Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 53



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Nivolet, una grande scommessa

Con il rinnovo per altri 5 anni del Protocollo d’Intesa tra Parco, Comuni, Provincia e Regione Valle d’Aosta, nuove energie per “A piedi tra le nuvole”, il progetto di accesso senz’auto all’altipiano nel cuore del Parco Nazionale Gran Paradiso. Prosegue la sfida per un futuro di sostenibilità, anche grazie al sostegno finanziario della Regione Piemonte.

Nel corso del 2007, a cinque anni di distanza dalla sua prima stipula è stato rinnovato il Protocollo d’Intesa che vede impegnati il Parco Nazionale Gran Paradiso, i Comuni di Ceresole Reale e Valsavarache, la Provincia di Torino e la Regione Valle d’Aosta, per la regolamentazione della strada di accesso al Colle del Nivolet che unisce orograficamente la piemontese Valle Orco e la valdostana Valsavaranche.
Anche nel 2008 si rinnovererà quindi la chiusura nelle domeniche di luglio e agosto dei 20 km della Strada Provinciale n. 50 che portano da Ceresole Reale ai 2600 m del pianoro del Nivolet.
Ripercorriamo la storia di questo progetto che ha dato risultati molto positivi anche in termini di affluenza turistica, suggellando un dibattito durato decenni, e tutt’oggi aperto e cruciale per lo sviluppo futuro della Valle Orco.
Un buon inizio
Prima giornata per “A piedi tra le nuvole” al Nivolet.
Domenica 13 luglio 2003: è partita l’iniziativa di regolamentazione dell’accesso automobilistico all’altopiano del Nivolet, cuore del Parco Nazionale Gran Paradiso. Voluta dalla Provincia di Torino proprietaria della strada e dal Parco nazionale, d’intesa con la Regione Valle d’Aosta e le comunità locali, la regolamentazione, che proseguirà sino alla fine di agosto, ha avuto un ottimo avvio.
Sono salito con la navetta e ho riscontrato una pressoché unanime accoglienza positiva del provvedimento da parte dei turisti. Anche in valle ho colto la disponibilità dei residenti, mentre dai commercianti, che hanno collaborato sin dall’inizio al progetto, a fine giornata –nonostante qualche inevitabile disguido- è arrivato un giudizio sostanzialmente positivo. Al Colle ho incontrato il Presidente della Regione Autonoma Valle d’Aosta, Perrin, che ha confermato la ferma e totale adesione e condivisione della regolamentazione del traffico da parte valdostana, come già annunciato in conferenza stampa dal Consigliere Regionale Borre, che lo accompagnava.
E’ salito anche l’amico Don Luigi Ciotti, che ho incontrato al rifugio “Città di Chivasso”: anche da parte sua la solidarietà per un provvedimento che consente di fruire di uno straordinario patrimonio naturalistico come l’altopiano del Nivolet, senza portare quei danni e quegli inquinamenti che il selvaggio assalto dei mezzi privati ha causato nel recente passato. Sono fermamente convinto che la regolamentazione consentirà di inserirsi in una più ampia e innovativa progettualità per un futuro sostenibile delle Valli Orco e Soana. Anche per questo, ho volentieri partecipato, all’inizio della mattinata, all’inaugurazione della palestra di arrampicata sul muro della diga di Ceresole voluta e realizzata in collaborazione con l’ Aem di Torino, dall’Associazione Amici del Gran Paradiso. Intanto, mentre salgo, prima a piedi, poi in autobus, incontro tante biciclette con la targa “No oil”, venute a manifestare l’assenso all’iniziativa e a lanciare un messaggio a una società sempre più energivora e sempre meno attenta al piacere di muoversi con i ritmi naturali. Oggi qui si respira un’aria speciale, non solo perché i gas di scarico sono rimasti a valle, ma anche perché c’è una luce nuova di speranza in chi crede che la sfida della sostenibilità possa ancora essere vinta e che la modernità, per il futuro, passa proprio da queste posizioni, oggi coraggiose, domani irrinunciabili.

Un ambiente irripetibile
L’area del Nivolet, nel cuore del Parco Nazionale Gran Paradiso, comprendente le testate delle Valli Orco e Valsavarenche, rappresenta un ambito di eccezionale valore sotto il profilo paesaggistico e naturalistico, individuato quale sito di interesse comunitario (SIC), Zona di Protezione Speciale (ZPS) e, nel Piano Territoriale Paesistico della Regione Autonoma Valle d’Aosta, come area di riqualificazione naturalistica. Il Parco Nazionale Gran Paradiso è stato individuato come sito di interesse comunitario per la regione biogeografica alpina (Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea in data 22-12-2003). Tuttavia, precedentemente all’individuazione di tutta l’area protetta come SIC, l’ambito Piani del Nivolet, col Rosset -Vallone del Carro era stato scelto come biotopo di interesse comunitario nel progetto europeo “Natura 2000”.
Siamo in alta Valle Orco dove il Parco Nazionale Gran Paradiso confina con il Parco Nazionale francese della Vanoise. Agli storici legami tra le popolazioni dei due versanti, in particolare attraverso il colle della Losa, si sono aggiunte negli scorsi decenni le collaborazioni dei due parchi nel campo della ricerca scientifica e del monitoraggio della fauna. L’altopiano del Nivolet è un vallone glaciale sospeso che si estende, ad una quota media intorno ai 2400 metri, per circa sei chilometri con una larghezza massima di seicento metri, nel cuore del Parco nazionale del Gran Paradiso, unendo la valdostana Valsavarenche con la piemontese Valle dell’Orco. Si tratta di un territorio completamente compreso nel piano alpino, oltre il limite del bosco, con vegetazione composta da un alto numero di specie, alcune delle quali rare, di tipo prevalentemente erbaceo. L’ambiente naturale è caratterizzato da habitat umidi che si sviluppano attorno al corso, a meandri, del torrente principale, in presenza di numerosi torrenti e sorgenti.
Si tratta di uno scenario grandioso a contatto con l’orizzonte infinito del cielo.
Il Nivolet è considerato un Sito di particolare valore faunistico in quanto rappresenta un settore di riproduzione per il camoscio, per lo stambecco e per il gracchio corallino, nonché settore di presenza per la coturnice e per la pernice bianca. Inoltre è un terreno naturale ricco di corridoi per gli ungulati. Oltre al valore faunistico, rappresenta un Sito di valore botanico, in quanto la zona è particolarmente interessante dal punto di vista floristico e vegetazionale per due motivi principali:
• la litologia (substrati a reazione acida ma anche a reazione alcaline per presenza di calcescisti e rocce calcaree) che consente la presenza sia di specie acidofile sia basifile;
• l’ampia rete di zone umide che presentano grande varietà di ambienti dalle paludi, alle rive dei ruscelli, a lembi relitti di torbiere.
Dal punto di vista floristico le specie più importanti sono:
• Alopecurus alpinus (Famiglia Poaceae), specie mediterraneo-montana che risale nel cuore delle Alpi occidentali fino in Valle d’Aosta, dove si ritrova quasi esclusiva per i piani del Nivolet, nei pascoli umidi e nelle vallette nivali su suolo a reazione basica.
• Sparganium angustifolium (Famiglia Sparganiaceae), specie circumboreale, divenuta rarissima sull’arco alpino perché legata ad ambienti ecologicamente molto delicati come gli stagni e le paludi.
• Tofieldia pusilla (Famiglia Liliaceae), specie artico-alpina, rarissima sull’arco alpino, presente nei piani del Nivolet dove trova nelle paludi a piccole carici basifile, l’habitat ideale per la sua sopravvivenza.
• Androsace vitaliana (Famiglia Primulaceae), specie originaria delle montagne dell’Europa meridionale (orofita sud-europea), presente su tutto l’arco alpino ma localizzata e perciò considerata specie rara. Nel Parco è presente solo nella Valle Orco, da Chiapili di Sopra fino ai piani del Nivolet, nei pascoli pietrosi su suolo acido.
• Sedum villosum (Famiglia Crassulaceae), specie originaria delle montagne dell’Europa occidentale e perciò presente anche sull’arco alpino centro-occidentale dove e comunque rarissima e localizzata presso sorgenti e paludi su suolo acido. Per la sua rarità, è definita specie vulnerabile nel Libro Rosso delle Piante d’Italia e nelle relative Liste Rosse regionali (specie a rischio d’estinzione secondo la classificazione IUCN).

La ferita
La zona del Nivolet si raggiunge, dal versante valdostano, esclusivamente a piedi percorrendo un sentiero escursionistico che offre affascinanti punti di vista sulla catena del Gran Paradiso. Sul versante piemontese esiste invece un accesso automobilistico, la Strada Provinciale n. 50, che collega Ceresole Reale con i 2600 metri del Colle del Nivolet, superando in 20 chilometri un dislivello di 1000 metri.
Fu costruita tra il 1953 e il 1963 a servizio degli impianti idroelettrici dell’alta valle Orco; tra il 1968 e il 1973 fu realizzato un tratto da Pont Valsavarenche, nell’ipotesi del collegamento stradale in quota dei due versanti del parco. Un progetto fortunatamente interrotto soprattutto per la mancanza di fondi.
Il tratto che si sviluppa sul versante piemontese è di proprietà della Provincia di Torino.

Un tuffo alle origini
La questione della strada del Nivolet ha radici antiche, che la riportano all’origine stessa del parco. L’indomani dell’istituzione dell’area protetta, nel 1923, fu proprio il presidente della prima Commissione Reale cui venne affidata la gestione del parco, il Senatore Giorgio Anselmi, presidente della Deputazione Provinciale di Torino, a proporre la costruzione della strada. Lo stesso Anselmi, nel 1950, promosse la costituzione del “Comitato promotore della strada del Nivolet e per la valorizzazione delle Alpi Graie”, attiva sino al 17 aprile 1986 quando la Provincia di Torino ne decide lo scioglimento.
La vicenda va ricondotta, comunque ai progetti per lo sfruttamento delle acque a fini idroelettrici da parte dell’Azienda Elettrica Municipale di Torino che sin dal 1921 aveva ottenuto la concessione per il bacino dell’Orco e che, oltre agli invasi poi realizzati, ne prevedeva uno proprio al Nivolet, al punto che il tracciato della strada corre a mezzacosta e non come sarebbe stato più logico e meno costoso, sul fondo dell’altopiano.
Nel 1952 (22 dicembre) avviene la stipula di un accordo tra Ente parco, Consorzio Elettrico del Buthier e l’ Aem di Torino per la realizzazione dell’elettrodotto Chavonne-Rosone, che comporta la realizzazione della strada del Nivolet.
La lotta tra ente parco e industria idroelettrica parte dalla sua costituzione nel 1947.
L’ Aem aveva iniziato lo sfruttamento delle acque della Valle Orco, parzialmente riferite all’area protetta del Gran Paradiso, sino dal 1928.
Nella prima riunione dell’Ente Parco il Consiglio di amministrazione delibera di richiedere alla municipalizzata torinese l’indennizzo dei danni provocati e, successivamente si approva l’idea di una convenzione con la stessa.
La richiesta danni venne perfezionata e inviata a firma del Presidente Luigi Sertorio, del vicepresidente Renzo Videsott e del segretario Mario Stevenin.
Si richiama l’art 10 della legge istitutiva del parco affermando che i lavori effettuati all’interno dell’area protetta: “sono di natura tale che arrecano, purtroppo, permanente ed essenziale pregiudizio all’attuazione degli scopi per cui il parco è stato creato”.
Tra le cause scatenanti il danno per il parco vengono indicate le ripercussioni sulla vita delle acque e sull’estetica paesaggistica, i danneggiamenti alla fauna causati dall’intensificarsi del bracconaggio addebitato agli operai, il disturbo che i lavori causano agli abituali areali delle specie, l’impatto con le linee elettriche e delle teleferiche da parte dell’avifauna.
Tutto questo è supportato da dati.
Nel luglio 1948 a fronte di un incremento medio della popolazione di stambecchi nel resto del parco pari al 36,05% nell’area interessata dai lavori si registra un decremento del 4,71%, mentre per i camosci, all’incremento medio pari al 39,01%, nel versante canavesano si scende al 9,59%.
Il danno economico è stimato, per il solo periodo gennaio-luglio 1948, in 130 milioni di lire. Il Consorzio Elettrico Buthier, il 21 settembre 1950, presentava domanda per la costruzione della linea elettrica da Chavonne a Rosone e nonostante l’opposizione del Comune di Valsavarenche e dell’Ente parco, nonché la richiesta di indennizzo per il taglio di alberi da parte del Comune di Villeneuve, iniziava i lavori e a novembre cadevano i primi 73 larici, 145 abeti e 12 pini cembri nel territorio del parco in alta Valsavarenche; il 5 luglio 1951 brillavano le prime mine al lago Serrù.
«Nei giorni scorsi -informa il Presidente del Parco Fausto Penati nel corso della riunione del Consiglio direttivo dell’ente nella seduta dell’8 agosto 1951- sono venuto casualmente a conoscenza che il Consorzio Elettrico del Buthier attraverso una impresa specializzata, ha dato inizio alla costruzione di un elettrodotto che dovrebbe congiungere le centrali di Chavanne (Società nazionale Cogne di Aosta) con al centrale di Rosone (Azienda Elettrica Municipale di Torino) attraverso il colle del Nivolet, e quindi valicando nel bel mezzo il Parco del Gran Paradiso». Il 21 dello stesso mese l’Ente parco citava in giudizio davanti al Tribunale di Torino il Consorzio Buthier e il 31 luglio il Giudice istruttore ordinava la sospensione immediata dei lavori all’interno del parco.
Ma per tutta risposta il Consorzio riuscì a ottenere il 3 agosto dal Ministero dei Lavori Pubblici l’autorizzazione provvisoria all’inizio lavori peraltro già avviati.
Tocca al Sindaco di Torino Amedeo Peyron convocare le parti per tentare una composizione amichevole della situazione che si fa difficile. Il sopralluogo del 12 agosto alla presenza del Presidente della Provincia di Torino Giuseppe Grosso e di due assessori valdostani viene accolta con gli operai a braccia conserte per sottolineare il danno all’occupazione e da una petizione sottoscritta dagli abitanti della Valsavarenche che mette in luce le contraddizioni del Parco, impegnato da un lato ad opporsi alla strada, dall’altra a richiederne una dimensione di 6 metri –contro i 4,8 di quella di servizio per gli impianti- per consentirne un uso turistico. Preside della Facoltà di Giurisprudenza, ordinario di Diritto romano, il Presidente della Provincia Grosso propone un accordo che egli stesso ha provveduto a predisporre e che il 14 agosto del 1951 viene siglato da consorzio e Ente parco.
A inizio seduta il Parco tenta l’ultima mossa, proponendo di intervenire finanziariamente a compenso dei maggiori costi dovuti all’eventuale spostamento del tracciato delle linee elettriche al di fuori dell’area protetta.
Per il rilascio dell’autorizzazione da parte del Parco, due sono le condizioni principali: la costruzione della strada del Nivolet a sostegno degli interessi sociali, economici e turistici delle popolazioni e per agevolare la conoscenza del parco ai fini delle sua azione turistico educativa; la messa a disposizione da parte del Consorzio dei mezzi finanziari per «gli indispensabili spostamenti territoriali compensativi» e i maggiori oneri gestionali. Per rendere operativo l’accordo, vengono incaricati l’avvocato Dante Livio Bianco per l’Ente parco e l’avvocato Vallauri per il Consorzio.
Emerge che la strada fosse, in realtà, da tempo ricompresa come parte integrante dei lavori, da un lato a servizio dell’elettrodotto, dall’altra per una ipotesi di sfruttamento dell’intero pianoro, previa trasformazione in un ulteriore invaso artificiale. Si spiega così l’andamento del tracciato a mezza costa anziché nel meno costoso sviluppo di fondovalle. Passano i mesi e l’accordo siglato il 14 agosto non sembra trovare alcuna possibilità di attuazione, al punto che il 12 dicembre l’Ente parco (con il solo voto contrario dell’avvocato Gianni Oberto) dà mandato al suo legale di riattivare la causa e mobilita sulla questione alcuni membri del Senato, in particolare per stigmatizzare l’atteggiamento del Ministero dei Lavori Pubblici che ha ordinato la prosecuzione dei lavori di costruzione dell’elettrodotto in violazione della sospensione ordinata dal Tribunale di Torino. Le schermaglie legali proseguono per tutto il 1952, con un ripetuto balletto tra ordini di sospensione dei lavori, loro violazione e autorizzazioni alla costruzione della linea e contrattazioni ripetute per indennizzo dei danni e impegni alla costruzione della strada. Il 6 settembre il Consiglio di amministrazione cambia la base della contrattazione e dall’accordo del 14 agosto del 1952 si passa a un altro testo in cui si evidenzia l’indennizzo in 160 milioni di lire totali dei quali 60 da versare nei primi tre anni e la parte rimanente ripartita, al massimo, in venticinque anni. Il progetto di strada viene limitato al tracciato tra il Lago Serrù e il rifugio Savoia e pur rimanendo la transitabilità automobilistica, non è più richiamata, esplicitamente, quella turistica, segnale che denota l’insorgere, probabilmente, di qualche ripensamento nell’ambito del Consiglio.
Intanto però, dalle varie trattative è scomparso il direttore del Parco Renzo Videsott, che il Comitato Esecutivo ha ritenuto di sostituire con il vicedirettore Mario Stevenin. Al primo rimane peraltro l’impegno di sventare, a Roma, il tentativo di togliere autonomia all’Ente parco per riportarne la gestione ai Forestali che premono, in tal senso, sul Parlamento ottenendo un primo risultato positivo al Senato (per inciso l’autonomia del parco sarà salva con l’autorevole intervento, tra gli altri, di Luigi Sturzo, di Luigi Einaudi e il sostegno di tutto il gruppo del PCI).
Finalmente, a novembre, si trova l’accordo sulla base di un testo, redatto il 23 del mese precedente, in cui compare l’Aem di Torino che si fa carico degli oneri di costruzione della strada e dei pagamenti da effettuare al parco. Dal complesso della vicenda giuridica emerge che nel confronto tra pubblica utilità dell’elettrodotto e del parco è la prima a spuntarla. La vertenza è definitivamente composta il 22 dicembre 1952 e porta la firma del Presidente del Parco, Fausto Penati, del Presidente del Consorzio Elettrico del Buthier, Giovanni Carlo Anselmetti e del Direttore generale dell’Aem, Mario Brunetti. Con l’atto la strada è formalmente approvata dal parco; per il resto si ribadisce che «il Parco Nazionale Gran Paradiso riafferma il suo diritto, che è anche il suo dovere, di vegliare affinché entro il perimetro del parco nessuna opera sia costruita da chicchessia senza la preventiva autorizzazione del Parco Nazionale Gran Paradiso», mentre il Consorzio « si impegna ad apportare al tracciato dell’elettrodotto quelle variazioni che saranno riconosciute opportune per il rispetto del paesaggio e delle bellezze panoramiche» e « a provvedere a che i tralicci siano quanto più possibile mimetizzati mediante opportuna verniciatura».
Tra le clausole l’impegno, mai rispettato, che il Consorzio si assuma anche per gli eventuali successori (l’Enel, da questo punto di vita a partire dal 1962, anno della nazionalizzazione) a sostituire i tralicci con cavi sotterranei nel momento in cui la tecnologia lo avesse consentito. Nell’accordo si definiscono le caratteristiche tecniche della strada con l’intesa che verrà consegnata all’Amministrazione provinciale (che partecipa agli oneri di costruzione con la somma di trenta milioni) e che il progetto definitivo contemplerà l’intero tracciato di valico per raggiungere Pont Valsavarenche.
Se Parco e Consorzio approvano all’unanimità (nella seduta del Consiglio di amministrazione del parco risulta assente il senatore Giorgio Anselmi, principale promotore della strada...) nel Consiglio dell’Aem si alza una voce critica, quella dell’avvocato Guidi che, nell’illustrare la sua opposizione annota che «non appare giustificata una richiesta di danni da parte del Parco per la linea elettrica quando l’Ente parco richiede, a parziale risarcimento, l’esecuzione di una strada che porterà, per parecchi anni, molto più disturbo alla fauna e alla flora del parco».
Sempre a proposito della strada, il piano finanziario (di cui alla deliberazione del Consiglio provinciale del 3 giugno 1953) prevede 220 milioni di spesa, così ripartiti: 65 dal Consorzio, 40 dalla provincia, 110 dallo Stato, cinque da enti vari.
Il 24 febbraio 1950 intanto, era nato il Comitato promotore per la realizzazione della strada del Nivolet, con la partecipazione degli enti e delle istituzioni interessate anche alla realizzazione del traforo della Galisia. A giugno del 1953, l’Amministrazione provinciale di Torino subentra all’ Aem per la costruzione della strada e può così accedere ai fondi (110 milioni) del Comitato Interministeriale per il Mezzogiorno e le Aree Depresse. Il cantiere parte tre anni dopo e nel luglio del 1954 iniziano i lavori con l’impiego di 200 operai provenienti, al più dalla Lombardia.
I rigidi inverni 1953/54 e 1954/55 rallentano i lavori; per questo l’impresa costruttrice richiede la proroga di un anno che viene accordata fino al 15 ottobre del 1955. Alla fine dell’anno si chiude la realizzazione del primo lotto, con una spesa di 135 milioni sui 163 previsti dall’appalto. Una ulteriore proroga, al 20 settembre del 1956, consente il definitivo completamento dell’opera. A consuntivo dei lavori risulteranno impiegati 9.500 chilogrammi di esplosivi che vengono fatti brillare con 13.500 detonatori che impiegano 68 chilometri di miccia. Gli effetti sulla fauna sono facilmente immaginabili e infatti le popolazioni di ungulati abbandonano definitivamente l’area.
Nel 1956 il Consiglio Superiore dei lavori Pubblici approva il progetto di massima dell’Aem per il tratto che va dal Rifugio Savoia a Pont Valsavarenche con un impegno di spesa di 525 milioni per i quali non si individuano i finanziamenti.
La strada viene inaugurata il 1 agosto del 1959 perché prima rimase da sistemare il tratto del raccordo tra Ceresole e la Diga del Serrù. Manca ancora il chilometro oltre il Rifugio Savoia previsto per il parcheggio e per l’inversione di marcia dei veicoli.
Nel 1967 i costi previsti per la realizzazione della parte mancante del percorso lievitano a 780 milioni. I nuovi lavori per l’attraversamento del pianoro iniziano solamente il 16 luglio del 1967 e, nell’occasione, viene posta una targa, al Colle del Nivolet, in onore del Senatore Anselmi scomparso l’8 ottobre del 1961. Tra il 1968 e il 1973 con univestimento di 473 milioni, si realizza il primo tratto da Pont Valsavarenche che giunge sino a quota 2.200 metri con uno sviluppo di 3,6 chilometri compresa una galleria di 339 metri a quota 2.100.
I lavori procedono a rilento e il 5 novembre del 1973 si compie l’ultimo atto, con la caduta del diaframma della seconda galleria; nel frattempo compaiono le prime prese di posizione di chi non approva il completamento dell’opera e l’apertura della strada; con questo obiettivo nasce, a Cogne, l’associazione “Amici del Gran Paradiso”.

Un commento e alcune riflessioni di un protagonista
Sull’argomento non sembra peregrino riprendere alcune riflessioni di uno dei protagonisti delle vicende che abbiamo raccontato, l’avvocato Gianni Oberto. successivamente chiamato a ricoprire il ruolo di Presidente dell’Ente Parco: «L’altro fatto perturbatore erano i lavori, anche questi con spari, già autorizzati prima della istituzione del Parco, che l’Azienda Elettrica Municipale di Torino eseguiva per l’invaso di Ceresole Reale, su su sino all’Agnel e al Serrù e poi al Piantonetto. [...]
La Commissione si trovò allora dinnanzi al fatto compiuto per le già avvenute concessioni: era un brutto nascere. Dovette chinare la testa, cercando di limitare e circoscrivere i danni, giungendo a compromessi che segnarono la via sulla quale una trentina di anni dopo il Parco si veniva fatalmente a trovare per ulteriori opere idroelettriche di notevoli proporzioni, dette di ampliamento e completamento. Anche qui una specie di fatto compiuto, contro il quale si fece ricorso alle vie giudiziali, vittoriosamente. Successivamente, nel conflitto fra progresso e conservazione s’infiltrò l’esigenza di un compromesso, e sia pur con concessioni e indennizzi di vario genere, la potenza idroelettrica ebbe in sostanza partita vinta. Non per nulla emblematicamente sui pali vi è la scritta: “chi tocca i fili muore”!
E’ questione di coscienza “parchigiana”, ancora tutta da costruire. Chi avrebbe sostenuto il Parco “oscurantista” che avesse fatto abbattere i tralicci illegittimi e petulanti, quasi ridicoli a fronte della naturale maestà dei pini e degli abeti tra cui sorgono, impedendo il trasporto dell’energia? Chi avrebbe giustificato nell’opinione pubblica un atto di forza del Parco, sia pure con il conforto della legge, che avesse impedito l’ampliamento d’impianti, previsti nelle concessioni e richiesti nel nome del progresso? Fu giocoforza accettare e transigere, limitando al minimo lo sfregio arrecato. Agisce talora un massiccio, pesante ed allo stesso tempo fluido elemento, composto di molti fattori, un gioco di imponderabili, una sottile rete esterna di pressioni, che porta a determinazioni e a decisioni che non si vorrebbero prendere e tuttavia si è indotti ad assumere, ma che non devono più prendersi. [...]
Al Nivolet, -il superbo valico a 2632 m, dove un pianoro stupendo per la ricca fioritura, per la peculiare formazione geomorfologica, per gli occhieggianti specchi d’acqua, e per talune componenti palustri, animato dalla fauna pregiata che vive tranquilla e numerosa, costituisce una delle più interessanti eccezionali realtà di ambiente, fatto salvo il domenicale sfregio che sprovveduti visitatori le recano facendole generoso dono dei rifiuti della civiltà moderna- si vorrebbe fare un grande invaso. Sarebbe la fine, la morte del Nivolet. Sarebbe una ferita che si allargherebbe a tutto il Parco, lacerandolo. Non significherebbe solo togliere dallo scrigno dovizioso uno dei gioielli più belli e preziosi, ma devastare lo scrigno stesso. Il pericolo non sembra imminente, ma sovrasta. Il Parco ha già detto il suo no, motivato; non resta che sperare, questa volta davvero, nel progresso. E’ augurabile che altre fonti di energia tra breve certamente meno costose, siano in grado di evitare una dura battaglia, nella quale soccombere sarebbe fatale per il Parco.
[...] Uno degli aspetti più delicati della vita dei Parchi europei di limitata ampiezza, come quello del Parco Nazionale Gran Paradiso, è quello della viabilità di accesso ed interna: ad esso è connesso quello del turismo. Oggi il cemento preme ovunque e l’automobile non è meno pressante e petulante dei tralicci idroelettrici: tutte le porte gli debbono essere aperte, tutte le strade vanno fatte per lui. Anche al “sancta sanctorum” si deve arrivare con le quattro ruote, col rombo assordante del motore, con il fetore ammorbante degli scarichi. [...] Il problema delle strade che assillò già la Commissione Reale è tornato di attualità, come frutto amaro del compromesso con gl’idroelettrici. La mulattiera che da Ceresole Reale (m. 1600) passando per i Chiapili, attraversa il valico ed il piano del Nivolet, superato un dislivello di mille metri, scende a Pont Valsavaranche e di qui al capoluogo di Dégioz, è oggi una vera strada, larga da 6 a 8 metri, già tutta costruita sul versante canavesano e in via di completamento su quello aostano, con contributi forniti dagli Enti locali della Regione Aostana e della Provincia di Torino, e dallo Stato, tramite la Cassa del Mezzogiorno.
[...] Una strada nel Parco, che lo solca in uno dei punti più suggestivi e belli, è come una spina nel cuore, anche se costituisce sotto l’aspetto turistico un anello meraviglioso, percorribile peraltro solo tre o quattro mesi dell’anno. Sarà necessario stabilire una disciplina severissima e farla rigorosamente osservare. Altrimenti la spina farà sempre sangue. Soltanto così il male potrà attenuarsi, e per qualcuno almeno, che non riuscirebbe diversamente a salire in quell’incantevole ricetto, trasformarsi in bene. Una regolamentazione oraria, di comportamento, di accesso e di sosta, con precise, tassative limitazioni rese necessarie da molteplici ragioni, dovranno presiedere all’uso della strada. Anche il rumore inquina: e gli animali lo avvertono ancora più dell’uomo che è capace di incantarsi alla “musicalità” del motore, esaltandosi alla velocità, elementi da assumersi emblematicamente a simbolo e sintesi dei nostri giorni, irrequieti ed inquieti, che sembra trovino assurda¬mente quiete solo nell’affanno. Il senso civico dei fruenti della strada, che panoramicamente sarà un incanto, scoprendo scorci straordinari, consentendo la visione di fiori dai colori smaglianti e di animali superbi, se non se ne andranno, più ancora del regolamento dovrà valere ad ovviare ai sostanziali pericoli ed inconvenienti che la strada percorribile in macchina crea in un Parco. Le strade generalmente sono un irresistibile richiamo per la costruzione di case. E’ ovvio che non un solo edificio dovrà sorgere: il divieto non potrà che essere assoluto. L’esperienza di altri Parchi renderebbe anche maggiore la colpa. Le costruzioni nel Parco, per lo più baite, sono quelle che sono: si potranno ovviamente riparare, parzialmente modificare attenendosi alle norme ambientali che saranno prescritte, ma nulla più».
Riflessioni forse tardive o forse segnale di una sensibilità già presente ma impossibilitata ad esprimersi in maniera adeguata e, soprattutto, vincente. A sostegno dell’opera, ieri come oggi, la necessità di connettere le reti europee e di promuovere il progresso contro l’oscurantismo di chi intende tutelare l’ambiente. Raccontata la vicenda, proviamo a vederne anche gli aspetti positivi che, tutto sommato, portò con sè. I fondi del risarcimento al Parco venuti dal Consorzio furono essenziali, negli anni Cinquanta, per infrastrutturare il parco con i “casotti” di sorveglianza in quota e la rete di sentieri per il loro collegamento, per l’acquisizione di alcuni terreni a pascolo preziosi per la fauna selvatica, per incentivare la ricerca e per avviare i lavori di realizzazione del giardino botanico alpino “Paradisia”, a Valnontey, in Comune di Cogne.

La cura possibile: “A piedi tra le nuvole”
A lavori non ancora conclusi il direttore del Parco, Renzo Videsott, in una lettera al Presidente Grosso, espone l’esigenza di regolamentare l’accesso alla strada: «Dato che, ormai, non è più il caso di tentare un’opposizione all’attraversamento del parco da parte della strada del Nivolet, non le sembra che almeno sia necessario, fin d’ora, prendere ogni precauzione affinché le più serie e pratiche norme educative impongano una speciale disciplina al futuro traffico degli automezzi, lungo la zona del parco?».
Nel 1957, divenuto Presidente, è Gianni Oberto a ipotizzare il pedaggiamento degli accessi. Dieci anni dopo a questione irrisolta, nella doppia veste di Presidente del Parco e della Provincia, in una lettera al Provveditorato alle Opere Pubbliche del Piemonte, sollecita la realizzazione di parcheggi annotando come: «sono diverse centinaia gli automezzi che nei giorni festivi sostano in vari punti dello stupendo altipiano, nel cuore del parco, e purtroppo pochi tra i gitanti si curano di rispettare l’ambiente [...] molti anzi usano, seguendo anche semplicemente tracce di sentiero, parcheggiare il loro automezzo molto al di fuori della sede stradale». Le proposte di disciplina dell’accesso e della sosta si susseguiranno, negli anni, senza risultati concreti.
Da segnalare il provvedimento di divieto di accesso ai motocicli sancito dalla provincia nel 1974 su pressioni del Direttore Francesco Framarin, ma subito revocato a causa delle reazioni del Comune di Ceresole Reale.
Tra voci ricorrenti di completamento dell’arteria e richieste di sua chiusura al traffico privato, nel 1982 viene chiuso, con sbarra lucchettata, l’accesso a ‘900 metri del Rifugio Savoia e l’anno successivo analogo provvedimento viene attuato, poco oltre la frazione Chiapili, per il periodo invernale; l’ordinanza della Provincia fissa al 15 di ottobre la chiusura stagionale della strada.
Nel 1986, con Delibera della Giunta provinciale, in data 17 aprile, viene sciolto il “Comitato per la Strada del Nivolet e per la valorizzazione delle Alpi Graie”.
Nel 1992 dalla convenzione tra parco e Aem che si propone di risistemare alcune aree di cantiere degli invasi, viene cofinanaziato uno studio per la regolamentazione della strada. Se infatti negli anni di costruzione della strada era difficile prevedere l’enorme sviluppo che avrebbe avuto la circolazione automobilistica privata e gli effetti negativi sull’ambiente naturale, in anni più recenti l’esponenziale aumento dei rifiuti, l’inquinamento atmosferico e da rumore, l’allontanamento della fauna dagli areali e dai percorsi abituali, hanno reso evidente la necessità di arrivare a forme di regolamentazione del transito privato nel periodo estivo, quando la strada è sgombra dalla neve.
Un monitoraggio nei giorni festivi tra la fine di giugno e la metà di agosto, ha messo in rilievo come, negli ultimi anni, ci fosse un afflusso massimo corrispondente al passaggio di un’auto ogni 10 secondi e picchi di concentrazione giornaliera di auto equivalenti a un parcheggio di 8000-10.000 mq. Il tutto a 2600 metri di quota.
Un simile flusso non aveva, peraltro, motivazioni legate alla presenza del parco, ma solo l’attrazione derivata dal poter arrivare motorizzati il più in alto possibile per consumare il proprio pic nic, magari a due passi dall’auto.
Proprio per porre rimedio alla situazione sempre più intollerabile l’Ente Parco, la Provincia di Torino, i Comuni di Ceresole Reale e Valsavarenche e la Regione Autonoma Valle d’Aosta, firmano un protocollo d’intesa in data 19 luglio 2002, con validità di cinque anni, che comprende forme di regolamentazione del traffico privato accompagnate da attività di animazione e promozione del territorio e dal cofinanziamento che la Provincia mette a disposizione del Comune di Ceresole per realizzare una nuova, apposita area parcheggio nei pressi del Lago Serrù. L’esperimento di regolamentazione del traffico privato, dopo anni di confronti accesi, indagini conoscitive, proposte, è finalmente pronto a partire, sul territorio, l’anno dopo, nell’estate del 2003, con il nome, che presto diventa un marchio, di: “A piedi tra le nuvole”.
Poiché anche gli esperimenti costano, la copertura finanziaria è stata assicurata da uno specifico “Accordo di programma”, siglato con la Regione Piemonte.
Gli obiettivi dell’iniziativa possono essere così sinteticamente riassunti:
• ridurre i danni ambientali attraverso la riduzione del traffico motorizzato privato;
• selezionare un’utenza motivata attraverso progetti turistici compatibili con la presenza del Parco e miranti alla valorizzazione delle ricchezze naturalistiche, storiche e paesaggistiche della zona;
• salvaguardare e incentivare l’economia locale in forme compatibili con la tutela, anche con il ricorso alle misure di incentivazione e sostegno previste dalla legge 394/91 e da altri strumenti nazionali e comunitari;
• coordinare iniziative, ruoli e competenze dei soggetti coinvolti sulla base di un progetto generale, da attuare in tempi e modalità prestabiliti.
La sostanza sta nel fatto che gli ultimi sei chilometri della strada provinciale, compresi tra i 2200 e i 2600 metri di quota, nelle domeniche di luglio e agosto, possono essere percorsi, dalle 9.00 alle 18.00, soltanto con l’utilizzo dell’apposita navetta, oppure a piedi o in bicicletta. Sono previste le usuali deroghe per le attività agricole e commerciali, pronto soccorso e pubblica sicurezza e per i fruitori del rifugio albergo privato esistente al Nivolet; in questo caso i clienti debbono essere muniti di prenotazione scritta.
L’attestamento delle auto è al parcheggio del Serrù, della capienza di circa 220 posti.
Di qui è disponibile il trasporto sostitutivo con navette, gestito dal Gruppo Trasporti Torinese (GTT). Dall’estate 2005, al terzo anno di sperimentazione, il trasporto pubblico è stato potenziato con corse dal centro abitato di Ceresole, dai comuni limitrofi e con autobus “gran turismo” da Torino, che hanno riscosso un buon successo di utenti. L’iniziativa è stata accompagnata da un apposito ampio piano di comunicazione, rivolto sia agli operatori locali che ai possibili utenti, che si è avvalso di uno specifico logo che ha caratterizzato tutti gli eventi ed è stato utilizzato dai 15 operatori economici locali (alberghi, ristoranti, negozi).
Nonostante il notevole impegno economico sostenuto dal Parco (in media 80.000 euro che hanno consentito di coprire i costi per la campagna di comunicazione, la grafica, stampa e spedizione del materiale informativo, la produzione di gadgets e materiali in vendita, il pagamento delle visite guidate e delle attività di animazione, l’organizzazione generale degli eventi), la comunicazione e la visibilità dell’iniziativa sono state considerate elementi prioritari per rendere il più possibile condivisa un’azione, generalmente impopolare e ostacolata a livello locale, come la chiusura al traffico privato.
L’azione si è sviluppata con la diffusione di 50.000 copie di un opuscolo informativo in circa 250 punti del Nord Italia; oltre 100 contatti giornalistici con la copertura totale delle principali testate di informazione locale, dei principali quotidiani e dei periodici italiani specializzati, oltre a settimanali di grande tiratura; a ciò si sono aggiunti 70 servizi televisivi e radiofonici e una forte presenza sui portali informativi in rete.
Hanno beneficiato di questa capillare azione comunicativa non solo il Parco e gli enti coinvolti, ma anche i 15 operatori economici che hanno aderito all’iniziativa.
Le giornate soggette a regolamentazione sono state caratterizzate da un fitto programma di eventi comprendente escursioni guidate, incontri col guardaparco, iniziative musicali e teatrali, azioni gastronomiche, visite agli impianti idroelettrici.
L’iniziativa, sin dalla prima edizione è stata soggetta a monitoraggio. Ciò consente di avere, oggi, una serie utile di dati di cui riportiamo una sintesi. Il numero massimo delle auto parcheggiate al Nivolet, che era di 485 vetture nel 1993 e di 458 nel 1997, è progressivamente sceso alle 77 del 2003, alle 72 del 2005 e a 60 nel 2007, con una riduzione di circa il 90%.
La regolamentazione non ha tuttavia allontanato i turisti e le navette hanno trasportato in quota, durante le festività di luglio e agosto 2003, più di 2.800 persone, che sono diventate 4.869 nel 2004, 4.444 nel 2005 (nonostante 4 domeniche piovose su 9), per arrivare a un massimo di 5.964 trasportati nel 2006 (quando si è svolto, nella giornata inaugurale un concerto sinfonico curato dall’Orchestra Filarmonica di Torino che ha richiamato 1.800 spettatori) e stabilizzarsi sui 5.564 di quest’anno; in totale hanno sin qui fruito del servizio navetta ben 23.641 turisti. Mediamente il 49% dei visitatori ha dichiarato, tramite apposito questionario, di venire per la prima volta nella zona, a ciò spinto da un’offerta turistica orientata alla riscoperta del paesaggio e dell’ambiente che recuperava una condizione, sempre più rara, di tranquillità.
Il servizio di navetta, dopo le sperimentazioni iniziali, si è attestato sulla frequenza di una navetta ogni 15’, con corse distribuite in tutto l’arco della giornata - con prima partenza alle 9.25 dal parcheggio del Serrù e ultima alle 18.30 - e fermate a Ivrea, Castellamonte, Pont Canavese, Locana, Noasca e Ceresole Reale. L’organizzazione dell’intenso programma di animazione ha visto protagonisti settori diversi, dalla cultura (attraverso gruppi musicali e teatrali locali), all’educazione ambientale che si è avvalsa della presenza sia dei guardiaparco che delle locali Guide del parco (loro la cura di numerosi accompagnamenti alla scoperta della natura dell’area, cui hanno aderito fino a 800 visitatori l’anno), nonché di volontari arrivati da tutta Italia. Non è stato poi trascurato, come detto, il coinvolgimento degli operatori economici locali, che oltre agli 11 ristoranti riuniti sotto il marchio “Sapori del Nivolet”, ha visto la partecipazione dei gestori dell’alpeggio del Carro con i loro apprezzati prodotto caseari.

La speranza di futuro
Un deserto di solitudine e di silenzio, vissuto nelle giornate in cui i pochi umani si disperdono senza affollamento, specie animali tra altre specie animali e vegetali.
E’, allora, atmosfera unica. Qualche anno fa ci è salito il regista iracheno Abbas Khiarostami, cui ho voluto offrire l’ospitalità di un ambiente simile a tanti scenari dei suoi delicati film. E’ rimasto affascinato per questa immersione ai confini dell’infinito.
Siamo stati lì quando l’autunno inoltrato aveva già allontanato le folle vocianti del Ferragosto e anche il più ostinato dei gestori di rifugio, Alessandro Bado, aveva chiuso i battenti della sua ospitale residenza, preparandone ogni angolo ad affrontare le rigidità inospitali dell’inverno. Siamo stati, per quell’anno, gli ultimi “rifugiati” grazie alla disponibilità a una apertura straordinaria. E’ stata occasione per comprendere il valore di questo posto e delle sensazioni che sa offrire.
Atmosfere che raggiunte con l’automobile rischiano di svanire, inghiottite dall’ordinario, dal consueto, fino all’omologazione e alla banalizzazione che accompagna tutto ciò che si può prendere senza impegno e senza fatica.
Insieme all’impatto visivo e paesistico dell’elettrodotto -che suggerirebbe di intraprendere, finalmente, l’iniziativa del suo, fin dalla nascita previsto, interramento- la strada ha sciupato, insieme ad alcune preziosità naturalistiche, proprio la possibilità di fruire di queste sensazioni di contatto con la natura aspra, eppure accogliente, dell’alta quota. Per questo immaginarne una “conquista” senza motori potrebbe segnare un nuovo inizio, capace di aprire nuove, interessanti prospettive di ritorno anche economico e occupazionale. Per farlo bisognerà attivare, insieme alla capacità e alla predisposizione al rischio imprenditoriale, anche creatività e fantasia. Oggi scarseggiano e si preferisce percorrere strade che non rinunciano a scontati progetti di “valorizzazione”, che impongono di dover raggiungere ad ogni costo le terre alte, se non dalle auto private, almeno con altri mezzi di cui si vanta il ridotto impatto ambientale. Nel nostro caso sarebbe più opportuno restituire questo straordinario ambiente alla natura e alla pace dell’alta quota, confidando sul fatto che possa tornare a essere frequentato dalle popolazioni faunistiche che lo abitarono prima dei grandi lavori di cui abbiamo raccontato la storia. Diverrebbe uno straordinario punto di osservazione per un turismo naturalistico di alta qualità, da farsi in punta di piedi, utilizzando come punti di appoggio le strutture esistenti che fruirebbero di una condizione di esclusività e di un sicuro ritorno economico. Una politica lungimirante dovrebbe tornare a promuoverne, oggi, un accesso più meritato, attraverso una mobilità dolce e adeguati investimenti sulla qualità dell’accoglienza.
E’ istruttivo leggere, oggi, ciò che sta scritto sulla targa a ricordo del Senatore Giorgio Anselmi: «artefice tra i più fervidi / del Parco Nazionale Gran Paradiso / che lungamente resse / Presidente della Provincia di Torino / propugnò il traforo della Galisia / e volle questa strada del Nivolè / che conduce il viandante / nell’arcano mondo della Natura / a meditare». In fondo vi si ritrovano le stesse contraddizioni di chi oggi interpreta, in maniera piuttosto lasca, il concetto di sviluppo sostenibile e che, invocandolo, tende a giustificare ogni azione sull’ambiente e sulla natura...
O di chi vorrebbe raggiungere luoghi inaccessibili con i mezzi più disparati, reclamandone il diritto.
«Chi è solo curioso non può accampare diritti», dice il saggio e Thomas Merton ribadisce: «So bene che la solitudine è il loro più grande bisogno; ma se tutti verranno nel deserto, come potranno essere soli?».

Nota bibliografica
Ho attinto per le notizie storiche dalla tesi di laurea di Elio Tompetrini, (relatore prof. Roberto Gambino, correlatore Dr. Vittorio Peracino), Il caso del Nivolet nel Parco Nazionale del Gran Paradiso: i problemi legati all’affluenza in un’area protetta. Politecnico di Torino, Facoltà di Architettura, anno accademico 1997/98.
Una arguta ricostruzione delle vicende si trova nella ricostruzione di Arnaldo Gabutti Il parco imbrigliato. Le vicende del Buthier dai verbali del PNGP e da scritti di Renzo Videsott, distribuito ai partecipanti della XXIX camminata Renzo Videsott, 9 settembre 2007 Alpe Vudaletta e Colle della Vudala (Val di Rhemes).
Per le altre notizie ho tratto informazioni da:
Siniscalco M.C., Antropizzazione e vegetazione nel Parco Nazionale Gran Paradiso: effetti sull’uso turistico del territorio, Torino, 1985.
Tompetrini E., Vaschetto P., A piedi tra le nuvole. Mobilità turistica all’interno del Parco nazionale Gran Paradiso, relazione del Servizio tecnico e pianificazione del PNGP.
Zimmermann U. Nievergelt B., Contributo alla pianificazione del parco nazionale Gran Paradiso, Ente P.N.G.P., Torino, 1986, pagg. 49-51.
A piedi tra le nuvole. Un progetto di mobilità sostenibile nel Parco Nazionale Gran Paradiso.
Parco Nazionale Gran Paradiso- Servizio tecnico e pianificazione, maggio 2004.

Valter Giuliano