Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 52 - GIUGNO 2008



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Dagli equilibri naturali all'ipotesi Gaia: percorsi dalla storia dell'ecologia

Una delle scienze più "giovani" mostra tutta la sua vitalità nelle molte correnti e visioni cui ha dato vita: dai biomi agli ecostistemi, dagli habitat alla biosfera, dalla geografia vegetazionale ai cicli di materia ed energia.
Molti spunti di riflessione ed una base culturale indispensabile per le aree protette
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«L'ecologia è, teoricamente, lo studio dell'habitat degli esseri viventi […]. Con maggior aderenza alla concezione odierna, l'ecologia può essere definita 'scienza degli Ecosistemi'» (Duvigneaud, 1979, p.231). Con questa chiara e sintetica definizione Paul Duvigneaud inizia la sua esposizione dei principi di base dell'ecologia notando incidentalmente che «l'ecologia esiste da sempre» e che il suo «scopo principale è quello di fornire la sintesi di un numero immenso di conoscenze acquisite empiricamente nel mondo». A suo giudizio «un agricoltore esperto, un taglialegna, un pescatore, un cacciatore ugualmente esperti sono stati in tutti i tempi ecologi di valore, anche se inconsapevoli» (Duvigneaud, 1979, p.231). Le origini dell'ecologia, infatti, si perdono nella storia delle diverse scienze naturali, ma per arrivare all'ecologia come scienza consapevole di se stessa bisogna aspettare il XX secolo.
L'ecologia si occupa della relazione tra organismi e ambiente organico e inorganico, dei flussi di materia ed energia negli Ecosistemi e dell'impatto antropico nell'ecosfera. Nasce dalla laicizzazione degli equilibri naturali linneiani nel contesto della rivoluzione industriale, quando acquistano un peso crescente l'interesse per lo spazio planetario di von Humboldt e la concezione darwiniana del tempo. Come scienza unitaria emerge dalla confluenza di tre grandi percorsi disciplinari estremamente variegati al loro interno: la sociologia vegetale, il pensiero popolazionale e le scoperte sui cicli minerali. Ad essi si accompagnano a partire dagli anni Trenta del Novecento gli studi sulla termodinamica e sulla struttura e il funzionamento dei sistemi, mentre dagli anni Sessanta una grande varietà di discipline alcune di carattere naturale (la climatologia, la paleontologia…), altre umano (la sociologia, l'antropologia…), altre ancora teoriche (le matematiche del caos, la teoria delle probabilità…) ne arricchiscono la riflessione. Un momento particolarmente significativo nel processo che ha condotto all'emergere e allo strutturarsi della scienza ecologica si ha alla metà del Novecento, quando le scienze del vivente e le scienze del mondo inorganico incontrano la Cibernetica e la Teoria dei Sistemi.
In questo spazio multidisciplinare costantemente dinamico e permeato da molteplici suggestioni, dalla metà del XIX secolo le pratiche sperimentali intersecano i dibattiti teorici sempre attuali, in un costante richiamo ai valori e alle tradizioni epistemologiche che caratterizzano la modernità delle scienze biologiche.

Le origini dell'ecologia
Le prime riflessioni sui cicli naturali, sui rapporti reciproci tra i viventi e sulla struttura delle comunità si trovano, già nel XVIII secolo, negli scritti di Georges Buffon e Carl von Linnè, studiosi distanti nelle loro posizioni, ma con una medesima sensibilità scientifica. I loro resoconti sono prevalentemente descrittivi (2) e inseriti all'interno di una 'teologia naturale' che conferisce un luogo privilegiato all'uomo e cerca l'ordine e l'equilibrio del mondo vivente.
Un secolo più tardi, le fondamenta teoriche su cui erano edificate le loro 'storie naturali' crollano. La teologia naturale vacilla insidiata dallo "scientismo", gli studi biologici perdono il loro carattere tipicamente 'descrittivo' e assumono connotati più specificamente 'esplicativi', basandosi su osservazioni, ipotesi ed esperimenti (Mayr, 1998). L'intero secolo è caratterizzato dalle grandi spedizioni esplorative, la scoperta del tempo come parametro decisivo della dinamica delle popolazioni, la ricerca degli schemi dei grandi cicli: «La terra [appare come] il risultato di una ristrutturazione fondamentale dei rapporti tra la fisica e la chimica da un lato, e le scienze del vivente dall'altro» (Deléage, 1994, p.36).
In questo periodo, attraverso diversi filoni d'indagine, vengono enucleati e definiti i concetti ancora oggi fondamentali per l'ecologia.
A gettare le basi dei futuri studi ecologici è la 'geografia vegetale' di Alexander von Humboldt (3) che si interroga sulle cause delle distribuzioni vegetali (Humboldt, 1998). Von Humboldt affronta lo studio dei legami del mondo vegetale con l'ambiente abiotico cercando di individuare le associazioni locali di piante in diversi climi, isolando le 'forme di crescita' (cioè le caratteristiche strutturali della pianta adattata al proprio ambiente) e il successivo 'paesaggio vegetale' a cui danno origine. I botanici del XIX secolo, che dalle sue osservazioni traggono ispirazione, studiano le 'comunità vegetali', applicandosi in particolare alla ricerca della distribuzione geografica dei raggruppamenti. Le associazioni stabili tra piante diverse in determinati climi diventano così importanti che il concetto di specie, allora basilare, viene sostituito da quello di 'formazione fitogeografica'. La formazione fitogeografica, definita da August Grisebach nel 1838, indica un gruppo di piante con un carattere fisionomico ben definito che costituisce una formazione vegetale determinata (come una foresta, una prateria, etc...). All'interno delle formazioni vegetali si verifica coabitazione di specie distinte che realizzano con mezzi diversi il loro adattamento ad un medesimo ambiente (Acot, 1989a). Le cause della distribuzione di tali formazioni vegetali sono individuate, negli stessi anni, da Alphonse de Candolle (4), non solo nel clima, come fino ad allora si riteneva, ma anche nel ruolo della vegetazione precedente, nel grado d'umidità e nel tipo di rocce e di suolo sottostante che impongono una sorta di 'rotazione naturale' determinata (Candolle, 1855).
Lentamente si origina allora una scienza interessata alle relazioni tra vegetali e ambiente abiotico. Concentrandosi sullo studio dell'economia delle piante, Warming per primo nel 1893, utilizza la parola 'ecologia' e la visione ecologica in un trattato scientifico di geobotanica, la cui grande innovazione rispetto alle opere precedenti consiste nel considerare molteplici livelli d'integrazione (Acot, 1995). Con Warming il filone ecologico più vicino alla botanica si distingue da quello prettamente floristico, concentrandosi sullo studio dell'economia delle piante: le loro esigenze, i loro modelli d'adattamento alle condizioni esterne e i loro comportamenti. Allontanandosi dalla teoria darwiniana, Warming, conferisce un ruolo secondario alla selezione e insiste sull'adattamento diretto all'ambiente come fattore discriminante (5). Sostiene che il campo specifico dell'ecologia è proprio lo studio di come specie e comunità reagiscono ai limiti e alle possibilità offerte dal mondo fisico. Con la sua opera la geobotanica lascia il posto alla 'ecologia vegetale' che si applica a concrete questioni di fisiologia vegetale (Warming, 1909).
Negli stessi anni ad una ecologia europea che "fotografa" lo stato della vegetazione, gli statunitensi oppongono una ecologia "cinematografica", interessandosi non dell'oggetto ma del processo (Acot, 1989a). La loro attenzione è rivolta soprattutto alle 'successioni vegetali', quindi allo studio di una dinamica. Henry Cowles esamina lo sviluppo del paesaggio vegetale di una regione, sostenendo che il 'climax' è sempre e soltanto illusorio perché uno stato di reale equilibrio non può mai essere raggiunto (Cowles, 1901). La nozione di climax è fondamentale anche nei lavori di Frederic Clements che per primo si accorge che la tendenza della vegetazione a stabilizzarsi è la base della 'omeostasi' degli ecosistemi (cioè della loro tendenza a restare in equilibrio ed opporsi alle trasformazioni), ed estende all'intera comunità vegetale i modelli comportamentali validi per le singole piante, con una visione dichiaratamente organicista (Clements, 1905).
Il complesso di questi studi botanici, definiti di 'sociologia vegetale', riveste grande importanza nella storia dell'ecologia perché individua le interrelazioni che esistono tra ciascuno degli elementi di un sistema strutturato e mette in evidenza il ruolo di specifici fattori ambientali, delimitando delle unità ecologicamente significative.
Agli studi botanici si accompagna un altro ambito di ricerca che concorre alla nascita dell'ecologia: lo studio del mondo inorganico.
Il problema dell'assimilazione dei minerali da parte delle piante e la successiva assimilazione animale è presente già nelle opere di Antoine-Laurent Lavoisier alla fine del XVIII secolo quando ancora il 'vitalismo' costituisce il punto di vista dominante. Solo alla metà del secolo successivo, grazie alla diffusione dei principi della termodinamica è possibile valutare il flusso di energia nei sistemi viventi e le sue trasformazioni in termini strettamente ficico-chimici (Drouin, 1993). Lo studio della composizione del suolo e del ruolo nutritivo dei minerali attinti dalle piante, nonché dell'importanza della restituzione al suolo degli elementi di scarto, hanno inizio intorno al 1840 per opera di Justus von Liebig. Grazie all'assorbimento dell'energia solare, scopre Liebig, le piante funzionano e producono materia organizzata ed organico. Il legame tra i due regni è costituito dall'atmosfera. Il vivente si compone di un piccolo numero di elementi che si muovono all'interno di cicli a loro volta facenti parte di cicli più ampi: la materia non fa che cambiare posto (Acot, 1989b).
Nel frattempo un terzo filone di ricerca contribuisce in maniera determinante alla nascita e alla definizione del campo d'applicazione della nascente ecologia: il 'pensiero popolazionale' e lo studio della dinamica delle popolazioni. Seppur ignorato dai geobotanici, il problema degli 'equilibri naturali' linneani riemerge nelle ricerche sull'evoluzione che dominano il panorama scientifico del XIX secolo. Secondo la teoria di Carl von Linnè, l'economia della natura stabilisce l'ordine e le proporzioni delle specie tra loro in maniera tale per cui ogni cambiamento non può che essere illusorio mentre la stabilità è la vera essenza del mondo naturale (Linneo, 1982). Già tra i suoi contemporanei, la teoria linneiana è accolta con voci di dissenso, ma ad elaborare la prima grande teoria evoluzionista è Jean Baptiste Lamarck nella sua "Philosophie zoologique" del 1809. La causa dei cambiamenti è da individuarsi, a suo parere, non in un intervento miracoloso, quanto in eventi naturali: l'ipotesi evoluzionistica prevede che sia un innato impulso al progresso, presente in tutti i viventi, a provocare cambiamenti sostanziali dall'imperfetto al perfetto, in costante dialettica con l'ambiente (Lamarck, 1976). Lamarck indaga, infatti, il ruolo dell'ambiente nella costituzione degli organismi: utilizza il termine "milieu", anziché "nature", che meglio indica il mezzo ('medium') in cui gli organismi trovano l'insieme delle condizioni necessarie per l'esistenza. Due ambienti interagiscono: quello esterno che presenta le condizioni al contorno che innescano il meccanismo di cambiamento, e quello interno che presenta le risposte adeguate a mutate condizioni d'operatività ambientale. Gli organismi "incorporano" in un certo senso il loro ambiente esterno nel momento in cui, a causa di mutate condizioni ambientali, sviluppano o inibiscono l'uso di un determinato organo (legge dell'uso e del disuso) e questo carattere che viene acquisito nel corso dell'esistenza può essere trasmesso alla prole (legge dell'ereditarietà dei caratteri acquisiti), permettendo così un incremento della 'fitness'. Un insieme di organismi si modifica perché tutti gli elementi dell'insieme subiscono la medesima storia evolutiva o si estinguono (teoria trasformazionale).
La teoria di Lamarck provoca grande fermento nel mondo scientifico (in particolare sono famose le dispute tra Saint-Hilaire, convinto lamarckiano, e Cuvier, fautore della teoria delle catastrofi). Sebbene abbia avuto il merito di evidenziare che qualunque cambiamento nel mondo fosse il risultato di una legge naturale e non di un intervento miracoloso, resta comunque legata all'idea che le variazioni siano sempre e solo prodotte da cause esterne.
Pur non negando l'influenza dell'ambiente come fonte di variabilità ed evoluzione (la seconde parte dell' "Origine delle Specie" è infatti dedicata alla relazione organismo-ambiente), gli studi di Charles Darwin partono dalla confutazione del 'finalismo' e del 'determinismo geografico' per spiegare la discontinuità e la dispersione delle specie sulla Terra. Darwin stesso ammette il suo debito intellettuale verso alcuni studiosi dell'epoca: Lyell, padre della geologia, per la sua spiegazione dell'equilibrio come originato da forze antagoniste di carattere materiale; Malthus per l'elaborazione della teoria popolazionale della lotta per l'esistenza (6); Lamarck da cui accoglie l'idea dell'esistenza di cause naturali e non divine delle variazioni e il ruolo dell'ambiente come fonte di variabilità ed evoluzione (7), ma di cui rifiuta l'idea di una interazione condizionante organismo- ambiente ritenendo che essi interagiscono solo nella selezione. Inoltre, Darwin nega il determinismo geografico e il finalismo, poiché ritiene che non bastino volontà e condizioni ambientali a spiegare l'adattamento, e si oppone alla teoria trasformazionale, sostenendo che un insieme di individui si modifica perché esistono variazioni tra gli individui ereditabili e non attraverso una variazione che interessa tutti contemporaneamente.
L'evoluzione è l'effetto dell'accoglienza riservata dall'ambiente a un determinato numero di mutazioni individuali ed è basato sul processo deterministico della selezione. A mutate condizioni ambientali rispondono variazioni individuali casuali che esistono tra gli organismi, generate da mutazioni (eventi rari ma possibili) che originano il processo di adattamento, cioè la risposta di un organismi alla situazione ambientale (8). L'aumento della popolazione genera una pressione sulle risorse tale da mettere alla prova gli adattamenti prodotti e la selezione conserva gli adattamenti più favorevoli, dando così origine al processo evolutivo e alla conseguente divergenza delle specie. Darwin nega l'esistenza di specie reali e distinte: le specie sono una ricapitolazione della storia evolutiva da un antenato comune a progressive filiazioni divergenti. Le modifiche avvengono nel tempo lentamente e costantemente fino all'estinzione o alla filiazione di una nuova specie (speciazione), dal che consegue, in totale antitesi con Linneo, che la stabilità è illusoria, mentre il cambiamento è reale e costante.
L'influenza di Darwin nella storia dell'ecologia è, però, un argomento controverso. Jean-Paul Deléage riconosce l'importanza del suo approccio allo studio delle popolazioni in cui le trasformazioni possono essere interpretate come fluttuazioni all'interno dell'ambiente (Deléage, 1994). Paul Duvigneaud lo riconosce quale fondatore di una 'geografia degli animali', parallela alla 'geografia delle piante' dei biogeografi (Duvigneaud, 1979). Ernst Mayr, dopo l'epoca della storia naturale di von Linnè, definisce l' "Origine della specie", insieme ai lavori di von Humboldt, «l'altro grande evento che influì sull'ecologia» (Mayr, 1998, p174). Per Pascal Acot, invece, il ruolo di Darwin nella storia dell'ecologia è decisamente marginale e confinato al peso che questo ha in qualsiasi opera di biologia dal 1860 in poi (Acot, 1989a). Darwin, infatti, non utilizza mai il termine "ecologia" e nessun ecologo del tempo si serve concretamente dei suoi lavori. Inoltre il suo interesse è rivolto ai processi piuttosto che alle 'situazioni' e in questo si distanzia notevolmente dai "pre-ecologi" (quasi esclusivamente botanici) i quali non sono evoluzionisti ma basano il loro punto di vista sulle 'successioni'. In ogni caso, come ricorda ogni buon manuale, il termine ecologia viene coniato nel 1866 proprio da un darwiniano (anche se lamarckiano per quel che riguarda le cause dell'evoluzione): Ernst Haekel (Montalenti, 1967).
Con il termine "ecologia" Hackel intende la scienza dei rapporti tra gli organismi e il mondo esterno, nel quale si possono riconoscere i fattori della lotta per l'esistenza. Fra le condizioni di esistenza di natura inorganica alle quali un organismo deve sottomettersi, rientrano in primo luogo le caratteristiche fisiche e chimiche dell'habitat, il clima, i caratteri chimici, la qualità dell'acqua, la natura del suolo, etc... Sotto il nome di condizioni di esistenza sono comprese l'insieme delle relazioni reciproche tra gli organismi, sia favorevoli che sfavorevoli. Haekel è un convinto sostenitore di una visione unificata dell'universo in cui la natura serva da fonte di verità e da modello per la vita degli uomini ma, nonostante ciò, il suo intento è quello di riorganizzare in maniera generale il sapere biologico piuttosto che sostanziare la nuova scienza che lui stesso ha battezzato. Di questa nuova scienza battezzata ma non (consapevolmente) praticata è necessario individuare un oggetto di studio nella complessa e interconnessa varietà del vivente.
Già nel 1877 Karl Möbius, nei suoi studi sulle ostriche, definisce 'biocenosi' la comunità nella quale la somma delle specie e degli individui, essendo reciprocamente limitata e selezionata dalle condizioni esterne di vita, ha, attraverso successive riproduzioni, continuato ad occupare un determinato territorio, detto 'biotopo' (Deleage, 1994). Eppure l'importanza dei fattori numerici in una biocenosi, quindi delle variazioni reciproche di popolazioni, soprattutto in rapporto al loro ruolo di prede/predatori, viene presa in considerazione soltanto a partire dal 1927, anno di pubblicazione dell' "Animal Ecology" di Charles Elton. Traendo spunto dagli studi sulle associazioni biotiche (9) e sulle relazioni alimentari, Elton formula il concetto di 'ciclo' e 'catena alimentare', il concetto di 'nicchia' (10) e quello di 'piramide dei numeri' (11) (Elton, 1927). I suoi lavori danno un forte impulso alla matematizzazione delle relazioni dinamiche delle popolazioni che si sviluppa a partire dagli anni Venti del Novecento, caratterizzando l' "età aurea" dell'ecologia teorica.
Infatti, proprio negli anni Venti, Alfred Lotka e Vito Volterra propongono la formalizzazione matematica delle associazioni biologiche e dimostrano che le fluttuazioni delle popolazioni attorno alla loro media sono periodiche: fluttuazioni attorno ad uno stato stazionario (Lotka, 1925). Gli studi vengono portati avanti da Carl Friedrich Gauss che, analizzando le oscillazioni del sistema preda-predatore, elabora il principio di 'esclusione competitiva' (12) (Gauss, 1965). Il concetto di 'biocenosi' diventa operativo come insieme di nicchie in un determinato biotopo, mentre per indicare l'unità biogeografica costituita da una formazione vegetale e dalla formazione animale corrispondente (per esempio l'insieme di tutte le praterie o di tutti i deserti o le foreste di latifoglie…) viene utilizzato il termine 'bioma' (13).

La definizione degli Ecosistemi
Negli anni Trenta il dibattito sulla struttura e le funzioni delle comunità vegetali impegna gli studiosi più illustri del mondo scientifico anglosassone, soprattutto nell'ambito dell'ecologia dinamica. Clements già nel 1901 aveva introdotto in ecologia la spinosa questione dell' 'organicismo' sostenendo che le comunità vegetali possono essere studiate come se fossero un unico organismo dotato delle caratteristiche peculiari dei viventi. Pur essendo provvista di un forte valore euristico, la metafora organicista (14), che Clements usa in tutti i suoi lavori, crea un senso di disagio nel mondo scientifico e, come prevedibile, dà vita, ad un acceso dibattito sulle basi epistemologiche della scienza ecologica.
Tra le reazioni più immediate c'è quella di Henry Gleason che rifiuta totalmente la nozione di 'associazione vegetale' (una comunità vegetale matura e strutturata) ritenendo che in natura si incontrino solo unioni fortuite di individui, prodotte da migrazioni e da selezioni operate dall'ambiente (15). Al mutare di questi fattori muterà, conseguentemente, la composizione vegetale: non si può parlare, dunque, di associazioni distinte ne' tanto meno di climax, ma semplicemente di un 'continuum' vegetale sempre in equilibrio temporaneo e relativo. Gleason si oppone alla visione organicista di Clements facendo dell' 'individuo' il riferimento fondamentale in ecologia (Gleason, 1939) ma utilizza, riferendosi alle unità vegetali, un linguaggio proprio delle società umane e cade, quindi, in una evidente metafora sociale: cos'è, infatti, l'individualismo se non uno specifico comportamento nei confronti della società? (Drouin, 1993). La reazione critica più importante all'impostazione di Clements è senza dubbio quella di Arthur Tansley, creatore del concetto di Ecosistema. Nell'articolo "The use and the abuse of vegetational concept and terms", apparso su "Ecology" nel 1935, Tansley critica aspramente la proposta di Clements con la quale, scrive, «I have never agreed – e, aggiunge - when it is pushed to its logical limit and perhaps beyond […] the revolt becomes irreprensible» (Tansley, 1935, p.285). Riferendosi agli studi di Clements sul climax, Tansley considera, prima di tutto, che nell'evoluzione delle successioni vegetali lo sviluppo, lungi dal ripercorrere quello di un organismo (accrescimento, stadio adulto, morte), segue un andamento diverso fatto di progressione ma anche di fasi di stallo o di regressione. Egli conclude che, sebbene un'associazione vegetale presenti sufficienti caratteristiche per essere considerata un 'quasi-organismo', è impossibile che essa presenti quel carattere di forte integrazione che è proprio delle società umane o di molte società animali.
Per i biologi l'idea che la comunità biotica sia un organismo non è sostenibile perché un organismo è un animale individuale o una pianta e non si può, ne' si deve, applicare ad altro un termine tanto chiaro. Paradossalmente, pur essendo l'intento di Tansley quello di eliminare definitivamente dalla scienza analogie improprie tra organismi e comunità, la ricerca successiva basata sul concetto di Ecosistema, vedrà molti tra i suoi esponenti più importanti sostenere, se non l'organicismo, quanto meno una posizione olista. C'è un'altra questione fondamentale. Clements utilizza il termine 'bioma' per indicare il complesso degli organismi che popolano una determinata area, ma secondo Tansley sarebbe più appropriato assumere l'intero sistema – l'Ecosistema – come unità fondamentale, «including not only the organism-complex, but also the whole complex of physical factors forming what we call the environmental of the biome- the habitat factor in the widest sense» (Tansley, 1935 p.299).
Tansley desidera rendere conto della solidarietà interna della biocenosi e del biotopo ricorrendo alla nozione di sistema (Acot, 1989b). Non si tratta soltanto di una applicazione della Teoria dei Sistemi all'ecologia ma della costruzione intenzionale di un concetto che si integri appieno nella storia dell'ecologia. Il sistema ecologico di cui parla Tansley è un sistema inteso nel senso fisico del termine, il cui modello può essere applicato a tutta la scala di enti conosciuti dall'atomo all'universo. Nonostante la nostra mente li concepisca come entità separate, gli Ecosistemi s'incastrano gli uni negli altri, si sovrappongono tra loro, interagiscono reciprocamente.
In questa visione l'ambito degli studi di competenza dell'ecologo si amplia e la comprensione dei problemi diventa più profonda. L'Ecosistema costituisce un concetto unificatore che si colloca all'intersezione di diverse discipline e collegando gli studi sulla vegetazione, sulla popolazione animale e sul mondo inorganico, fornisce una interpretazione cibernetica e termodinamica dei processi evolutivi.
Vedere il mondo come un insieme di sistemi naturali attraversati e animati da flussi energetici porta Raymond Lindeman, negli anni Quaranta, ad elaborare un approccio di tipo 'trofico-dinamico'. I viventi sono accumulatori e convertitori d'energia, 'sistemi termodinamici' in costante scambio con l'ambiente esterno. La dinamica delle relazioni trofiche si basa sul trasferimento di energia all'interno dell'Ecosistema a partire dai produttori fino alla chiusura del ciclo per opera dei decompositori. E' dunque possibile determinare la produttività biologica di un Ecosistema, misurare la quantità di calore ricevuta e i valori energetici della biomassa (16). I risultati vengono espressi in calorie utilizzando, quindi, la stessa unità di misura per fattori biotici e abiotici. Simili sistemi ecologici, sostiene Lindeman, pur tendendo all'equilibrio trofico tramite utilizzazione e rigenerazione di materia organica, non riescono a raggiungerlo, al contrario di quanto avviene nella totalità della 'Biosfera'.
Gorge Hutkinson, figura chiave della storia dell'ecologia, è interessato al lavoro del giovane Lindeman perché egli stesso si occupa di cicli di minerali individuando i rapporti tra la produzione primaria degli Ecosistemi locali e i vettori grazie ai quali questi prodotti circolano sulla terra. Sono suoi allievi, oltre a Lindeman anche Rachel Carson (ispiratrice del movimento ecologista), Robert Mc Arthur e Ramon Margalef, i fratelli Odum e gli studi di Vladimir Vernadskij sono da lui divulgati in Occidente. Con la sua opera il problema centrale dell'ecologia diventa quello dei cicli, ampiamente sviluppato in seguito da Margalef il quale per primo introduce la teoria dei sistemi in ecologia (Margalef, 1977). La schematizzazione cibernetica degli Ecosistemi operata da Margalef permette di individuare gli scambi di materia ed energia che originano l'evoluzione a livello di specie e le successioni a livello di sistema. Il tutto su due piani: il primo che individua le regolarità statiche, il secondo che vi aggiunge il tempo. I concetti della termodinamica sono a questo punto essenziali perché spiegano alcune limitazioni nella costituzione degli Ecosistemi dovute al fatto che le forme organizzate si producono sul confine tra ordine e disordine. I sistemi viventi sono intesi come sistemi termodinamici basati sul trasferimento di energia all'interno di cicli che vanno dai produttori ai consumatori.
A dare ordine, partendo dai cicli trofico-energetici di Lindeman, le analisi biogeochimiche di Hutkinson e le formalizzazione di Margalef, all'intera materia prodotta dalla teoria degli Ecosistemi, negli anni Cinquanta, è Eugene Odum con la sua Ecologia Ecosistemica. L'opera fondamentale di Eugene Odum è "Foundamentals of Ecology" la cui prima pubblicazione risale al 1953. Intenzione di Odum è dare conto, attraverso l'applicazione dei principi cardine della teoria dei sistemi, delle dinamiche ecosistemiche in cui diversi componenti interagiscono su più livelli con l'ambiente funzionale in un progressivo aumento di complessità. Odum intende gli ecosistemi (17) come costituiti da cicli interconnessi e interdipendenti, operativamente inseparabili. In tal modo propone di aprire la scatola nera dei comportamentisti per analizzare i processi di decomposizioni che controllano la riciclizzazione dei nutrienti, la produzione di sostanze regolatrici, la modificazione dei materiali inerti della crosta terrestre, la capacità di controllo omeostatico e di autoregolazione dei cicli interni utili ad accelerare delle deviazioni positive o neutralizzare quelle negative in funzione della crescita e sopravvivenza degli organismi. Assumendo i principi della termodinamica Odum enuncia un principio di stabilità per cui in un sistema chiuso (per esattezza, in termini moderni, di parlerebbe di sistema aperto con chiusura operazionale) il flusso di energia si produce a senso unico modificando il sistema fino a raggiungere condizioni di stabilità. Tale principio si applica alla questione trofica definendo la produttività primaria come la velocità alla quale l'energia raggiante viene trasformata dall'attività fotosintetica degli organismi in sostanze organiche utilizzabili come cibo. La catena alimentare che ne deriva è inserita in una più generale rete alimentare in cui gli organismi vengono classificati non in base alla specie ma alla funzione, quindi in base al livello trofico. Gli schemi che descrivono la struttura trofica generali di un ecosistema possono essere inseriti in schemi più grandi: i cicli biogeochimici studiati da Hutkinson su scala planetaria. Tutto ciò è rappresentato grazie a schemi di flussi di energia costituiti da "scatole nere" collegate da relazioni di input-output: un modello compartimentale (Odum, 1969).
Odum, inoltre, primo fra gli ecologici, si interessa al problema dell'impatto antropico sugli Ecosistemi invitando a tenere presenti i possibili problemi connessi ai cosiddetti 'boomerang ecologici', per cui una conseguenza non prevista e dannosa di una modificazione ambientale annulla lo scopo per cui quella modificazione è stata progettata. A suo parere, la pianificazione responsabile e consapevole è la più importante applicazione delle scienze ambientali ed è anche l'unica in grado di guidare lo sviluppo.
Aderendo in maniera entusiasta all'etica della terra di Aldo Leopold (Leopold, 1949), Odum integra alla pratica scientifica la dimensione sociale (18) ma conserva la sua fede nel progresso tecnologico. Negli anni Ottanta, infatti scrive "Ecologia per il nostro ambiente minacciato" in cui sono enunciati i principi di una ecologia olistica e lamentata la tendenza della scienza e tecnologia a trascurare l'influenza dell'intero sulla parte e viceversa.
L'Ecologia Ecosistemica rappresenta l'ultimo grande paradigma ecologico per lungo tempo rimasto incontestato. Negli ultimi anni sono state mosse, ai diversi aspetti del lavoro di Odum, numerose critiche e sono state avanzate numerose proposte alternative cui vale la pena di accennare brevemente.
Nel 1973, William Drury e Ian Nisbet attaccano il concetto di 'successione ecologica' utilizzato da Odum sostenendo che, in realtà, non si verifica alcuno sviluppo progressivo nel tempo e il mutamento della composizione del paesaggio non segue nessuna direzionalità né giunge a costituire, come vorrebbe Odum, un Ecosistema maturo (Drury, Nisbet, 1973). Ad esempio la foresta è solo un mosaico mutevole di piante: la sua evoluzione non produce nessun ordine emergente e nessuna strategia per raggiungerlo. Ogni specie, come voleva Henry Gleason, lavora per sé e la sua associazione con le altre è solo il risultato di mescolanze casuali e precarie. Così l'impostazione 'individualistica' di Gleason ritorna in voga sfidando di nuovo la teoria del 'climax' (Craig, 2001).
L'ecologia "oltre Odum" si basa principalmente sulla critica all'idea di collaborazione ed equilibrio naturale. Nel 1977 Joseph Connel e Ralph Slatyer negano che una 'specie pioniera' (19) possa preparare il terreno per avvicendamenti successivi poiché, una specie che abbia conquistato un territorio lo abbandonerebbe solo se sopraggiungessero dei 'turbamenti', cioè dei mutamenti esogeni estremi e non per lasciare "spontaneamente" il posto ad altre (Connel, Slatyer, 1977).
Una raccolta di saggi del 198520 stabilisce che non esiste nessun equilibrio perchè la nozione di climax è morta e quella di Ecosistema ha perso significato: "la natura [deve] essere considerata come un paesaggio mutevole di 'chiazze' di vegetazione […] che mutano continuamente nel tempo e nello spazio" (Worstel, 1994, p.480). Prendono il via, allora, una serie di studi storici volti a dimostrare come in natura non esista alcuna forma di 'comunitarismo' e anzi gli individui, non solo le specie, lottano costantemente gli uni contro gli altri per sopravvivere a condizioni, per lo più climatiche, profondamente instabili. Sul concetto di stabilità si basa però anche la reazione a questa serie di attacchi sferrati contro l'Ecologia Ecosistemica.
La 'stabilità' è relativa al luogo in cui l'osservatore si trova e alla scala temporale che sta utilizzando per la sua analisi: osservando il comportamento di Ecosistemi circoscritti, i loro cicli nutrizionali, la loro produttività e la loro reazione alle perturbazioni esterne si giunge alla conclusione che in ampi archi temporali le foreste, per esempio, tendono sostanzialmente alla stabilità. Si riafferma così l'idea odumiana dell'esistenza di un equilibrio naturale.
Nonostante ciò, l'idea dominante è che le forze naturali intervengono continuamente a rendere instabili gli Ecosistemi. Seguendo gli studi di Robert MacArthur (MacArthur, 1955) sull'evoluzione delle popolazioni i popolazionisti si occupano esclusivamente del numero delle varie specie e degli individui di ogni specie presenti in un biotopo, senza credere all'esistenza di nessuna proprietà emergente e (divergendo in questo anche da MacArthur) di nessun equilibrio: le popolazioni sono indipendenti tra loro e in competizione. Tra loro Daniel Simberloff, in particolare, sostiene che ogni nozione olistica (21) deve venire estirpata dall'ecologia poiché non ha alcun riscontro materiale. La natura segue le regole del caso e quindi per analizzarla è necessaria una 'scienza del probabilismo' che renda l'ecologia una branca della fisica. Ovviamente le risonanze sociali di una simile interpretazione alimentano l'idea di vivere in un mondo squilibrato e imprevedibile (Worstel, 1994).
Facendo un passo indietro, all'inizio degli anni Settanta è interessante analizzare un'altra impostazione, a vocazione più palesemente olista rispetto alle precedenti, e che, pur non essendo diventata un paradigma nel pensiero scientifico, rappresenta un passaggio molto importante per la concezione sociale dell'ecologia: l'Ecologia Globale. Già nel 1875 il geologo svizzero Eduard Suess conia il termine Biosfera per indicare l'insieme di tutti i fenomeni che si manifestano sulla terra al di sopra della litosfera e il poliedrico studioso russo Vladimir Vernadskij ne è fortemente influenzato. A suo giudizio da un punto di vista energetico lo spazio cosmico è pervaso da radiazioni che esercitano la loro azione su una regione di confine, la Biosfera la quale ha il potere di trasformarle in energia attiva di tipo elettrico. La Vita non è un fenomeno accidentale esterno, situato sulla superficie della Terra, ma fa parte della struttura e del meccanismo della crosta terrestre e assolve delle funzioni di primaria importanza per tale meccanismo (Vernadskij, 1993, p.67). Un evento eccezionale però è sopraggiunto a modificare tale equilibrio:
«Il pensiero umano ha cambiato in modo improvviso e radicale la tendenza dei processi naturali e ha modificato perfino quelle che usiamo chiamare leggi naturali» (Vernadskij, 1993, p.126).
A questo punto si entra in un campo completamente nuovo: quello della 'Noosfera', cioè la Biosfera trasformata dall'azione dell'«energia culturale umana […], un'energia legata all'attività vivente della società» (Vernadskij, 1994, p.91). La 'Noosfera' è l'ultimo dei molti stadi di evoluzione della Biosfera nella storia geologica, ed è lo stato in cui ci troviamo attualmente.[…] In essa l'uomo è divenuto per la prima volta la più importante forza geologica. La diffusione degli scritti di Vernadskij nel mondo occidentale è lenta e difficile e ancora una volta, tra coloro che scoprono e diffondono le teorie del pensatore russo c'è Hutkinson (22), il quale individua inoltre le numerose affinità tra il pensiero planetario di Vernadskij e gli Ecosistemi di Lindeman. "The Biosphere" è il titolo di un importante articolo di Hutkinson apparso su "Scientific American" nel settembre del 1970 (Hutkinson, 1970) e a cui l'intero numero è dedicato, a testimonianza del crescente interesse da parte del mondo scientifico.
Partendo dall'osservazione della composizione atmosferica e dell'oceano in cui la Vita rappresenta una contraddizione per il secondo principio della termodinamica perché evolve verso la complessità eliminando entropia, James Lovelock e Lynn Margulius formulano la famosa Ipotesi Gaia (Lovelock, 1981, 1986, 1991). L'Ipotesi Gaia postula l'esistenza di meccanismi di regolazione dell'ambiente del pianeta tale da renderlo stabile e costante nonostante le perturbazioni improvvise o progressive. Le specie e l'ambiente rimangono in uno stato di omeostasi, interagendo continuamente, finché non sopraggiunge una perturbazione superiore alle loro capacità di regolazione. Gaia è un sistema teleologico e cibernetico che funziona attraverso tentativi ed errori nella ricerca dell'omeostasi. La filiazione storica ed epistemologica che collega Vernadskij, Hutkinson, l'ecologia degli Ecosistemi e l'Ipotesi Gaia (23) meriterebbe di essere meglio conosciuta, poiché rappresenta un vero paradigma scientifico le cui applicazioni si dimostrano sempre più importanti (Grinevald, 1993, p.42).
Sul rapporto tra l'Ipotesi Gaia e l'Ecologia teorica, Edward Goldsmith sostiene che, accettando le proposte di Lovelock, il riduzionismo e l'ecologia meccanicistica non sono più difendibili ma al contempo, piuttosto che tornare ad una visione semplicemente olista à la Clements, è necessario svilupparne una versione che tenga conto dei lavori dei teorici dei sistemi. Purtroppo, secondo Goldsmith, attualmente queste preoccupazioni non sono più all'ordine del giorno. Odum, unico tra gli ecologi a prendere in considerazione l'Ipotesi Gaia, è rimasto solo dopo la trasformazione che, come accennato, è volta a rendere l'ecologia conforme alla scienza riduzionista e meccanicista in cui le parti vengono esaminate separatamente, la competizione sostituisce la cooperazione, la diversità non è più intesa come funzionale alla stabilità (24) (Goldsmith, 1993). La scienza attuale è analitica e richiede che la conoscenza, per essere esatta e matura, sia espressa in termini quantitativi. Il punto debole di questa concezione è che vede il mondo come morto, passivo e simile ad una macchina: i processi chimici che avvengono in un organismo vivente seguono le stesse leggi di quelli che avvengono in un cadavere, quindi tra loro non c'è differenza.
Stephen J. Gould ha recentemente sostenuto che il modello di Gaia non dice niente di nuovo, non fa che cambiare di metafora e la metafora non è un meccanismo. Ma, è possibile rispondere, il meccanismo è una metafora (25), e l'Ipotesi Gaia sostituisce la metafora meccanicista con quella organicista (Watson, 1992). L'idea che il mondo possa essere rappresentato come una macchina inibisce la concezione partecipativa della conoscenza e dell'esperienza. Gaia, invece crea se stessa in maniera imprevedibile e dunque l'unica conoscenza possibile è di tipo interattivo.
L'evoluzione della scienza ecologica, oltre a costituire un peculiare percorso teorico nelle scienze del vivente, rappresenta anche un'interessante fonte di analisi dell'interpretazione sociale del mondo fisico nel corso del tempo. Un percorso che guadagna un'attenzione crescente nel panorama internazionale in ambito storico ed epistemologico, promettendo interessanti spunti di riflessione futuri.

Chiara Certomà

Bibliografia

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(1) Un ringraziamento particolare al professor Pascal Acot del CNRS-Paris 1 per il suo costante appoggio scientifico e la sua amicizia.
(2) Il metodo dei naturalisti del '700, sostiene Michel Foucault, è quello di identificare, nominare e descrivere: “...durante il XVIII secolo la continuità della natura è richiesta all’intera storia naturale […] per instaurare nella natura un ordine e scoprirvi categorie generali, indipendentemente dal fatto che queste siano reali e prescritte da distinzioni manifeste, o comode e semplicemente circoscritte dalla nostra immaginazione” (Foucault, 1966, p. 164-165)
(3) Von Humboldt, partecipa a numerosi viaggi d’esplorazione su incarico di Carlo IV, nelle zone costiere delle colonie spagnole. Le sue opere sono fortemente influenzate dalla tradizione romantica tedesca nella ricerca di un’unità della natura.
(4) De Candolle si interessa, nei suoi viaggi, anche al problema della discontinuità degli esseri umani sul globo e ne individua le cause nella differenza di temperatura, luce, umidità, ammettendo tra i fattori esplicativi anche il tempo ma rifiuta l’idea di una evoluzione. Lo stesso problema, con una diversa risposta, sarà affrontato da Darwin.
(5) Non bisogna dimenticare che nel caso delle piante, grazie alla rapida e intensa proliferazione, questo tipo di adattamento all’ambiente è molto più evidente che nel caso degli animali.
(6) Secondo tale teoria gli individui entrano in competizione per le risorse dal momento che si verifica sempre un aumento geometrico della popolazione ma una progressione geometrica delle risorse.
(7) Scrive Darwin:
Lamarck per primo rese all’umanità il grande servigio di richiamare l’attenzione sulla possibilità che qualunque cambiamento nel mondo […] fosse risultato di una legge e non di un intervento miracoloso (Darwin, 1967, p.68).
Ma, nonostante riconosca questo suo grande merito, Darwin resta scettico verso l’abitudine dei naturalisti di considerare
Sempre le condizioni esterne, ad esempio il clima, il cibo, etc. come le sole possibili cause di variazione […]. E’ assurdo, ad esempio, attribuire alle sole condizioni esterne la struttura del picchio […] così adatta a catturar gli insetti sotto la corteccia degli alberi (Darwin, 1967, p.79)
(8) Darwin non nega l’influenza dell’ambiente come fonte di variabilità ed evoluzione («sono convinto che la selezione naturale è stata il più importante, ma non l’unico mezzo di modificazione» (Darwin, 1967, p.81), a far ciò è August Weismann, padre del neodarwinismo secondo il quale la linea germinale influenza il soma (della generazione successiva) ma il soma non ha effetto sulla linea germinale. La lezione di Weismann, dunque del Neodarwinismo di cui è il maggiore esponente, influenzerà pesantemente la lettura di Darwin che ancora oggi viene data soprattutto nell’ambito della genetica e della biologia molecolare. Si veda in merito l’attuale dibatto tra “ultradarwiniani” e “naturalisti” (Eldredge, 1999).
(9) Popolazioni coestensive di animali e vegetali.
(10) La 'nicchia’ designa lo spazio occupato da una popolazione nella biocenosi e la funzione che in essa svolge. Si tratta, quindi, di un concetto che indica una relazione funzionale.
(11) La 'piramide dei numeri’ indica la diminuzione del numero degli effettivi lungo le catene alimentari. Un carnivoro costituisce in genere il vertice della piramide alla cui base si trovano i vegetali, ogni successivo anello decrescente della catena alimentare è costituito da un numero maggiore d’organismi fino ad arrivare ai decompositori e di nuovo ai vegetali.
(12) Secondo tale principio due specie non possono coesistere su una stessa risorsa limitata e ciò può portare ad adattamenti reciproci tramite il raggiungimento di due diversi equilibri o all’eliminazione o allontanamento di una delle due specie.
(13) A introdurlo è Clements nel 1916 accostandolo, allora, con un paragone poco sostenibile, ad un organismo ameboide.
(14) L’antiriduzionismo, nelle sue diverse articolazioni (vitalismo,organicismo, olismo), propone una visione gerarchica e integrata dei livelli d’organizzazione del reale in cui gli elementi acquistano significato solo in una rete di relazioni e l’unità d’analisi è costituita da una molteplicità. L’olismo nella sua versione classica (Smut, 1926) rappresenta la corrente principale e prevede, dal punto di vista ontologico che ogni livello d’organizzazione necessita di appropriate leggi per spiegare le proprietà emergenti. Nella sua versione più antica, l’antiriduzionismo prende forma nel vitalismo e in seguito nell’organicismo. Il vitalismo già proposto dalla Naturphilosophie tedesca stabilisce una distinzione tra realtà vivente e non vivente, ritenendo che le proprietà strane degli esseri viventi non sono spiegabili a pieno in termini di forze fisiche e di interazioni chimiche (Monod, 1970), per cui fa appello ad un inconoscibile principio vitale rifiutando l’analogia meccanicistica. L’olismo stesso che si origina nei primi decenni del Novecento polemizza verso il vitalismo ritenendo che il sistema, suo concetto cardine, derivi sia dalle particelle che lo compongono che dall’organizzazione che produce una struttura. Nell’ambito delle scienze biologiche assume la forma dell’organicismo per cui non è necessario aggiungere un principio vitale alle leggi fisiche e chimiche. Al contrario, il riduzionismo tenta una riduzione della molteplicià ai costituenti ultimi della natura, modelli astratti con poche variabili finalizzata a individuare le leggi universali e atemporali.
(15) Secondo Ernst Mayr «Gli argomenti di Gleason contro i concetti di climax e di bioma sono del tutto validi anche contro quello di ecosistema. […] Molti tra i giovani ecologi sono più attratti dai problemi riguardanti il comportamento e gli adattamenti succedutisi lungo il corso della storia della Vita, che non dall’individuazione di costanti fisiche.[…] Un ecosistema non è un’unità integrata come ogni vero sistema deve essere» (Mayr, 1997).
(16) La biomassa è la quantità di materia organica misurata in unità d’energia o di materia organica secca.
(17) Un ecosistema è da lui definito come «L’unità fondamentale dell’ecologia che include tutti gli organismi in una data area, interagenti con l’ambiente fisico in un modo tale che il flusso di energia porta ad una ben definita struttura trofica, ad una diversità biotica, e a una ciclizzazione della materia (vale a dire a scambi di materia fra vivente e non vivente)» (Odum, 1973, p. 8).
(18) «Man has generally been preoccupied with obtaining as much “production” from the landscape as possible by developing and maintaining early successional types of ecosystems, usually monoculture. But, off course, man does not live by food and fiber alone, he also need a balanced CO2-O2 atmosphere, the climatic buffer provided by oceans and masses of vegetation and clean water for cultural and industrial uses. Many essential life-circle resource not unmention recreational and aesthetic needs are best provided man by less productive landscapes. In other words, the landscape is not just a supply depot but is also the 'ßoikos’ in which we must live» (Odum, 1969, p.266).
(19) Specie che per prima occupa una determinata nicchia.
(20) Si tratta di “The ecology of natural disturbances and path dynamics” curata da S.T.Pickett e P.White, Orlando (USA).
(21) Bisogna però notare che Odum tende a trattare le proprietà emergenti come reali caratteristiche della natura e a confonderle con le proprietà collettive in una sorta di riduzionismo complessificato, più che di vero e proprio olismo (Bergandi, Blandin, 1998).
(22) In Italia la diffusione del pensiero e delle opere di Vernadskij si deve a Silvano Tagliagambe.
(23) In un breve articolo apparso sul “New Scientist” nel luglio 1986 scrive Lovelock:
«When Lynn Margulius and I introduced the Gaia hypothesis in 1972 neither of us was aware of Vernadskij’s work and none of our much more learned colleagues drew our attention to the lapse. We retraced his steps and it was not until the 1980s that we discovered him to be our most illustrious predecessor» (Lovelock, 1986, p.51).
(24) Esempio di questo approccio ecologico riduzionista è Paul Colinvaux i cui testi sono spesso adottati oggi nei corsi di ecologia delle università.
(24) Esempio di questo approccio ecologico riduzionista è Paul Colinvaux i cui testi sono spesso adottati oggi nei corsi di ecologia delle università.
(25) In tal senso la metafora ha un valore euristico perché dice una cosa per intenderne un’atra creando una tensione, cioè una dissonanza tra il focus e l’oggetto conferisce una significato creativo non inferibile dal lessico usuale. Viola l’aspettativa di determinazione, e le regole delle conoscenze condivise dalla comunità selezionando dei tratti rilevanti del soggetto principale e proiettandoli nel campo del soggetto secondario. Così la metafora ristruttura la rappresentazione della realtà risultando un potente strumento euristico oltre che comunicativo.