Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 53



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Unghia per unghia, dente per dente

Posizione Ufficiale dell’Associazione Italiana Gestione Faunistica (AIGF) sull’uso dei cani da seguita nella caccia agli ungulati (cinghiale, cervidi e bovidi)

L’uso dei cani da seguita nella caccia ai cervidi e ai bovidi risulta inopportuno. Questa componente della fauna selvatica dovrebbe essere cacciata esclusivamente in forma individuale, all’aspetto e/o alla cerca, con armi a canna rigata dotate di ottica di mira. Le ragioni alla base di questa posizione sono di seguito evidenziate.
1 I metodi di caccia in cui gli ungulati (cinghiale, cervidi e bovidi) siano scovati e inseguiti dai cani da seguita inducono un comportamento di fuga negli animali coinvolti, di solito rendendo problematica, spesso impossibile o quantomeno troppo affrettata, una scelta del capo da abbattere nel rispetto di un piano di prelievo qualitativo per classi di sesso e di età. Questo può condurre a una destrutturazione delle popolazioni cacciate - come spesso riscontrato in Italia nelle popolazioni di cinghiale soggette a questo tipo di caccia - condizione in contrasto con i principi di conservazione della fauna selvatica.
2 Spinti dai cani, generalmente gli animali arrivano in corsa alle poste: il tiro ha una precisione molto inferiore in queste condizioni rispetto a quello effettuato su animali fermi e con l’arma in appoggio, determinando una più elevata percentuale di capi feriti e non recuperati. In tal modo lo stesso rispetto di un piano di prelievo quantitativo diventa più difficile e meno controllabile e si pongono evidenti problemi sul piano biologico, deontologico ed economico.
3 Il disturbo causato sia alle specie cacciate, sia alle altre presenti nella stessa area, indipendentemente dalla gravità delle sue conseguenze, che dipende da svariati fattori, è decisamente superiore nel caso delle cacce collettive con l’uso dei cani da seguita rispetto a quello determinato dalla pratica della caccia individuale senza ausiliari. Le alterazioni alla normale vita di relazione e attività degli ungulati sono particolarmente intense nel caso di braccate ripetute più volte nelle stesse località con cadenza frequente e, specialmente, nel caso dell’uso di mute composte da molti ausiliari, soprattutto se appartenenti a razze “veloci” (es. molte razze francesi).
4 Dal punto di vista biologico, fisiologico e comportamentale, gli studi pubblicati su questi temi confermano che l’inseguimento prolungato e intenso da parte della muta provoca uno stress elevato dell’animale cacciato, che può portare a danni non recuperabili, anche se questo non viene abbattuto. Ciò, attraverso una sensibile, a volte irreparabile, alterazione di parametri fisiologici con il consumo della maggioranza delle riserve energetiche a disponibilità immediata. Sono anche stati documentati analoghi effetti sugli individui non direttamente braccati. Le alterazioni fisiologiche prodotte con l’inseguimento prolungato comportano inoltre la possibilità di generare alterazioni delle carni tali da comprometterne le qualità organolettiche.
5 L’uso dei cani da seguita determina un rischio costante di incremento del randagismo canino dovuto alla perdita degli ausiliari; questo è vero non solo a livello probabilistico (come è intuibile), ma è stato più volte riscontrato specialmente durante tentativi di stima numerica del lupo che permettono di ottenere anche indicazioni sulla presenza di cani nell’area censita. Inoltre, in seguito alle braccate, si nota molto spesso un’accentuazione del numero di individui apparentemente vaganti, che può protrarsi per alcuni giorni. In determinate aree di confine (es. la Slovenia) questo ha indotto numerose lamentele e proteste a livello transnazionale.
6 Se le specie vengono cacciate nel periodo degli amori (cervo, daino, capriolo e muflone), si hanno conseguenze estremamente negative sul decorso naturale di questi ultimi. Nelle specie sociali (compreso il cinghiale) e in assenza di interferenze umane, il periodo degli accoppiamenti è breve e intenso e qualsiasi alterazione che costringa i soggetti a consistenti spostamenti, con eventuali fenomeni di dispersione non naturale, non può che essere negativa.
7 Nel caso del capriolo la caccia con i cani da seguita causa particolare disturbo, se avviene nel periodo post-nuziale, cioè nel momento in cui la specie necessita di riposo e deve recuperare energie per far fronte all’inverno, soprattutto nel caso dei maschi territoriali. Tutto ciò senza affrontare il complesso problema dell’idoneità dei periodi di caccia a questa e ad altre specie, in relazione alla biologia e al comportamento riproduttivo specifico.
8 Assolutamente pretestuosa e del tutto infondata è la teoria che la caccia con i cani da seguita contribuisca a mantenere o a rafforzare caratteristiche positive (robustezza, “qualità” comportamentali e ottimale capacità di dispersione) nelle specie cacciate. Una siffatta selezione non solo è in conflitto con le conoscenze della biologia, ma è contraddetta dai fatti, come abbondantemente dimostrato dalle condizioni dei cervidi in Appennino, dove la qualità e lo stato fisico dei soggetti sono eccellenti, con un prelievo esclusivamente selettivo. Inoltre, le supposte migliori condizioni dei cervidi (principalmente, se non esclusivamente, del capriolo) dove questi vengono cacciati con il segugio non sono affatto dimostrate.
9 E’ vero che, dove permangano sistemi di caccia ai cervidi con i cani da seguita, pur con diversa intensità e risultati, le popolazioni di queste e altre specie non subiscono flessioni numeriche tali da doverle considerare in pericolo, ma sono localmente perfino aumentate rispetto al dopoguerra. E’ altrettanto vero e molto significativo che i carnieri denunciati siano - a parità di vocazioni faunistiche - in ogni caso inferiori, generalmente meno o molto meno della metà, a quelli realizzati in ambiti anche confinanti con i primi, dove invece si cacci con i sistemi selettivi. Questo si verifica anche nel caso del cinghiale, per il quale inoltre sembra essere la girata (pochi cacciatori e un cane “limiere”) il sistema caratterizzato dal miglior rapporto sforzo/risultato e contemporaneamente da un impatto molto più modesto sulla locale comunità animale.
10 Non deve inoltre essere trascurato che la possibilità di cacciare cervidi e bovidi con i cani da seguita darebbe di fatto la gestione di queste specie ai cacciatori di cinghiale in braccata, attualmente molto numerosi, sottraendola ai cacciatori di selezione. Ora, mentre i percorsi formativi di questi ultimi sono complessi e articolati, con regolamenti (p.es. norme e calendari del Friuli Venezia Giulia, del Trentino, del Piemonte e dell’Emilia Romagna), per i cacciatori di cinghiale tutto ciò non avviene. Il cacciatore di selezione è inoltre lui stesso selezionato da appositi esami. Nel complesso (anche se è vero che alcuni cacciatori in braccata sono competenti e che alcuni cacciatori di selezione hanno seguito percorsi didattici non adeguati), di norma si può affermare che il cacciatore di selezione è molto meglio preparato e garantisce una affidabilità assolutamente superiore nel prelievo dei cervidi e dei bovidi.
11 Quale ultima, ma non secondaria, considerazione va rilevato che la diffusa prassi delle braccate sembra contrastare fortemente con la necessità di formare un tipo di cacciatore sempre più consapevole del suo ruolo, con senso della misura, rispetto e/o considerazione degli equilibri biologici, in un quadro auspicabile di conservazione “attiva” che una caccia oculata e corretta può offrire. Pur con alcune eccezioni, sembra di notare anche qualche collegamento fra l'uso dei cani da seguita e l'assenza di formale correttezza venatoria.
L’AIGF ritiene che una caccia moderna, in grado di tranquillizzare l’opinione pubblica sulla propria adeguatezza, nonché necessità economica e culturale, non possa prescindere da un’impostazione fondata su tradizioni biologicamente corrette.

Negli ultimi decenni, in alcune aree del Paese, la diffusione di una consapevole e culturalmente evoluta caccia di selezione ha rappresentato un forte elemento positivo del mondo venatorio, con ottime ripercussioni che non riguardano solo un uso biologicamente e deontologicamente compatibile delle popolazioni di ungulati, ma che investono l’approccio generale alla gestione faunistico-venatoria e alla conservazione delle risorse naturali. L’introduzione della possibilità di cacciare i cervidi e i bovidi con i cani da seguita, ovvero la conferma di questa prassi relativamente ai cervidi in alcune Regioni dell’arco alpino, rischierebbe di introdurre un elemento perturbatore in questo processo, proprio nel momento in cui è invece auspicabile che esso si consolidi definitivamente. Anche la più volte reiterata richiesta di introdurre questa pratica “in forma sperimentale” non trova alcun concreto fondamento. Non si comprende infatti in cosa possa risiedere la sperimentalità di una simile iniziativa. Che gli ungulati (cinghiale, cervidi e bovidi) possano essere cacciati con i cani (mute, coppie, singolo) è ben noto ed esistono esperienze in tal senso sia in Italia (alcune province nord-orientali), sia all’estero (Francia, Svizzera, Belgio, Paesi Scandinavi). Rimangono tuttavia evidenti i problemi e i danni sopra ricordati. La scelta delle amministrazioni pubbliche delegate alla stesura di leggi e regolamenti venatori riguarda solo il grado di accettabilità di questa pratica. La decisione di mantenere o di introdurre la braccata per la caccia a cervidi e bovidi non può dunque essere sostenuta con argomenti di natura biologica o tecnica a fronte di una migliore alternativa perfettamente praticabile (cioè la caccia di selezione). Sulla base delle suddette motivazioni, l’AIGF manifesta ufficialmente il proprio dissenso nei confronti delle iniziative che prevedano l’introduzione o il mantenimento della caccia in braccata su cervidi e bovidi.
Il Consiglio Direttivo direttivo dell’Associazione Italiana Gestione Faunistica è costituito da: Marco Bonacoscia, Giorgio Boscagli, Cosimo Marco Calò, Sandro Lovari, Franco Mari Vito Mazzarone, Pier Giuseppe Meneguz, Massimo Pandolfi, Franco Perco, Silvano Toso.

Documento Programmatico dell’ Associazione Italiana per la Gestione Faunistica (A.I.G.F.)
A. Definizione e Premessa
1
La Gestione Faunistica è la disciplina scientifica e tecnica che, per finalità dell’Uomo e in osservanza dei principi di conservazione delle risorse naturali, persegue l’uso sostenibile dei Vertebrati terrestri e delle acque interne, mediante interventi nei confronti della fauna, dell’ambiente e della società.
2 In questo documento, il termine Gestione indica l'insieme degli interventi necessari alla conservazione e all'uso sostenibile della Fauna e degli habitat; il termine Fauna si riferisce esclusivamente ai Vertebrati selvatici o inselvatichiti.
3 L’Associazione Italiana per la Gestione Faunistica (AIGF) è un’associazione senza fini di lucro volta alla divulgazione e alla corretta applicazione dei principi della gestione faunistica, anche tramite la tutela delle professionalità in essa coinvolte.
B. ANALISI
B. 1. Ambiente e Fauna
4
Sebbene lo stato delle conoscenze risulti ancora inadeguato, la situazione faunistica a livello nazionale può essere sommariamente delineata.
5 Dal secondo dopoguerra, a seguito del processo di industrializzazione dell'attività agricola, si è verificata una netta regressione delle entità faunistiche dipendenti dagli agrosistemi con un aumento speculare di specie sinantropiche, ubiquitarie e opportuniste.
6 Numerose entità faunistiche dipendenti da habitat particolari (p. es. zone umide) sono in egual modo andate incontro a una notevole contrazione sia numerica che distributiva. Questa tendenza è stata talvolta invertita, a livello locale, solo attraverso l’istituzione di aree protette.
7 E’ palese l'incremento recente della Fauna che dipende dalla foresta, sebbene questo processo sia in genere localizzato, discontinuo, disomogeneo, costituito da “isole faunistiche” prive di effettive connessioni.
8 Il progressivo deterioramento della situazione ambientale è stato mitigato dall’abbandono delle aree antropizzate di montagna e di alta collina.
9 Soprattutto in Italia centro-settentrionale, si è verificato l’aumento di alcune entità faunistiche legate al bosco, con un apprezzabile recupero di “selvaticità” in talune zone e un notevole aumento degli Ungulati, di altre specie forestali e del Lupo.
10 In una situazione tendenzialmente positiva emergono oggi alcuni aspetti negativi: la progressiva scomparsa di prati e pascoli, la chiusura delle radure e la riduzione degli spazi aperti, a scapito della diversità ambientale, desiderabile anche se non sempre naturale.
11 Numerose iniziative di tipo turistico e sportivo sono venute, di fatto, a compromettere l’esistenza stessa di molte specie, soprattutto in zone costiere e rivierasche, nonché la continuità delle metapopolazioni e la permanenza di corridoi faunistici, anche in zone montane.
12 La presenza di una rete stradale mal programmata, eccessivamente estesa e diffusa, aggiunge un ulteriore fattore di rischio per la fauna, soprattutto in situazioni ambientali già localmente compromesse.
13 Il costante aumento della penetrabilità veicolare in ogni ambito naturale o semi-naturale produce un incremento del disturbo e facilita il bracconaggio.
14 Lo stabilirsi di una rete di connessioni urbanistiche e infrastrutturali sempre meno valicabili rappresenta un fattore negativo per le popolazioni di Fauna selvatica, rafforzando l’isolamento riproduttivo.
B.2. Forme di Gestione
15
La situazione faunistica non è omogenea, in quanto profondamente influenzata dalle locali forme di gestione sia presenti che passate.
16 Nel Paese predomina una gestione faunistica non soddisfacente.
17 Gli interventi sono rivolti ad un numero limitato di specie (di interesse venatorio o forte impatto emotivo) e solitamente non sono parte di strategie di conservazione o riequilibrio ambientale, né di gestione integrata degli ecosistemi interessati.
18 Le poche iniziative realmente vantaggiose e/o sostenibili per la Fauna selvatica (aree protette, reintroduzioni, caccia di selezione, etc.) realizzate negli ultimi decenni hanno ancora carattere episodico.
19 La gestione faunistica a fini venatori appare largamente condizionata da concezioni consumistiche e visioni soggettive, svincolate da un'adeguata cultura ecologica.
20 La gestione faunistica attuata nelle aree protette non è esente da condizionamenti basati sul consumo ed innescati anche da un turismo eccessivo.
B.2.a. Gestione Venatoria
21
Larga parte del mondo venatorio stenta ad adeguare le proprie attività al concetto di "prelievo conservativo”.
22 La gestione faunistica a fini venatori si identifica, tuttora e in buona misura, nella pratica dei ripopolamenti.
23 Le ripetute immissioni di selvaggina, allevata in cattività e/o importata da altre aree in vista di un prelievo più o meno ravvicinato, causano danni ecologici, genetici e sanitari.
24 Gli ambienti venatori cercano spesso una legittimazione commerciale delle proprie attività, evidenziandone gli effetti economici e occupazionali.
B.2.b. Gestione Protezionistica
25
L’enfasi sui benefici economici, talvolta effimeri, derivanti da una fruizione turistica della Fauna selvatica, piuttosto che dal suo valore ecologico intrinseco, caratterizza la gestione di molte aree protette.
26 La gestione faunistica nelle aree protette, spesso persegue una strategia di conservazione fondata sulla sola “politica dei divieti”.
27 La ricerca del consenso locale, pur alla base di una strategia di conservazione nelle aree protette, si traduce generalmente in concessioni a vantaggio di privati o aziende che possono interferire con la corretta gestione.
28 La funzione della gestione della Fauna nelle aree protette (anche come stimolo per la sensibilità naturalistica) viene sottovalutata e sminuita.
29 La ricerca scientifica nelle aree protette, fondamentale in quanto attuabile su popolazioni selvatiche in condizioni naturali, viene spesso penalizzata da una gestione poco attenta ed oculata.
B.2.c. Altre Forme di Gestione
30
La gestione faunistica a fini venatori e quella a fini protezionistici non esauriscono le opzioni possibili.
31 Manca una normativa di riferimento su gestione economica, culturale, scientifica, ludica, che consenta di privilegiare una forma rispetto alle altre, a seconda dei diversi Istituti, e di integrare le singole operazioni in una strategia nazionale di conservazione.
B. 3. Aspetti Sociali
32
La crescita nel Paese di una sensibilità faunistico–naturalistica è indiscutibile.
33 L’opinione pubblica risulta, nel suo complesso, ancora non correttamente informata, tanto sulle priorità ambientali e faunistiche quanto sulla situazione reale.
34 Il favore che la conservazione ambientale riscuote oggi, anche per effetto di trasmissioni televisive e radiofoniche, nonché di una letteratura specializzata, è più apparente che sostanziale.
35 L’enfatizzazione degli aspetti immaginifici e suggestivi di faune quasi sempre esotiche o di animali domestici, tanto più apprezzati quanto più devianti dal fenotipo selvatico e dal comportamento originario, appare diseducativa.
36 La gestione faunistica italiana risente fortemente del rapporto – non risolto sul piano emotivo né su quello razionale – fra animali umani e animali non umani.
B.3.a. Gruppi Sociali
37
La cultura venatoria, come pure le organizzazioni dei cacciatori in senso generico, sono condizionate nella maggior parte dei casi da problemi di consenso interno, tanto da confondere l’attività venatoria con un mero esercizio sportivo.
38 La cultura protezionista è spesso affetta da un approccio più emotivo che ecologico.
39 Le associazioni ambientaliste e quelle venatorie appaiono in genere troppo caratterizzate da approcci critici schematici e unilaterali nei confronti di tutte le forme gestionali che non siano di mera protezione e mera caccia, perdendo così di vista la possibilità di alleanze tattiche, utili alla conservazione della Fauna.
40 Il patrimonio ideologico dei gruppi animalisti è caratterizzato da posizioni incompatibili con una gestione sostenibile.
B. 4. Istituzioni e Soggetti Professionali
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Sono significative le responsabilità di chi è chiamato a contribuire a una corretta gestione della Fauna selvatica, a partire dall’educazione scolastico – universitaria.
42 I soggetti istituzionalmente preposti alla gestione faunistica (Regioni, Province ed Aree protette) stentano ad integrare le attività condotte a livello locale nell’ambito di strategie globali.
43 La programmazione e la gestione faunistica non sono concretamente collegate tra loro e non sottostanno a precisi criteri di responsabilità, sia pubblica che privata.
44 Il mondo della ricerca scientifica appare ancor oggi poco incline ad assumere posizioni confacenti al rango che ad esso compete, laddove rinuncia al ruolo di riferimento culturale per gli enti e le amministrazioni pubbliche.
45 La situazione è particolarmente contraddittoria nei casi in cui gli enti di ricerca eseguono con finanziamenti pubblici e/o privati attività di sola gestione, a discapito della sperimentazione di tecniche innovative, interferendo con ambiti che dovrebbero invece essere più appropriatamente gestiti da altre figure professionali.
46 Le Università non svolgono in modo adeguato un ruolo nella formazione degli operatori.
47 I liberi professionisti appaiono esposti e talvolta indotti ad adottare comportamenti lesivi della propria professionalità e deontologia, per le poche risorse investite, per le committenze spesso prive di sensibilità ma anche a causa di concorrenze sleali.
48 I tecnici dipendenti dagli enti pubblici preposti alla programmazione e alla gestione faunistica sono stati a volte oggetto di pesanti condizionamenti e di aperta discriminazione, se non di allontanamento dal ruolo.
49 Non vi è oggi alcun soggetto preposto a certificare la qualità di un’operazione di gestione faunistica.

C. Discussione
C.1. Motivazioni Storico – Culturali dell’Attuale Gestione
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Gestione carente o mancante, peggioramento delle condizioni generali dell’ambiente, inadeguatezza culturale della componente sociale, sembrano tutte derivare dalla scarsa importanza che è stata finora attribuita alla conservazione della Fauna selvatica nella società italiana.
51 In termini di gestione dell’ambiente naturale, è evidente una specifica connotazione culturale italiana, probabilmente dovuta anche alle caratteristiche di paese mediterraneo, in cui zootecnia e agricoltura rivestono da sempre grande importanza economica e sociale.
52 In Italia, la Fauna selvatica è stata spesso considerata una componente secondaria del territorio, inutile, non degna di essere gestita e talvolta ostile, dunque da trascurare se non da eliminare radicalmente.
53 In alcuni paesi la caccia è stata spesso concepita come un modo per gestire risorse molto importanti per il benessere, anche economico, dell'intera comunità.
54 Solo con l'adozione di prassi ecologicamente compatibili sarà possibile attenuare l’avversione alla caccia presente in larghi strati dell’opinione pubblica.
C.2. Stato Giuridico della Fauna
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Nella specifica realtà italiana lo status pubblico della proprietà della Fauna sembra garantire le più appropriate e corrette opportunità di conservazione e gestione.
56 La difesa dello status pubblico della Fauna selvatica non deve impedire di constatare e denunciare i limiti, i ritardi, gli errori e le distorsioni che da tale status derivano.
57 Le lacune possono essere superate solo attraverso un processo di educazione ecologica dell'intera società italiana e, in particolare, delle componenti sociali maggiormente interessate alla gestione e alla conservazione della Fauna selvatica.
58 Questo obiettivo rappresenta la ragione stessa di esistenza dell’Associazione Italiana per la Gestione Faunistica.
C.3. Per una Cultura Faunistica Condivisa
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La cultura nazionale dominante vede nell’appropriazione della Fauna soprattutto uno spazio di libertà che, in quanto tale, non va programmato ma deve essere lasciato alla spontanea attività dei singoli: questa impostazione rifiuta completamente il concetto di responsabilità.
60 La maggior parte dei piani faunistici e venatori sono commissionati per obbligo normativo senza che si pervenga mai alla loro applicazione.
61 Se la gestione faunistica resterà, come purtroppo sembra oggi essere, solo materia etica e ideologica, la figura del professionista continuerà a essere ritenuta superflua o pericolosa.
62 L’AIGF ritiene che il misconoscimento della gravità della situazione, insieme alla vana attesa di un improbabile spontaneo mutamento culturale, finisca per rendere superflua o irrealizzabile una qualsiasi programmazione della gestione a livello nazionale.
C.4. Ruolo dell’AIGF
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Su questa complessa situazione di disagio ambientale, faunistico, sociale, culturale e professionale intende intervenire l’Associazione Italiana per la Gestione Faunistica.
64 L’AIGF ritiene la conservazione della Fauna selvatica un obiettivo prioritario della programmazione pubblica e della gestione pubblica e privata.
65 La fruizione delle risorse faunistiche deve essere possibile solo subordinatamente a una corretta programmazione e ad una conseguente gestione.
66 L’AIGF ritiene indispensabile che qualsiasi piano o progetto di programmazione o gestione faunistica sia firmato da un professionista che ne abbia la provata competenza e la piena responsabilità.

D. AZIONE
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L’AIGF interviene a favore della diffusione di una corretta cultura ecologica e di una maggiore cura degli aspetti scientifici e tecnici nella programmazione e nella prassi della gestione faunistica.
68 L’AIGF promuove la preparazione e la competenza professionale dei propri associati, nonché l'adozione di un Testo Unico sulla gestione faunistica.
69 L’AIGF si rivolge all’opinione pubblica, ai mezzi di comunicazione, alle fondazioni e alle associazioni culturali, alle università, alle associazioni di settore, agli enti pubblici, agli istituti di gestione e di ricerca, agli istituti d’istruzione pubblica e privata, per divulgare con ogni mezzo i valori, i principi, le priorità e le strategie per una oculata conservazione della Fauna selvatica ed un corretto utilizzo di quella allevata in cattività.
70 L’AIGF intende vigilare affinché siano sempre assicurati la distinzione tra prevalente orientamento verso la ricerca o la gestione, il rigore scientifico, l’impegno tecnico professionale e un’equa remunerazione.
71 L’AIGF intende altresì contrastare ogni azione ostile e delegittimazione dei professionisti del settore, fornendo ai propri associati ogni supporto necessario a poter svolgere un corretto e responsabile esercizio della professione.
72 L’AIGF promuove un miglioramento professionale continuo e costante, mediante l’elaborazione di protocolli tecnico-scientifici d’indirizzo generale e specifico, l’istituzione di commissioni tecniche, l’organizzazione di incontri tematici, seminari e convegni, la produzione di documenti e pubblicazioni, la certificazione della qualità delle attività gestionali, nonché la pubblicazione di elenchi di esperti.
73 L’AIGF fornisce assistenza e chiarimenti sulle qualifiche e caratteristiche professionali dei propri associati.
74 L’AIGF assume un Codice deontologico; stabilisce un tariffario specifico e dettagliato dotato di prontuari delle attività, specializzazioni e necessarie competenze; pubblica bollettini informativi e documenti interni.

Gli estensori di questo documento credono che il Paese abbia bisogno di un’associazione laica, unitaria, presente sul territorio, rappresentativa, autorevole, affidabile come vogliono sia l’Associazione Italiana per la Gestione Faunistica.