con Giorgio Celli
Duecentenario della nascita e centocinquantenario dell'uscita del celebre "L'origine della specie", il 2009 non può che aprirsi con un contributo a ricordare quello che è stato forse il più grande naturalista di sempre: Charles Darwin. Un'occasione ghiotta per ripercorrere la storia della sua vita inscindibilmente legata alle ricerche sull'evoluzione, cosa che abbiamo fatto con il brillante aiuto del Prof. Giorgio Celli in una lunga conversazione. Rivisitare scritti e idee di questo grande scienziato ci porta a capire, cosa possibile forse più oggi di allora, la portata rivoluzionaria e prodigiosa delle sue ricerche e deduzioni.
Ma lasciamo la parola al racconto di Giorgio Celli
Darwin non fu uno studente particolarmente geniale, arrivò decimo quando prese il diploma, però era fortemente interessato alle scienze naturali fin da piccolo, si ricorda che avesse la passione di raccogliere coleotteri in gran numero.
In merito vi è un buffo episodio, quando era ragazzino si racconta che un giorno trovò un coleottero, poi un secondo e inizio a confrontarli, poi un terzo e non sapendo come raccoglierlo, ne mise uno in bocca, a dimostrazione del fatto che era un bambino davvero amante della natura. Questi interessi contrastavano con quelli del padre, che faceva il medico ed aveva fatto fortuna con il suo mestiere, un successo che tra l'altro permise a Darwin di non lavorare mai: visse sempre mantenuto.
Il padre desiderava che il figlio continuasse la propria strada, raccogliendo l'eredità dello studio medico e i suoi pazienti. Per questo Darwin intraprese gli studi in medicina, senza mai essere contento delle aule tetre in cui passava il tempo lontano dalla natura.
Poi un giorno fu costretto ad assistere all'operazione chirurgica di un bambino, allora ovviamente praticata senza anestesia, e fuggì non potendone sopportare la crudezza e decidendo quindi che non avrebbe potuto fare il medico. Diede così la prima delusione al padre e si iscrisse ad una facoltà umanistica da cui un altro paradosso interessante: Charles avrebbe dovuto farsi prete. Nel frattempo era solito accompagnarsi agli scienziati della sua università e si fece una buona cultura scientifica grazie a queste frequentazioni. Fu così che gli venne proposto di imbarcarsi per una spedizione intorno al mondo della durata di 5 anni su una nave, la famosa Beagle: lui accettò grazie al nonno che convinse il padre, fortemente contrario a lasciarlo partire. Il nonno materno fu per Darwin sempre un sostegno importante.
Proprio grazie a questo viaggio straordinario possiamo dire che Darwin divenne il più grande naturalista dopo Aristotele. Vide una terra vergine: nell'800 il mondo era ancora un eden ricco di natura e di animali. L'ingerenza dell'attività umana sull'ambiente in quegli anni stava iniziando a farsi più significativa, ma rimaneva confinata in piccola aree, come l'Inghilterra della rivoluzione industriale. Alle Galapagos in particolare trovò una fauna endemica straordinaria: le iguane marine ed i famosi fringuelli. La storia fu che lì per lì li raccolse, li imbalsamò (era anche un bravo "tassidermista") e le portò in Inghilterra perché un ornitologo potesse analizzali. Fu poi Gould (non quello di oggi) il più grande ornitologo inglese di allora che gli confermò essere dodici buone specie diverse, che si differenziavano per il becco a seconda del cibo che mangiavano. Darwin non ricordava dove esattamente avesse prelevato le singole specie, ma fortunatamente pare l'avesse annotato con precisione il suo capitano, l'ammiraglio Fitzroy. Proprio i fringuelli furono veicolo per una "prima rivelazione" (che in realtà poggiava sulle idee di evoluzione già espresse da Lamarck): è mai possibile che Dio abbia creato tutte queste specie diverse allo stesso momento, non sarà più facile che sia arrivata dall'Ecuador una coppia di una singola specie e poi gli individui si siano man mano differenziati adattandosi alle diverse situazioni trovate sulle Isole Galapagos.
Darwin intuì questo fatto, ma non sapeva come spiegarne correttamente il meccanismo. A questo dedicò praticamente il resto della sua vita.
Dopo il viaggio di 57 mesi sulla Beagle, si sposò con una sua cugina e si isolò a Down House. da cui uscirà solo per andare a curarsi alle terme. Non si sa bene quale male avesse, ma si sa per certo che ciò di cui soffriva riduceva notevolmente le sue facoltà lavorative, impedendogli di lavorare nel pomeriggio. Nonostante ciò ebbe ben 10 figli. Esistono due ipotesi in merito alla sua malattia. La prima é che avesse il morbo di Chagas, una zoonosi causata da un protozoo, che avrebbe contratto nelle gite sulle Ande. Darwin racconta infatti di avere dormito in una capanna dove c'erano molte Triatoma infestans, emittero portatore del morbo suddetto, allora ovviamente sconosciuto e con nessuna cura possibile. In molti casi è malattia mortale, nel suo caso probabilmente fu una versione non troppo aggressiva, dal momento che morì poi nel 1882 all'età di 73 anni.
La seconda ipotesi, che gli psicanalisti prediligono, è che questo suo stato fosse dovuto all'aver deluso e trasgredito alle volontà del padre e soprattutto avere per così dire "spiazzato Dio": un peso non da poco, anche considerando che Darwin aveva una moglie molto bigotta che sicuramente non lo aiutò a superare questa contraddizione.
Pur essendo infatti comunemente considerato un ateo, perché nei suoi taccuini scrisse di non credere nella creazione divina, tuttavia quando pubblicò "L'origine delle specie" si può dire che fosse un teista: pur ribadendo di non credere nella religione cristiana, scrive infatti di credere alla necessità di un essere superiore. Nonostante ciò, dal punto di vista scientifico, rivendicò sempre il meccanismo del cambiamento delle specie, senza mai lasciar spazio alla provvidenza nell'evoluzione.
Tornando alla storia, Darwin trovò conforto in un testo di demografia di Malthus che sosteneva una tesi valida in parte ancora oggi: mentre le risorse crescono in progressione aritmetica (1,2,3,4,
), gli organismi si riproducono in progressione geometrica (1,2,4,8,16,32,
), per cui "la rincorsa" degli individui alle risorse è impossibile, il che implica che una parte degli individui debbano morire. Un altro colpo non da poco alla bontà divina cristianamente intesa.
Il paradosso è che "la morte di Dio", per così dire, fu determinata da un prete mancato (Darwin) e da un pastore anglicano in carica (Malthus appunto).
Darwin aveva osservato inoltre ed individuato il meccanismo di selezione artificiale, allevando i colombi, la cui variabilità è enorme: se ne conoscono più di 250 specie. Una tale varietà era facilmente spiegabile tramite il lavoro effettuato dagli allevatori che negli anni avevano fatto accoppiare i portatori di caratteri specifici, operando quindi una selezione artificiale.
Darwin notò inoltre che i singoli individui tra loro sono sempre differenti, per cui se non possono sopravvivere tutti, sembra ovvio che vivranno quelli che hanno maggiore possibilità di farlo. Ed infatti nella seconda edizione de "L'origine delle specie" utilizza l'espressione "sopravvivenza del più atto", che in realtà aveva già coniato il contemporaneo Herbert Spencer, filosofo britannico che sposò la tesi evoluzionista portandola in campo sociale.
Quasi tutte queste intuizioni erano già contenute più o meno apertamente in alcune bozze di testo scritte intorno all'inizio degli anni 40 dell'800, ma che egli non riuscì a pubblicare molto probabilmente per la sua situazione familiare e psicologica.
Fu così che gli arrivò, dieci anni più tardi, quello che deve essere stato un duro colpo: dalle Isole Molucche, un giovane ricercatore (più giovane di lui di ben 14 anni) in qualche notte di febbre dovuta alla malaria o alla febbre gialla, scrive un saggio e lo manda proprio a lui perché venga pubblicato dalla Linnean Society. In quelle pagine era data una precisa spiegazione dell'evoluzione.
Il giovane ricercatore era Alfred Russel Wallace, un giramondo che andava per il pianeta a raccogliere reperti e specie per i musei: oggi sarebbe definito un "bio-pirata", ma allora era consuetudine questo tipo di raccolta.
Darwin rimase folgorato dallo scritto di Wallace: aveva perso "la priorità" della sua ricerca. Chiese consiglio alla comunità scientifica con cui era in contatto. Gli venne risposto che Wallace aveva sì avuto l'intuizione e l'aveva scritta per primo, ma egli aveva lavorato duramente, raccolto ed elaborato le prove di quest'idea negli anni precedenti. Venne quindi proposto di pubblicare in un saggio unico le bozze già redatte da Darwin negli ultimi dieci anni ed il testo di Wallace. E così avvenne.
Questo fatto sbloccò definitivamente Darwin che un anno dopo, nel 1859, pubblicò la prima versione de "L'origine delle specie", le cui 2500 copie si esauriranno in un solo giorno. Un successo destinato a ripetersi con la seconda edizione.
La posizione di Wallace fu quella di un vero gentiluomo: riconobbe che Darwin aveva avuto le prove prima di lui pur non avendole pubblicate, e accettò di conseguenza il ruolo del discepolo, rimanendo amico e corrispondente di Darwin. Quando nel 1900, circa 20 anni dopo la morte del maestro, pubblicò un testo sull'evoluzione lo intitolò "Il darwinismo": un fatto che testimonia la lealtà completa propria del gentleman inglese.
Prof. Celli, "le glorie" di Darwin sono davvero molte, proviamo a riassumerle in rapida sequenza per i nostri lettori
Un primo risultato fu di avere scoperto "la selezione naturale", ovvero il fatto che la natura meccanicamente premia quelli più atti a vivere e consente loro di riprodursi di più: in questo modo le specie si differenziano e si evolvono.
Poi scoprì "la selezione artificiale" come testimonia il suo famoso libro sulle variazioni, argomento su cui era in contrasto con Wallace. Quest'ultimo pensava infatti che le specie domestiche fossero instabili, ovvero che lasciate a se stesse tornassero in qualche modo "indietro" allo stato primitivo, ed utilizzava questo argomento per sostenere una sorta di "fissismo" della natura. Darwin, invece era fermamente convinto che la selezione artificiale fosse in molti casi irreversibile, ed aveva ragione.
A suffragio di tale irreversibilità, mi piace citare l'esempio del mais, più che mai attuale e non certo utilizzato da Darwin. Il mais è antichissimo, si sono trovati semi di più di seimila anni fa. Attraverso selezione e incrocio gli agricoltori hanno fatto sì che i semi, per necessità di raccolta, rimanessero saldamente attaccati alla spiga, mentre nella specie originaria raggiunta la maturazione cadevano a terra. Oggi se l'uomo sparisse dal pianeta, il "granoturco" sparirebbe con lui perché ha perso la capacità di riseminarsi da solo.
Gli esperimenti di selezione artificiale erano quindi interpretati in modo opposto: per Darwin costituivano una prova a suffragio della teoria dell'evoluzione, mentre per Wallace costituivano un "contro-argomento" alla stessa teoria.
Molte furono in realtà le differenze tra i due. Wallace diventerà, per esempio, il più grande studioso e fondatore della biogeografia, concentrandosi sul concetto di areale e isolamento geografico. Elaborò e sostenne il concetto di "speciazione allopatrica" secondo cui l'esistenza di barriere geografiche, separando due popolazioni di individui della stessa specie in due territori distinti, portano alla loro differenziazione. L'isolamento geografico invece fu un elemento che Darwin, forse a torto, considerò poco. Wallace inoltre riteneva che la selezione agisse più sui gruppi che non sui singoli individui: fu in tal senso il fondatore della dinamica delle popolazioni, dell'evoluzione per gruppo, che sarà ripresa poi in seguito da Fischer e Wright e altri. Altra differenza è che Wallace non utilizzò mai la parola selezione, che riteneva implicita nel concetto di lotta per la sopravvivenza, da lui sempre sottolineato con grande convinzione.
Entrambi in ogni caso devono essere stati molto influenzati nelle loro posizioni da un saggio di Linneo sull'economia della natura dove "la lotta per la vita" occupava una posizione determinante. E' difficile in tal senso attribuire una precisa paternità di alcuni concetti che restano elaborati da più menti.
Altra geniale intuizione di Darwin fu "la selezione sessuale" con cui pose praticamente le fondamenta dell'etologia, osservando e mostrando tutti i corteggiamenti degli animali che sono alla base del dimorfismo sessuale. Tale selezione avviene infatti con due modalità: in alcune specie, per esempio negli uccelli, la femmina sceglie i maschi più belli, in altre specie la competizione avviene tra i maschi per le femmine, ed è per questo che i primi sono più muscolosi e le seconde più belle. Un principio che coinvolge anche l'uomo, il cui dimorfismo avviene proprio a seguito di questo secondo meccanismo, come Darwin scrisse in testo intitolato "L'evoluzione dell'uomo per selezione sessuale".
L'ipotesi poi che l'uomo derivi dalla scimmia, alla base di tante controversie e polemiche, nacque dall'osservazione delle somiglianze di posture ed espressioni facciali cui egli dedicò un altro celebre libro: "L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali". Si può dire che Darwin sia anche fondatore dell'ecologia, perché il suo ultimo lavoro, a testimonianza di una curiosità ed una passione che mai lo abbandonarono, è uno straordinario testo sui lombrichi. Visitando Down House, oggi trasformata in museo, troverete la "warm stone", ovvero la "pietra dei lombrichi" che lo scienziato prima di morire pose nel suo giardino perché si potesse verificare la bontà delle sue idee. Egli sosteneva infatti che i lombrichi, non solo hanno avuto un ruolo primario nel formare attraverso il loro processo di digestione lo strato di suolo coltivabile sulla superficie terrestre, ma sono anche causa del rimescolamento della superficie terrestre che ha portato per esempio le città archeologiche a sprofondare sotto terra. Dalla morte di Darwin ad oggi, la pietra è sprofondata, mi pare, di 3 centimetri. Ma la cosa più interessante è che lo studio sui lombrichi dimostra come il rapporto tra animale ed ambiente non sia solo di natura passiva, bensì anche attiva: l'animale si adatta, ma nello stesso tempo modifica l'ambiente alle sue esigenze. Principio che è alla base dell'ecologia, appunto.
Darwin fu uno scienziato monumentale fondatore di quasi tutte le discipline delle scienze naturali: possiamo immaginarlo come una grande statua dalle cui membra, separate successivamente, nacquero molte branche della scienza.
Dimenticavo di ricordare che fu anche un eccellente geologo. In questo campo fece un celebre errore sostenendo che all'origine delle "Parallel roads" di Glen Roy nelle highlands scozzesi vi fosse il solo scorrimento delle acque fluviali e non un ritiro dei ghiacci come invece dimostrò poi il suo grande rivale Agassiz. Una delle poche volte in cui ebbe torto. In compenso, sempre come geologo, fu lui a formulare l'ipotesi corretta sull'origine degli atolli marini, cche nascono dal lento sprofondare di vulcani sulle cui pendici si formano i coralli. Nel 1957 una nave oceanografica della marina americana dimostrò la veridicità di questa sua ipotesi di molti anni prima.
Vorrei porle una domanda orientata a collegare il pensiero di Darwin con i parchi. Evoluzione e biodiversità come si relazionano? E come vede lei lo sforzo delle aree protette per la conservazione della biodiversità? Sempre che riescano in questo intento
L'evoluzione è la spiegazione della biodiversità. Sicuramente i parchi fanno un notevole lavoro per proteggere la biodiversità, rispetto alle loro reali possibilità. Oggi l'idea di parco è cambiata, non è più tanto legata all'isolare una porzione di natura per lasciarla libera di evolvere senza l'ingerenza umana.
Ora che l'uomo è diventato così egemone sul pianeta, si è capito che il parco va gestito, altrimenti scompare. Io ne so bene qualcosa, facendo parte del comitato scientifico del Parco del Delta, che interessa un territorio molto antropizzato.
Nasce quindi un parco in cui l'uomo è un elemento portante, e di conseguenza l'area protetta diventa anche produttore, per esempio nel campo dell'agricoltura; anche se dovrà produrre nel modo più soffice possibile, in sintonia con i suoi obiettivi di conservazione, per cui non potrà fare agricoltura industriale, dovrà sperimentare e mettere a punto nuove forme di orticoltura biologica.
I parchi comunque, a mio parere, nonostante siano compromessi da molte influenze esterne (piogge acide, acque inquinate, etc
), sono ancora una garanzia per il futuro.
Sulla biodiversità bisogna far capire alla gente una cosa in particolare che è anche una risorsa "per fare degli affari". Il significato di conservare le piante è ben dato dall'esempio della vinca rossa del Madagascar una pianticella in estinzione che nei suoi tessuti ha elaborato un prodotto secondario, che ha preso il nome di vinblastina e che è uno degli anticancerogeni per la leucemia dei bambini. Non dimentichiamoci che il 70% della ricerca farmacologica è basata sulle piante. Bisogna dire nel contempo che, questa stessa mentalità delle medicine alternative sempre più diffusa, se viene distorta o ingigantita, può portare alla minaccia di specie ed ecosistemi. La tigre è in pericolo oggi proprio perché la farmacopea alternativa infame della Cina considera quest'animale come una farmacia ambulante. E' un patrimonio non più tanto per la pelle, quanto per le altre sue parti: l'unghia della tigre serve come amuleto, i denti pure, le ossa macinate curano i reumatismi, il grasso cura l'impotenza, il fiele qualcos'altro e così via. Per cui uccidere una tigre e portarla in Cina significa fare un affare eccezionale. In tal senso i rimedi naturali e le medicine alternative devono essere considerate davvero con attenzione.
Un'ultima curiosità. L'evoluzione darwiniana sembra porre l'accenno sulla lotta per la vita, come se l'evoluzione avvenisse solo attraverso una continua battaglia. Ma che peso hanno invece i meccanismi di cooperazione?
Noi sappiamo benissimo oggi che, quando consideriamo l'evoluzione, parlare solo di lotta per la vita è sbagliato. Esiste accanto ad essa quello che Rousseau chiamava "l'aiuto reciproco". La selezione è un meccanismo, ma non è il solo, mi sembra evidente. Basta considerare quella che forse è la più grande simbiosi naturale, oggi messa in crisi dalla scomparsa delle api: quella tra fiori e insetti per l'impollinazione. Un fatto portentoso, in cui la selezione entra sempre in gioco, ma con modalità diverse. Si parla in tal caso di "co-evoluzione": entrambi i soggetti evolvono insieme selezionando gli aspetti per meglio adattarsi a supportare l'altro nel raggiungimento di uno scopo comune.
Se poi parliamo di evoluzione in etologia le cose si complicano, fino ad arrivare a meccanismi evolutivi "culturali"
In etologia si parla della collaborazione di gruppo come origine dell'altruismo.
Esiste poi l'evoluzione culturale come ha sottolineato quel genio di Dawkins con la sua teoria dei "memi", ovvero sistemi culturali che si ereditano.
Ben si sa che alcune scimmie giapponesi immergevano le radici in acqua di mare per lavarle e insaporirle con il sale marino, tramandandosi questa conoscenza di generazione in generazione. Lascio i nostri lettori con un esempio straordinario proprio in merito ai "memi". Una povera scimpanzé arrivata allo Zoo di Barcellona, era servita ad un fotografo infame come modella per posare con i bambini. Siccome talvolta mordeva quando veniva costretta a restare ferma per lungo tempo, il fotografo le aveva fatto togliere tutti i denti: una vera crudeltà.
Quando arrivò allo zoo senza denti non era più in grado di mangiare direttamente le carote che le venivano date in pasto, non potendole masticare. Iniziò così a grattugiarle sulla superficie ruvida di un muro per poterle ingerire e fu così che ben presto tutti gli scimpanzé dello zoo diventarono "grattatori" di carote.
Purtroppo oggi quella geniale scimpanzé è morta. Questi sono veri e propri "memi", vengono tramandati molto rapidamente e sono "i sistemi culturali dell'evoluzione".
Giulio Caresio
|