Mai quanto oggi si è parlato e discusso di comunicazione. Eppure mai quanto oggi l'uomo ha vissuto una condizione di isolamento e incomunicabilità. I testi che scriviamo, i manifesti e i depliant che stampiamo, i forum e i blog cui diamo vita in internet, le lezioni e le conferenze che ascoltiamo, tutte queste occasioni, presenti in numero sempre crescente nella nostra vita, non sembrano permettere di far un solo passo avanti per cambiare la situazione. Anzi sembrano dilatare quegli spazi di non comunicazione che riempiono con sempre maggiore prepotenza il tempo del nostro quotidiano.
Basta trovarsi intorno ad un tavolo con gente semplice, quella che in molti casi è l'anima dei luoghi (dalle vallate alpine alle isole del sud) in cui nascono i parchi, per rendersi conto che vi è ben poco di genuino in ciò che oggi comunemente chiamiamo comunicazione.
Il problema è tutt'altro che semplice e non si pretende certo di risolverlo in queste pagine sottoposte, così come chi sta scrivendo, alle stesse insidie da cui vorrebbero mettere in guardia. Si scrive una rivista per comunicare, ma si riesce davvero a favorire uno scambio? E' con sincerità questo l'intento con cui nascono interventi, articoli e speciali che riempiono Parchi? Lo chiediamo a noi e a voi, perché le risposte ci aiutino a non perdere mai di vista quelli che sono presupposti e propositi irrinunciabili.
In ogni caso è nostro desiderio suggerire alcune chiavi di lettura perché si possa, almeno in qualche momento, "andare oltre" queste insidie di "falsa comunicazione", e allo stesso tempo vedere se è possibile, in particolare per le aree protette, creare alcuni spazi che favoriscano questo "andare oltre" e tornare a condividere qualcosa con chi ci sta vicino.
Un approccio culturale non è certo sufficiente, tuttavia sembra quanto mai necessario se si guarda all'impoverimento su molti fronti del panorama di idee, energie e capacità propositiva. Una situazione decisamente generalizzata nel nostro paese, che non manca di interessare in profondità le aree protette, come è emerso chiaramente nel corso del VI Congresso Nazionale di Federparchi che ha da poco chiuso i battenti.
Un quadro disarmante che, per il settore dedicato alla natura, trova preciso riscontro in campo editoriale, come ci racconta nella sua attenta inchiesta Giulio Ielardi: una crisi tanto profonda da lasciare quasi vuoto il capitolo dedicato a nuovi progetti e prospettive per il futuro.
E forse, per provare a delineare nuove possibilità, è bene partire proprio dal tema spinoso e trasversale della comunicazione, che desta tanta attenzione e cui abbiamo deciso di dedicare ampio spazio su questo numero, come filo "speciale" che lega insieme interventi differenti.
Innanzitutto bisogna intendersi su cosa voglia dire comunicare. Ritrovarne una definizione. Ed anche per questo abbiamo sentito cosa ne pensano alcuni addetti ai lavori, con la voce "esterna" di Enrico Morteo, architetto e storico del design, e quella "interna" di Enrico Camanni direttore di Piemonte Parchi.
Risalendo nel tempo, il significato latino era "mettere in comune con altri qualcosa che è parte di noi". Una caratterizzazione cui fare riferimento, che evidenzia due aspetti molto rilevanti, raramente presenti in ciò che chiamiamo comunicazione: un'attenzione rivolta all'altro con cui si desidera condividere parte di noi, e la necessità di trovare qualcosa che sia nostro da mettere a disposizione.
Qualora uno di questi due aspetti non sia presente sarebbe preferibile tacere.
Purtroppo però anche nel raro caso in cui onestamente siano entrambi presenti, ciò non è sufficiente. E' facile infatti constatare come accada molto spesso di non riuscire a passare all'altro qualcosa di noi, anche nelle migliori condizioni e mossi da un'intenzione che pare sincera. Ciò dipende da molti fattori differenti, quasi tutti collegati con la grande confusione che ci circonda e ci permea, rendendo difficile sintonizzarsi per entrambe le parti in gioco su frequenze non disturbate, "alte" e oneste di trasmissione e ricezione.
Accade invece che ai nostri occhi siano molto efficaci "campagne di comunicazione" basate su messaggi palesemente mendaci, ambigui o aggressivi, non solo nei contenuti, ma anche e soprattutto nel tono, nelle intenzioni e nelle modalità.
A tal proposito va detto innanzitutto che chiamiamo comunicazione qualcosa che non lo è, proprio perché priva delle due caratteristiche fondanti individuate sopra. Sarebbe meglio designarla come "persuasione meccanica", dal momento che fa perno su nostri consolidati automatismi, amplificandoli ed utilizzandoli soprattutto allo scopo di ottenere un profitto economico o un potere di controllo. E' questa natura che influenza e guida gran parte dei messaggi che ci circondano, rendendo tanto simili e praticamente senza distinzione gli spot pubblicitari, quelli elettorali e talvolta purtroppo anche le nostre discussioni quotidiane.
Il tentativo di sottrarsi a questo "cliché" è difficile, ma doveroso. Per questo è necessario dar vita a spazi nuovi e appositi in cui regni una certa quiete, un silenzio che favorisca un risveglio della nostra attenzione per uscire dalla meccanicità ed entrare in una dimensione in cui sia possibile che una reale comunicazione accada.
Nel creare queste condizioni l'elemento "natura" ha di per sé un ruolo molto importante.
Da un lato, infatti, è portatore, come insegna lo studio dell'ecologia moderna, di meccanismi di cooperazione e relazione: predecessori ancestrali della comunicazione che sono presenti in tutti noi e risultano molto più vicini al quotidiano di quanto non si immagini. Più o meno consapevolmente, infatti, abbiamo mutuato dai sistemi naturali (da quelli che permettono il funzionamento di una cellula a quelli che regolano i cicli alimentari, oppure le comunità animali, o ancora il nostro sistema neurale) molti dei concetti oggi più in voga (da quello di rete a quello di diversità) utilizzandone ed assoggettandone potenza ed efficacia ai nostri scopi.
Dall'altro "il verde" è elemento di distensione e tranquillità capace di influenzare e fare spazio nel cuore, nella mente e nel corpo delle persone. Un fatto di cui ci rendiamo ben conto davanti ai grandi spettacoli della natura, o quando cerchiamo un po' di relax fuori dalla città nel week-end.
Queste riflessioni, unite alla constatazione che nei contesti ordinari ciò che prende il nome di comunicazione è sempre più invasivo, volgare e bombardante, suggeriscono un'opportunità per i parchi nel segnare una strada differente, all'insegna di quiete, attenzione e cultura per aprire nuovi spazi di dialogo reale.
Un percorso che richiede di modificare, almeno in parte, l'attitudine con cui guardiamo alla comunicazione nelle aree protette, che non può e non deve limitarsi, come spesso nei fatti accade, alla realizzazione di elementi informativi convenzionali come cartelli, bacheche, depliant, etc
Non che questi ultimi vadano totalmente abbandonati, ma piuttosto pensati e inseriti in una visione ben più ampia, adeguandoli nei modi, nelle forme, nei materiali e nei contenuti perché si facciano portatori di un messaggio chiaro e unitario insieme ad altri soggetti ben più attivi sul territorio: gli elementi della natura e gli uomini che lo abitano, ovvero l'ecosistema.
Spunti interessanti vengono in tal senso da architettura e design, che da sempre si occupano di funzione sociale e comunicativa dello spazio e degli oggetti, e che negli ultimi anni hanno sviluppato un'attenzione sempre maggiore ai temi legati ad ambiente e sostenibilità.
Aprire possibilità di scambio bidirezionale con i parchi sembra la ricetta più idonea per fertilizzare entrambi i terreni. Con questo intento e con quello di raccogliere una parte della preziosa eredità di un 2008 che ha visto una città italiana, Torino, essere World Design Capital, abbiamo sentito in particolare la voce di Enrico Morteo che ha fornito non pochi spunti di fondo.
Molto da scambiare c'è anche con la sfera del cinema ambientale di cui abbiamo voluto ripercorrere le tappe principali insieme a Gaetano Capizzi, direttore storico del Festival Cinemambiente: un esempio unico nel panorama italiano ed europeo.
Anche in questo caso il contatto con il mondo dei parchi sembra debole e sporadico, come dimostra la carenza di pellicole che li interessino direttamente, mentre una più forte connessione potrebbe fornire nuova linfa vitale alle aree protette. Basti pensare a forza e lirismo del nuovo cinema documentaristico francese, che ha sfornato pellicole capaci di aprire mondi naturali quasi sconosciuti, come quello degli insetti, ad un vasto pubblico.
Arricchiscono poi il ventaglio di letture due contributi più tecnici. Il primo deriva da una tesi di laurea che ha analizzato a fondo il lavoro di un nostro grande e relativamente giovane parco nazionale, quello delle Foreste Casentinesi, proprio sul fronte della comunicazione. Il secondo illustra, invece, una ricerca condotta dall'Enea sull'utilità gestionale di indicatori e studi ambientali prodotti dalle alle aree protette e sottolinea come esistano ampi margini di miglioramento proprio tramite una comunicazione, interna ed esterna, più efficace.
Cito per ultima in questa carrellata, ma è prima per importanza, la comunicazione rivolta ai ragazzi, presente grazie all'intervento di Maria Villani sul progetto "Cittadini del parco". Ambiente ed educazione sono strettamente legati: la tutela della natura implica norme e scelte che definiscono una nuova cittadinanza; un fatto cruciale per le "leve del futuro", motivo per cui ci impegniamo fin d'ora ad approfondire ulteriormente questi temi sui prossimi numeri della rivista.
Quello di giovani ed adolescenti è un terreno difficile che, nei parchi, va coltivato sia tramite il contatto più istituzionale con le scuole ed i loro percorsi educativi sia con iniziative, sensibilità e linguaggio che si rivolga direttamente ai ragazzi, senza dimenticare che le opportunità in tal senso non si limitano alla didattica settoriale dei sistemi naturali (fiori, piante, animali, geologia, etc
) o delle problematiche ambientali (acqua, energia, rifiuti, etc...), ma si estendono a tutti i temi e le connessioni cui in queste pagine abbiamo più volte fatto riferimento in una visione più ampia e profonda dell'ecologia.
Tale atteggiamento è una delle chiavi per ricollegare lo sviluppo della società contemporanea ed il mondo naturale, saldando una ferita che talvolta appare profonda e incolmabile. Un po' come quella che si riscontra sempre più spesso tra le nostre tante iniziative di comunicazione ed un reale ed onesto intento di comunicare.
Giulio Caresio
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