni a contrario, di avvitarsi in politiche tutt'altro che di area vasta. Va aggiunto, inoltre, che anche per le regioni si pone non solo il problema di quali competenze debbano essere loro assegnate, ma pure come esse debbano essere gestite per evitare quel 'neocentralismo' che spesso non a torto si rimprovera loro. Un atteggimento che accomuna quella miriade di enti, aziende e consorzi a cui non si pone rimedio solo con i tagli oggi invocati.
Un altro profilo a questo strettamente connesso è quello delle nuove esigenze poste da cambiamenti e rischi ambientali. Le politiche che oggi si prospettano su scala internazionale e comunitaria hanno tutte in comune un segno: la necessità di integrazione. Si è visto infatti che il settorialismo non paga, anzi costa.
Gli esempi abbondano e ci limitiamo a ricordarne alcuni. Il rapporto agricoltura-ruralità dove prevale ancora la prima voce a danno di quella tutela della biodiversità, dei prodotti di qualità, di agriturismo, etc
che pure ritroviamo in tanti documenti. Il binomio pesca e tutela del mare dove i danni alla biodiversità risultano insostenibili anche economicamente per il calo impressionate di pescosità. Un dato di fatto che ripropone come scottante la vecchia e irrisolta questione delle Aree Marine Protette che il Ministero continua gestire in maniera burocratica ed in palese contrasto con la legislazione quadro. Non meno evidente la situazione relativa alle risorse energetiche rinnovabili dove eolico, biomasse e altro non sono certo gestibili, né separatamente, né su scala microcomunale e talvolta neppure provinciale. Ora da questi, come da tanti altri esempi che si potrebbero agevolmente trovare, emerge quell'esigenza di gestione ai livelli di 'adeguatezza', spesso e specialmente per i profili ambientali, non rinvenibili nella dimensione comunale o provinciale e neppure regionale. Ecco dove il parco per le sue finalità e dimensioni appare in molti casi come il livello più opportuno per una gestione 'adeguata'.
Lo si è visto chiaramente nel caso degli incendi che questa estate hanno divorato boschi e pinete in alcuni dei più importanti parchi meridionali. L'azione di prevenzione e soprattutto di intervento non è notoriamente affidata ai parchi, ma è ad essi che sono state ricondotte molte critiche e censure per come sono andate le cose. Ora questa vicenda mostra chiaramente che anche la fase preventiva non può prescindere da una adeguata mappatura e monitoraggio di territori non circoscrivibili alla dimensione comunale. D'altra parte non è neppure pensabile che ciò che compete oggi ai comuni o alle province in materia sia semplicemente trasferibile ai parchi. Tuttavia -risorse finanziarie a parte, argomento su cui regna la massima confusione- è altrettanto innegabile che un ente responsabile della tutela ambientale e della biodiversità non possa rimanere estraneo da questa complicata gestione. Innanzitutto attraverso un coinvolgimento del suo personale di vigilanza, insostituibile prima, durante e dopo gli eventi distruttivi.
Mentre nei parchi regionali ciò avviene abbastanza agevolmente per la diretta dipendenza della vigilanza dall'ente parco, non è così nei parchi nazionali dove la vigilanza dipende a tutti gli effetti dal Corpo Forestale dello Stato. Scelta questa molto contestata già al momento del varo della legge quadro del '91, e che oggi si evidenzia macroscopicamente nella sua erroneità e incongruenza. Insomma i parchi nazionali al pari di quelli regionali debbono avere piante organiche adeguate non ricalcate su moduli burocratici indifferenziati ministeriali e che riguardino tutto il personale dell'ente senza eccezione alcuna dalla vigilanza al direttore. Il personale dei parchi deve essere complessivamente adeguato alla complessità delle sue funzioni e non eterodiretto. Ecco una prima non trascurabile lezione che viene dagli incendi di questa estate. Ma non è la sola. Se gli incendi hanno riproposto forse per la prima volta in maniera chiara alla questione di cosa deve fare il parco e come in rapporto alle altre istituzioni, le scadenze politico-istituzionali -a partire dal nuovo codice delle autonomie- rendono urgente che questa riflessione si allarghi per vedere cosa va meglio precisato anche in base alla legge quadro. Potremmo prendere le mosse dal timore diffuso specie nel '91 -ma anche dopo- che il parco potesse diventare un ente 'invasivo', un po' troppo impiccione che mette bocca in troppe cose. Tanti non mancavano, ad esempio, di ricordare ad ogni piè sospinto che l'ente parco non doveva direttamente operare per coinvolgere i vari interessi di cui avrebbero dovuto occuparsi esclusivamente gli enti locali.
Anche per questo probabilmente da più parti e in tempi diversi si è concepito il parco alla stregua di una Agenzia che è notoriamente cosa assai diversa da un soggetto istituzionale. D'altra parte se si va a vedere uno degli articoli più dimenticati e ignorati della legge quadro l'art.7 (Misure di incentivazione) e si scorre l'elenco degli interventi che il parco deve privilegiare d'intesa con i comuni e le province, 'fuori' resta davvero poco. Si va infatti dal restauro dei centri storici e di edifici di particolare valore storico e culturale al recupero degli abitati rurali, dalle opere igieniche ed idropotabili alle opere di conservazione e di restauro ambientale ivi comprese le attività agricole e forestali, dall'agriturismo alle attività sportive compatibili, alle strutture per la utilizzazione di fonti energetiche a basso impatto ambientale quali il metano e altri gas. E tutto ciò si estende anche alle iniziative dei privati, singoli o associati. L'articolo è rimasto purtroppo lettera morta a quasi a tutti i livelli, nessuno escluso. Ma resta un articolo importantissimo per almeno due aspetti. Il primo è che sancisce l'esigenza di interventi concordati tra il parco con gli enti locali da un lato e le regioni e lo stato dall'altro. Il secondo è che sancisce di fatto la non settorialità degli interventi che riguardano l'ambiente e il territorio compreso nell'area protetta nel suo rapporto anche con l'esterno a tutto campo.
Per ognuno di quegli interventi previsti e prescritti (anche se poi ignorati) si percepisce chiaramente la 'connessione' con quelle finalità generali del parco. E si percepisce pure ecco il punto che vorrei sottolineare- la sua attualità rispetto al dibattito istituzionale in corso e sui vari ruoli dei diversi soggetti istituzionali. Credo risulti evidente -finanziamenti a parte- che il parco tramite l'art.7 è chiamato a mettere in relazione i singoli interventi dei comuni e delle province con il contesto territoriale dell'area protetta e quindi anche degli enti locali tra di loro. Torna nuovamente la questione dell'adeguatezza dei livelli di intervento. Il parco consente di mettere in relazione -senza mortificarne i ruoli anzi valorizzandoli- i comuni specialmente piccoli e questi con la provincia per un disegno che da soli non potrebbero (se non malamente) perseguire. Non ci vuol molto a capire che stiamo toccando aspetti tra i più delicati e qualificanti del dibattito istituzionale, ovvero quelle esigenze di armonizzazione 'federalista' che il nuovo codice deve riuscire a far prevalere sulla guerra dei bottoni in corso. La Terza Conferenza Nazionale dei parchi di cui da tempo si parla con troppa vaghezza e incomprensibili pause ...di riflessione, dovrebbe soprattutto fare il punto su questi aspetti, che toccano i nervi più scoperti dei parchi e del loro ruolo che rischia di uscirne sbiadito, quando invece andrebbe rilanciato nell'interesse del 'sistema', sia dei parchi, che delle istituzioni. E' un passaggio ineludibile e richiede innanzitutto che il campo sia sgombrato da idee strampalate, come quella di affidare l'approvazione dei piani dei parchi (che sono ancora troppo pochi e non sempre adeguati) alle province.
Renzo Moschini
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