lo Stato latita e tergiversa
La legge quadro, si dice, va discussa e rivista, ma è ora di finirla di menare il can per l'aia. La 394 di oggi non è più quella del '91 e neppure del 98, non lo è in parti decisive: manca una cabina di pilotaggio. Senza tavoli e sedi istituzionali e tecniche, come era già stato riconosciuto nelle conclusioni della Conferenza di Torino nel 2002, la situazione continua a peggiorare. E' ora semplicemente di attuare due leggi importanti e disattese: la riforma Bassanini e la 426.
La vicenda dei parchi con i caratteri, i rischi, i problemi posti da Federparchi già da tempo, può trovare risposta adeguata nella individuazione delle cause e soprattutto delle soluzioni che urgono, solo se non viene isolata dal contesto in cui si sta sviluppando e svolgendo la faticosa ricerca di un nuovo assetto istituzionale di stato, regioni ed enti locali. Anzi, potremmo dire che la fase critica che stanno attraversando i parchi, al pari del resto delle Autorità di bacino, offre una chiave di lettura per le ragioni che stanno travagliando il dibattito e il confronto istituzionale, impedendone finora un approdo soddisfacente. Un dibattito -quando lo è- che, avendo preso le mosse dai tagli e da una vera e propria fissa abrogazionista su province, comunità montane, etc
, ignora e aggira in pratica le 'funzioni' da ridefinire per dare concreta attuazione al titolo V, al Federalismo fiscale e ai numerosi e imprecisati codici sulle autonomie. Come se non bastasse, su questo sfondo confuso, abbiamo registrato prima gli effetti della legge delega sul nuovo Codice Ambientale, di cui ha fatto le spese la legge 183, e più recentemente quelli del nuovo Codice dei Beni Culturali, di cui hanno fatto le spese i parchi. I due Piani, previsti per un parco, vedono ora affiancarsi in sede separata un terzo piano: quello paesaggistico. Avremo così, come in un vero regno del bengodi, tre piani: quello ambientale, quello socio economico e quello sul paesaggio. Chissà chi riuscirà a metterli insieme, quando era già evidente la difficoltà a farne due.
Un aspetto che finora non è emerso con la necessaria chiarezza è il fatto che a patirne le conseguenze sono state le leggi più importanti, significative e innovative degli ultimi due decenni in materia di pianificazione ambientale e di governo del territorio. Provvedimenti che per la prima volta hanno configurato una gestione ambientale non ritagliata sui confini amministrativi o settoriali o esclusivamente urbanistici, bensì su quelle che sono state felicemente definite 'invarianti ambientali'.
Le conseguenze sono nazionali, regionali ed anche comunitarie. Mi riferisco, in primis, alla legge 183 dove sono ancora in corso i lavori di riparazione e di cui abbiamo discusso in un recente incontro internazionale a Lerici promosso dal Centro Studi sulle Aree Protette Fluviali di Montemarcello-Magra, ma anche, più in generale, ai silenzi e alle affrettate e sbagliate decisioni di una serie di leggi regionali approvate o in discussione in riferimento al nuovo Codice dei Beni Culturali. Un fatto che riguarda anche regioni da anni seriamente impegnate nella costruzione di un sistema di aree protette. Penso al Piemonte, alla Toscana, alla Lombardia, etc
ma anche al Friuli Venezia Giulia dove mi sembra la pianificazione non riesca ad uscire dai confini comunali. O alla Sardegna dove sulla legge urbanistica -che ha provocato la crisi regionale- in 45 articoli non si trovava la parola parco, ai quali in compenso si continua a riservare assurdi referendum. Emerge insomma una difficoltà crescente a integrare, mettere in relazione aspetti che non escono dai vecchi binari settoriali, tanto che anche il paesaggio perde quel faticato ricongiungimento con la natura che era stato sanzionato dalla 394 e anche dalla Convenzione Europea. Ciò è dovuto al fatto che la filiera istituzionale non riesce a utilizzare al meglio (anzi spesso le penalizza) quelle specialità, come sono appunto i parchi, che si muovono e operano generalmente a quei livelli cosiddetti di 'giustezza' di cui parla la legge. Così prevale una logica urbanistica di cui era espressione più contro-riformistica la proposta Lupi, poi fortunatamente decaduta, ma che sembra stia ritornando in discussione.
I piani dei parchi, lo sanno bene le regioni che si sono spinte più avanti su questo terreno, costituiscono un nodo importantissimo del governo regionale del territorio e un momento altrettanto significativo nella scala nazionale.
Qualunque ragionamento -anche autocritico- sul funzionamento dei parchi, la loro capacità di spesa, etc
che non muova dalla chiara e ineludibile consapevolezza di discutere di anelli e soggetti istituzionali che in Italia come in Europa e nel mondo sono tra i più qualificati e specializzati strumenti del governo del territorio e delle politiche ambientali, oggi giunti ad una stretta cruciale, non porterà da nessuna parte.
E' insomma un punto nodale che non può essere ridotto e immiserito da polemiche pretestuose o di comodo o da trovate da ombrellone.
Ma la legge quadro -si dice- dopo 18 anni va discussa e forse rivista. E lo si dice con particolare riferimento alle aree protette marine, che versano in uno stato comatoso.
Il direttore di una riserva marina siciliana in un recente seminario dell'AIDAP ha detto che per presentare il bilancio della sua area protetta gli sarebbe bastata una slide raffigurante una croce. Ma qui -per responsabilità che non risparmia nessuno- va detto che è l'ora di farla finita di menare il can per l'aia. Sono esattamente 11 anni e precisamente dal marzo 1998 che la legge 394 è stata 'decapitata' dal decreto legislativo che agli art. 75-76-77 abrogò la Consulta tecnica, soppresse il programma triennale e chiedeva di individuare i compiti di rilievo nazionale dello stato (dello stato!) e una disciplina generale dei parchi e delle riserve nazionali comprese quelle marine, il tutto sentita la Conferenza unificata. Il Comitato delle aree protette era già stato abrogato. Si trattava ora di riordinare il tutto per rendere la legge più efficace a livello nazionale e non a caso l'articolo era intitolato icasticamente 'Riordino'. Nove mesi dopo, nel dicembre del '98, il Parlamento varava la legge 426 che all'art. 2 stabiliva -a correzione del decreto- che quel riordino doveva avvenire, non sentite, ma d'intesa con le regioni. A sette anni dall'entrata in vigore della 394 si riteneva necessario rilanciare una politica nazionale dei parchi di cui la 426 indicava alcuni passaggi e obiettivi centrali (Alpi, APE, Coste, etc
) riordinando gli strumenti nazionali dello stato e il loro rapporto con le regioni, per una seria politica di leale collaborazione in grado di avviare la costruzione di un vero sistema di parchi e di aree protette. Ma bisognava fare presto perché, senza consulta, senza comitato nazionale, senza programmazione nazionale, Roma sarebbe rimasta in mutande. E così è stato. La riforma Bassanini è stata totalmente ignorata e dimenticata e così pure la legge 426. Niente progetti di sistema, niente sedi e strumenti ministeriali in grado di fissare obiettivi precisi e concreti davvero nazionali e comunitari, tutto è stato risucchiato in una gestione burocratica asfissiante e impotente. Dal 2001 non abbiamo relazioni sullo stato dell'ambiente: meglio evitare evidentemente di dover parlare di inadempienze.
In effetti quelle due leggi sono rimaste lettera morta e a risentirne pesantemente saranno tutti i parchi e quelli nazionali in particolare.
Ma anche le regioni finiranno per accreditare l'idea di un ministero titolare non della politica nazionale in concorso con le regioni e gli enti locali, ma dei parchi nazionali di cui faranno le spese soprattutto -va ripetuto- le aree marine.
C'è qui però anche una responsabilità seria del Parlamento che su questi aspetti e inadempienze clamorose poco o nulla ha fatto. E non ci si salva l'anima con qualche visita o consultazione dei parchi (e solo nazionali) sulla spesa. Possibile che non si avverta la necessità e l'urgenza di verificare come è stata gestita e soprattutto non attuata la legge, anzi le leggi? Possibile che a nessuno sia venuto in mente in 11 anni di chiedere conto al governo del perché quella legge di riforma è stata dimenticata?
Si può dire la stessa cosa per le leggi delega -visto che se ne stanno preparando altre- dei cui effetti sulla legge 183 e i piani dei parchi nessuno o quasi sembra essersi preoccupato o preoccuparsi. Sono così arrivato al punto che volevo richiamare. Oggi si continua a dire, anche se con una vaghezza che è chiaramente segno di imbarazzo, che sarebbe bene fare delle modiche alla legge sia pure non stravolgenti.
Ma la legge 394 di oggi non è già più da ben 11 anni quella del '91 e neppure del '98, e non lo è in parti decisive perché manca di una cabina di pilotaggio al centro. È senza tavoli e sedi istituzionali e tecniche: come era stato riconosciuto, accogliendo nelle conclusioni della Conferenza Nazionale di Torino la richiesta avanzata da Fusilli a nome di Federparchi, questo stato di cose sarebbe solo peggiorato. Purtroppo anche quelle conclusioni non hanno avuto un seguito concreto anche se fu fatto un decreto rimasto al solito lettera morta. In più sono stati azzoppati i piani dei parchi e molte regioni in base al nuovo Codice hanno già tolto il Nulla Osta ai parchi, mentre le nuove leggi regionali procedono tra molte difficoltà e battute d'arresto. Di quale legge quadro dunque si parla? Del resto quando fu discussa e approvata la legge delega sul Codice Ambientale dopo tante polemiche si decise che avrebbe riguardato anche la legislazione dei parchi. Poi fortunatamente non se ne fece di niente. Alla domanda perché, il sottosegretario Tortoli rispose senza esitazione che non se ne era ravvisata la necessità. Allora? C'è qualcuno al Ministero e in Parlamento che sta lavorando per riattivare e dare finalmente attuazione a quello che ben due leggi nazionali hanno stabilito e due leggi deleghe in parte ulteriormente peggiorato? Qui non c'è da studiare chissà quali emendamenti, a meno che non si voglia ricorrere a sortite tipo quella di Pecoraro Scanio che in uscita propose un emendamento per dimezzare le Commissioni di riserva della aree protette marine; siamo alla fissione dell'atomo. Ma noi abbiamo bisogno non di cose grottesche. Ho accennato al mare, ebbene nel 2004 alla Commissione Ambiente della Camera si discute dei finanziamenti delle aree protette e un deputato di F.I. chiede perché manchino quelli alle aree marine. Si rimedia presentando una tabella che a piè di pagine ha un "Nota Bene": «I fondi saranno ripartiti dal Capogabinetto». Io ho fatto il parlamentare per un bel po' di anni e non ricordo niente del genere. Del resto perché stupirsi se sempre un Capogabinetto, dopo che i decreti istitutivi di alcune aree protette marine (tra le quali la Meloria che è in lista d'attesa da quasi una trentina d'anni) hanno finalmente compiuto il loro complicato giro prima di giungere alla firma definitiva, annuncia con lettera alle regioni interessate che neppure questa volta se ne farà niente perché il piatto piange. Questa è recentissima. Meno recente, ma non meno significativo, il caso di quell'autorevole funzionario nazionale incaricato di occuparsi di una riserva marina sarda che scrive da Roma a se medesimo per chiedere conto della situazione; non so se poi si è anche risposto avviando un carteggio sullo stato delle nostre aree protette marine. Vorrei concludere con una annotazione sul parco come soggetto istituzionale. Lo si è definito misto, composito sul piano delle rappresentanze istituzionali. Ma il parco, a differenza degli altri soggetti istituzionali anche elettivi che per tutta una serie di compiti tecnici ricorrono ad aziende, enti strumentali ed altro, nella sua gestione integra e unifica gli aspetti amministrativi a quelli tecnico-scientifici al punto che spesso i comuni gli delegano, ad esempio, la gestione -come all'Uccellina- di ecomusei e altro. E mentre gli enti strumentali delle regioni possono essere sciolti e quelle funzioni assegnate dalla casa madre ad altri o no, per le oltre 1000 aree protette di cui ha parlato in più d'una occasione anche il presidente dell'UPI, se venissero sciolte come lui sembra ipotizzare o auspicare- il discorso non vale e alle province o altri enti non andrebbe assolutamente niente perché le competenze dei parchi, se essi venissero sciolti, nessuno potrà ereditarle. I parchi insomma non hanno eredi.
In conclusione il futuro delle nostre aree protette è già scritto nella nostra legislazione che va ora messa nelle condizioni -dopo anni di colpevoli inadempienze- di funzionare a partire dalla testa. C'è in questa situazione qualcosa di paradossale.
Per anni si è rivendicato da parte del centro il ruolo di 'indirizzo e coordinamento' spesso rivelatosi strumento per sottrarre alle regioni competenze che non si intendevano decentrare. Oggi, paradossalmente, dobbiamo augurarci che al più presto il governo riesca a svolgere questa funzione di indirizzo e coordinamento che latita da oltre un decennio. E per farlo c'è poco da inventare; basta attuare sia pure con colpevole ritardo due leggi importanti e disattese.
Renzo Moschini
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