Nella storia del Festival Cinemambiente, esempio unico in Europa, è riassunta quella più ampia della macchina da presa puntata su ambiente e natura. Un universo complesso e variegato, tutto sommato giovane e in continua evoluzione, che va dalla pellicola di denuncia, al documentario, alla fiction, sfiorando spesso i parchi, ma lasciandoli quasi sempre attori non protagonisti.
La Dichiarazione di Stoccolma del 1972, e ancor più la Dichiarazione di Rio de Janeiro e l'Agenda 21 del 1992, hanno affermato l'importanza dell'educazione e dell'informazione ambientale come strumenti per promuovere comportamenti a favore dell'ambiente e dello sviluppo sostenibile. In seguito, il trattato di Maastricht ha promosso l'informazione ambientale a diritto dei cittadini e a dovere delle pubbliche amministrazioni. In Italia nel 1997 a Fiuggi, è stata varata dal Comitato interministeriale Pubblica Istruzione-Ambiente del primo governo Prodi, la "Carta dei Principi per l'Educazione Ambientale" in cui sono stati ribaditi gli impegni internazionali per il rafforzamento delle attività di educazione ambientale. L'ambiente, anche se tema fortemente trasversale che include cronaca, politica ed economia, è un argomento scientifico e richiede un linguaggio appropriato e allo stesso tempo chiaro e coinvolgente. Pubbliche amministrazioni, scuole ed enti formativi e professionisti della comunicazione, in questi anni hanno riflettuto sui concetti di informazione ed educazione ambientale alla ricerca di strumenti al passo con i tempi e in grado di arrivare ai cittadini. In una società che ha spinto all'estremo l'importanza della dimensione visiva nel campo nell'informazione e nell'apprendimento, il cinema non poteva essere ignorato.
La visione, lo sguardo, sono diventati negli ultimi decenni i principali strumenti di conoscenza per milioni di persone e il cinema si è configurato come medium principe dell' "arte della visione", scavando fin dalla sua nascita oltre il mutevole regno delle apparenze, "rivelando ciò che nello svolgimento del reale passerebbe inosservato" e affermandosi come strumento che "potenzia le nostre capacità di percezione del mondo" .
Un film, e ancora più un filone cinematografico, per imporsi deve trovare terreno fertile, fare leva su interessi e preoccupazioni, anche inconsce, del pubblico, operando come una sorta di terapia psicoanalitica che porti in superficie sensazioni ancora non razionalizzate. Un esempio può essere la fortunata serie di film sui mostri postatomici degli anni '50. Godzilla (Giappone, 1954) fu un successo planetario e dette luogo a sequels, imitazioni e parodie. Se il sonno della ragione genera mostri, lo shock atomico di Hiroshima aveva risvegliato la paura del mostro che sta in noi nelle sembianze dell'orribile lucertolone distruttivo. In un altro momento storico-psicologico probabilmente un film del genere sarebbe passato inosservato o forse non avrebbe mai visto la luce dei proiettori cinematografici. Negli anni '80 si faceva largo una produzione filmica attenta ai temi ambientali, superando i filoni del cinema catastrofico, quello dei documentari naturalistici e dei numerosi film con riferimenti alla natura. Si stava passando dalla rappresentazione della bellezza della natura e delle metafore sulle paure del disastro, alla denuncia della distruzione dell'ambiente da parte dell'uomo.
Per valorizzare questa nascente cinematografia ambientale, bisognava innanzitutto creare uno spazio a essa dedicato, una vetrina, un luogo di approdo e promozione, ma anche di riflessione sui contenuti dei film, sulle modalità del loro uso a scopo educativo e infine sugli stessi procedimenti di produzione e realizzazione.
Da una serie di considerazioni di questo genere, tra la selva di opuscoli, manifesti, seminari e mostre che veicolavano messaggi di difesa della natura e di sviluppo sostenibile, nacque, nel 1998, a Torino, il Festival Cinemambiente, il primo festival dedicato a film il cui focus fosse l'ambiente inteso in senso "moderno", cioè come qualità della vita e relazione tra l'uomo e il mondo che lo circonda.
Fu un atto pionieristico, un'iniziativa del tutto nuova in Italia e con pochi esempi all'estero, nata da un gruppo eterogeneo di persone impegnate chi sul versante ambientale, chi su quello cinematografico, convinte che il cinema potesse entrare a pieno titolo tra gli strumenti di comunicazione utilizzati per l'informazione e l'educazione ambientale, anzi, che potesse diventarne il principale strumento.
Il festival in realtà fu preceduto nel 1996, in occasione del decennale della tragedia di Chernobyl, da una rassegna cinematografica sulla pericolosità del nucleare civile e militare che in quegli anni appariva chiara a tutti. Si rivelò un successo di pubblico, ma anche la scoperta di un filone cinematografico inesplorato. Tra gli altri fu proiettato un documentario girato durante l'incidente alla centrale atomica e ritrovato in modo rocambolesco a Mosca. Un manipolo di videoreporter si era dato il cambio per documentare le ore successive all'incidente. La pellicola mostrava strane macchie che si rivelarono essere conseguenza delle radiazioni nucleari. Gli operatori erano morti e l'unico sopravvissuto, che portò la sua testimonianza a Torino, era gravemente malato. Vennero presentati anche materiali governativi statunitensi su esperimenti atomici nel Nevada a cui era appena stata tolta la segregazione. Per l'occasione fu pubblicato un catalogo di riflessioni teoriche su cinema e nucleare, diventato un punto di riferimento sull'argomento. Fu una delle iniziative italiane su Chernobyl che ebbe più eco sulla stampa. Dopo questa positiva esperienza, la Città di Torino chiese di ideare una rassegna di film che affrontasse il tema dell'ambiente in modo più esteso, di realizzare un festival ambientale in una grande città, per un pubblico con una sensibilità "metropolitana", ma con una risonanza nazionale, in modo da promuovere tra gli addetti ai lavori l'uso del cinema nei processi comunicativi sui problemi ambientali.
Le prime edizioni furono necessariamente "sperimentali", ma si delineò subito la strada che la manifestazione voleva percorrere, cioè lo stretto crinale che delimita qualità cinematografica e temi ambientali, coniugando opere contemporanee e altre che indicassero le radici cinematografiche del tema. Si cercò di capire lo stato delle cose senza pregiudizi su generi e formati: lungo e cortometraggi, fiction e documentari, animazione e reportage televisivi, film indipendenti e mainstream; quali registi operavano in questo campo; qual era il livello quantitativo e qualitativo della produzione.
Alcuni film entrati nell'immaginario ambientalista, si imponevano: da Silkwood (USA, 1983) su un incidente nucleare, a The Day After (USA, 1983) sulle conseguenze della guerra atomica, già utilizzato in molte manifestazioni antinucleari.
Iniziò inoltre una rilettura della storia del cinema dal punto di vista della rappresentazione della natura. Centinaia di film la includevano come protagonista principale o facevano muovere i personaggi in ambienti naturali più o meno incontaminati. Un'analisi di questo genere dava indicazioni sul cambiamento della concezione della natura nel corso del secolo passato. Dalla curiosità per paesaggi mai visti, dei primi del Novecento, alla natura come buio del bosco e animali feroci dell'espressionismo postbellico, alla visione ottimistica del new deal con una natura amica e fonte di vita, alla dimensione onirica e disneyana della Hollywood degli anni '50, fino alla nascita della coscienza ecologista dei giorni nostri in cui la natura è una dimensione da difendere dallo scempio dell'uomo. Il genere che si rivelò di maggiore interesse fu il documentario. Fin dalla nascita del cinema, le macchine da presa filmarono spaccati lontani del mondo e della vita. L'ambiente e la natura diventarono soggetti privilegiati, instaurando con il nuovo mezzo una relazione che, nei decenni a venire, ha continuato a svilupparsi. Dalla natura colta nella sua essenza pura e primitiva, si è passati agli innumerevoli disastri ambientali che, a partire da Chernobyl, sono divenuti la componente più rappresentativa del filmare l'ambiente. Tra questi due poli, la purezza e la devastazione, ritroviamo le innumerevoli variabili del tema.
Alcuni autori attirarono subito la nostra attenzione: da Folco Quilici, punto di riferimento del documentario naturalistico, (a Cinemambiente con la quadrilogia del mare e soprattutto con il suo film più dichiaratamente "ecologista" Il Dio sotto la pelle (Italia, 1974) ispirato da "I limiti dello sviluppo", lo studio commissionato dal Club di Roma di Aurelio Peccei sul futuro del pianeta), a Vittorio De Seta (grande innovatore del cinema del reale, riscoperto da Cinemambiente e oggi celebrato in tutto il mondo), di cui è stata proposta una delle prime retrospettive complete dopo anni di oblio, in cui spiccavano i cortometraggi degli anni '50 sulla scomparsa in Italia della società contadina. A De Seta è stato dedicato un volume frutto di una lunga intervista rilasciata a Goffredo Fofi, Gianni Volpi e al sottoscritto, durata diversi giorni.
La ricerca delle radici del documentario "ambientalista" continuò con una retrospettiva completa, realizzata in collaborazione con il MOMA di New York, di Robert Flaherty, l'autore di Nanuk l'esquimese (USA-Francia, 1922) e de L'uomo di Aran (UK, 1934). Flaherty è stato uno dei padri del documentario (riferendosi ai sui film, John Grierson coniò il termine documentario), regista sempre attento all'osservazione della natura e allo spirito di adattamento e simbiosi dell'uomo.
A Flaherty seguì un grande omaggio a Joris Ivens, uno dei maggiori cineasti del secolo passato, accompagnata da un volume che è entrato nelle bibliografia sul grande autore olandese. Ivens, pur avendo iniziato e chiuso la sua carriera con due capolavori su fenomeni naturali, Regen (Olanda, 1929) su una giornata di pioggia ad Amsterdam e Io e il vento (Francia, 1988) sull'utopia di filmare il vento, è stato forse il massimo esponente cinematografico di una corrente di pensiero convinta che lo sviluppo industriale fosse la via per il benessere e che il riscatto delle masse passasse dal lavoro. La retrospettiva su Ivens fu l'inizio di una ricerca cinematografica sui modelli di sviluppo sociale e sul lavoro, argomenti strettamente legati alla situazione ecologica e ambientale del pianeta. Questa strada ci ha portato negli anni a scavare in quei veri e propri "giacimenti di immagini" che sono gli archivi industriali, presentando nel 2003 i film del CINEFIAT, dipartimento cinematografico della FIAT che negli anni ha coinvolto grandi registi, anche dichiaratamente antisistema e di sinistra e grandi artisti internazionali, come il premio Oscar Nikita Mikhalcov, ospite al festival con il film pubblicitario L'autostop (Italia 1990). Negli anni successivi è stata la volta delle retrospettive "Tempi moderni - Il cinema e l'industria in Italia" e de "Il lavoro del cinema" .
Questo filone di ricerca si è poi stabilizzato in una sezione dal titolo "Ambiente lavoro", che propone film e riflessioni sulle conseguenze ambientali del lavoro e sul concetto, laconicamente espresso da Pasolini, di "sviluppo senza progresso".
Ma questa ricerca rappresenta solo una parte delle migliaia di film proposti in questi dodici anni, il corpus principale è composto da opere attuali su argomenti più tradizionalmente ecologisti; le grandi catastrofi ambientali, il problema dei rifiuti, l'inquinamento atmosferico, l'energia, l'acqua, l'alimentazione, gli animali, lo sviluppo sostenibile, la globalizzazione, lo sfruttamento delle risorse, l'urbanizzazione, la deforestazione, le grandi opere, la pesca, i cambiamenti climatici, la salute, gli ogm, l'agricoltura, il rapporto città-campagna, i fenomeni naturali, la speculazione edilizia e gli ecomostri, i parchi e gli ambienti protetti, la politica, l'ambiente come diritto umano. Questo cinema sta crescendo di pari passo allo sviluppo della coscienza ecologica, cercando di rappresentare questo nuovo sentire con prodotti adeguati ai nuovi linguaggi e ai nuovi media. La presa di coscienza del problema ambientale, inteso come conseguenza delle attività umane, è fatto relativamente recente. "Silent spring" il libro Rachel Carson, che denuncia le conseguenze dell'uso dei pesticidi, è del 1962, la prima Giornata della Terra, che coinvolse 20 milioni di americani è del 1970, la pubblicazione de "I limiti dello sviluppo" è del 1972, Greenpeace vede la luce nei primi anni '70, mentre Legambiente nasce nel 1980. I grandi disastri degli anni '70 e '80 (Seveso, la tragedia della Pemex di città del Messico, Bhopal, Chernobyl e la serie di navi dei veleni) hanno contribuito a diffondere a livello di massa la sensazione che il pianeta fosse in pericolo. I temi dell'esaurimento delle fonti energetiche, dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale hanno accentuato questa presa di coscienza. Se consideriamo il Festival Cinemambiente come lo specchio della produzione ambientale, possiamo, seguendo la sua evoluzione, renderci conto della crescita di questa cinematografia. Le prime edizioni erano caratterizzate da film indipendenti, produzioni televisive di carattere scientifico e film di controinformazione dei movimenti ambientalisti, in gran parte documentari di durata breve o "televisiva", cioè 52' da abbinare a 8' di pubblicità. Dagli anni '80, i movimenti di protesta, grazie alla diffusione del video, hanno usato il cinema come strumento per amplificare le battaglie. Ricordiamo alcuni casi esemplari: quello del movimento contro la costruzione della diga sul fiume Narmada in India, che ha arruolato un gruppo di filmmaker e l'icona dell'ambientalismo Arundhaty Roy per supportare la propria battaglia, purtroppo perduta; l'esperienza di Greenpeace, che in anticipo sulle altre associazioni ha documentato col cinema le proprie azioni sul campo; gli indios dell'Amazzonia, che dopo la scuola di cinema del progetto Video Nas Aldeia (Video nei villaggi) di Vincent Carelli, hanno iniziato a documentare le violenze del disboscamento e dello stravolgimento del loro ambiente naturale. L'elenco sarebbe lungo, ma vorrei ricordare almeno i documentari indipendenti sui 738 giorni passati in cima a una sequoia da Julia "Butterfly" Hills; l'esperienza dei filmmaker militanti sudamericani, sempre al fianco dei movimenti ambientalisti; i film sulle manifestazioni No Global (gli scontri di Seattle e Genova sono stati soggetto di un fiumi di immagini), fino a quelli sui nostrani movimenti No TAV.
Con gli anni i documentari militanti si sono trasformati in documentari d'autore. Nei "credits" il nome del produttore ha iniziato a differire da quello del regista, segno che, sull'onda dell'interesse crescente da parte del pubblico, le case di produzione iniziavano ad investire su questo filone. I film diventavano più maturi, le produzioni meno asfittiche, il lavoro di ricerca e di documentazione più preciso e il risultato finale più coinvolgente. L'aspetto di denuncia è rimasto prevalente, ma c'è maggiore attenzione alla fruibilità del prodotto e, utilizzando uno slogan politico, si può dire che c'è un lento slittamento dalla "protesta alla proposta".
L'apice di questo fenomeno è stato Una scomoda verità (USA, 2006), la dura denuncia di Al Gore del riscaldamento climatico che si conclude con una sorta di decalogo sui buoni comportamenti. Già alla sua anteprima a Cannes si intuiva che sarebbe stato un film importante: la coda per entrare in sala era lunghissima, un documentario ambientalista era diventato uno degli eventi del festival. Una scomoda verità è il secondo documentario per incassi nella storia del cinema. E'stato visto da milioni di persone e ha contribuito in modo significativo alla presa di coscienza sui cambiamenti climatici e al premio Nobel per la Pace ad Al Gore.
Sul versante della fiction troviamo numerosi film di animazione per ragazzi e opere "mainstream" con contenuti esplicitamente ambientalisti da The Day After Tomorrow (USA, 2004), campione assoluto di incassi in questo filone, a I Simpson-Il film (USA, 2007), a Wall-E (USA, 2008). Grandi case di produzione americane stanno puntando sui temi sociali in cui l'ambiente ha un ruolo primario. Jeff Skoll, il fondatore di Ebay, ha dato vita alla Partecipant Production, che nel solo 2006 ha prodotto Una Scomoda Verità, Fast Food Nation sull'allevamento intensivo e Syriana con Gorge Clooney, sul mondo del petrolio; attualmente ha in produzione una fiction su Luna "Butterfly" Hill, la "ragazza sull'albero". Altro fenomeno relativamente recente è l'impegno dello star system a favore dell'ambiente. Negli Stati Uniti è quasi diventata una moda. I siti web di Leonardo DiCaprio, Robert Redford, Daryl Hannah, sono siti di informazione ambientale. Attori e cantanti, che spendono la propria immagine a favore di campagne ambientaliste sono decine. Il livello di penetrazione dei temi ambientali nei media si può riscontrare nelle centinaia di spot pubblicitari che invitano al risparmio delle risorse naturali. La pubblicità è passata dal concetto di "big idea" che caratterizzava le campagne di un decennio fa a quello di "big ideal" cavalcando l'interesse dei cittadini per l'ambiente e i temi etici. I prodotti vengono reclamizzati come "eco", "a impatto zero", "verdi" sullo sfondo di mari, montagne e laghi incontaminati.
Anche la tv si fa ambientalista. Il MIPTV, il mercato dei contenuti televisivi di Cannes, dell'aprile del 2008 ha dedicato alla "Green tv" un'apposita sezione. Reti generaliste e tematiche ospitano programmi ambientalisti, da National Geographic, a Discovery Channel, al Sundance Channel di Robert Redford, alla NBC e soprattutto alla giapponese Nhk, premiata con Green TV Award. Anche se in ritardo e in sordina anche le reti italiane sono state contaminate da questa tendenza.
Nascono inoltre web tv dedicate alle produzioni in difesa del pianeta.
La crescita del "genere ambientalista" è reso evidente dal moltiplicarsi dei festival e delle rassegne. In Italia i festival ambientalisti sono ormai decine e a livello internazionale è nato addirittura un network (Environmental Film Festival Network) che raggruppa i maggiori festival con lo scopo di coordinarne le attività. Saloni, fiere e mostre dedicate all'ambiente iniziano a includere momenti cinematografici. Le associazioni ambientaliste sempre di più veicolano le loro campagne attraverso opere audiovisive, producendole direttamente, come Greenpeace o sostenendo film meritevoli con una sorta di bollino verde, come fanno WWF e Legambiente. E' un trend in atto da almeno un decennio.
Il Festival Cinemambiente si è ritrovato a essere al centro di questo fenomeno, diventando punto di riferimento per il mondo del cinema ambientalista. Riceviamo centinaia di film e richieste di proiezioni, tanto da essere stati costretti ad aprire un settore di attività, oltre quella istituzionale per supportare e gestire i film, improvvisandoci distributori per il circuito culturale e didattico.
Da semplice rassegna si è trasformato in un progetto culturale di più ampio respiro che ispira, alimenta o organizza decine di manifestazioni in Italia e all'estero, è motore organizzativo dell'EFFN e punto di riferimento distributivo.
Prossimo obiettivo: evitare che la dichiarata attenzione generale per la salvaguardia dell'ambiente diventi "green washing" o vuota forma retorica ma il prodromo di decisioni ed azioni ormai non più rinviabili.
Gaetano Capizzi
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