Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 56



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Gestione e comunicazione: parola d'ordine efficacia

In che misura studi ambientali e indicatori prodotti dalle aree protette sono utili alla gestione e alla comunicazione di problemi e criticità alle parti interessate? Ecco le risposte di uno studio condotto dall'ENEA nell'ambito del progetto PAESI (Protected Areas and Environmentally Sustainable Initiatives): c'è ampio margine per migliorare, la chiave è una più forte comunicazione.

Lo scopo degli studi ambientali è fornire informazioni utili ai decisori, cioè a coloro che, istituzionalmente, sono chiamati a gestire e programmare le attività nelle aree protette. Tali studi, realizzati in occasione della preparazione del Piano del Parco o per l'implementazione di strumenti volontari per la sostenibilità (quali, ad esempio, la norma UNI EN ISO 14001, il regolamento EMAS, l'Agenda 21 locale o la Carta Europea per il turismo sostenibile, etc…), devono comunicare, in maniera chiara e scientificamente corretta, le problematiche delle aree protette per il superamento delle quali è necessaria la partecipazione, sia degli altri soggetti pubblici, sia dei privati presenti nel territorio.
Gli studi in oggetto richiedono tempi di attuazione molto elevati e, quando negli enti non sono disponibili le competenze specialistiche necessarie al loro svolgimento, anche ingenti investimenti economici.
L'utilizzo dei risultati degli studi nelle attività di pianificazione pone sia problemi di linguaggio, in quanto essi debbono essere comprensibili ai "policy maker" e al pubblico più generale e non solo agli specialisti, sia problemi di integrazione col patrimonio di conoscenze già acquisite. A tale scopo sarebbe utile concordare un approccio metodologico semplice ed omogeneo che permettesse a coloro che commissionano gli studi ambientali, cioè i Parchi, di indirizzare le richieste da fare agli specialisti affinché i dati raccolti possano essere utilizzati in maniera ottimale. È prioritario, inoltre, che le informazioni disponibili possano integrarsi tra loro, interfacciarsi con quelle già disponibili e che siano aggiornabili nel tempo attraverso semplici operazioni. Sarebbe utile, quindi, prevedere dei momenti di confronto con le parti interessate intesi a verificare la congruenza dei risultati progressivamente ottenuti con gli obiettivi da raggiungere.
Tale procedura consentirebbe di ottenere dai professionisti e dagli esperti che collaborano alla redazione degli studi ambientali le informazioni sotto forma di dati facilmente gestibili e adatti ad ulteriori e diverse elaborazioni.
Su proposta di ISPRA che ha promosso l'iniziativa nell'ambito del progetto PAESI (Protected Areas and Environmentally Sustainable Initiatives, ovvero, "Il laboratorio delle Aree Protette") con l'aiuto di una serie di enti di ricerca o altre istituzioni pubbliche, ENEA si è occupata di analizzare in che misura le diverse tipologie di report ambientali prodotti dalle Aree protette riuscissero effettivamente ad essere utili alla gestione dei Parchi ed a comunicare alle parti interessate problemi e criticità, in modo tale da condividere con soggetti terzi strategie e piani di azioni per il miglioramento della qualità ambientale.
(http://www.apat.gov.it/site/_contentfiles/00144400/144488_paesi.pdf ).
ISPRA ed ENEA, facendo proprie le problematiche sopra esposte e per avanzare proposte metodologiche da suggerire agli Enti gestori di Aree protette, hanno ritenuto utile:
• verificare che le osservazioni appena citate fossero corrispondenti alla realtà;
• analizzare le criticità nell'integrabilità degli studi commissionati dai parchi e valutare la dimensione del fenomeno;
• verificare se, e come, all'interno dei report prodotti nell'ambito di studi ambientali, fossero riscontrabili dati ed indicatori sintetici utili per collegare le criticità ambientali con le loro cause;
• verificare l'esistenza di indicatori adatti ad essere monitorati nel tempo.
Per raggiungere il risultato sono stati analizzati numerosi documenti, ricercando al loro interno i dati e gli indicatori utili a valutare le relazioni esistenti tra le conoscenze sullo stato dell'ambiente e le pressioni esercitate sugli ecosistemi dalle attività antropiche , nonché di stabilire l'efficacia delle soluzioni ai problemi ambientali adottate dagli enti gestori attraverso piani, programmi e progetti.
L'assunto di base è quello derivante dai fini istituzionali di un'Area Protetta il cui compito è quello di conservare specifiche risorse ambientali e culturali attraverso una corretta attività pianificatoria e gestionale tesa a superare le criticità esistenti stabilendo delle priorità e incidendo positivamente sulla conservazione delle risorse.
Da questo assunto di base discendono tutte le considerazioni sull'usabilità o meno dei rapporti ambientali ai fini della gestione.
L'efficacia e l'utilità degli studi ambientali è legata ai seguenti punti qualificanti:
• possibilità di integrare nel tempo le informazioni raccolte, così da offrire un quadro conoscitivo il più completo e affidabile possibile;
• individuazione dei "vuoti conoscitivi" per proporre strategie atte o a colmare tali mancanze o a gestire l'incertezza;
• presentazione delle informazioni in un linguaggio semplice e immediato, quale per esempio le cartografie tematiche fornite dai sistemi informativi territoriali;
• individuazione dei "processi" in atto all'interno dell'area protetta e delle zone contigue che potrebbero avere effetti sui beni naturali da proteggere, siano essi di origine naturale o antropica;
• individuazione della qualità e della rilevanza delle pressioni sull'ambiente conseguenti alle attività antropiche;
• individuazione di correlazioni tra le pressioni e le problematiche ambientali presenti;
• utilizzazione e/o la predisposizione di una serie di indicatori sintetici adatti a monitorare i cambiamenti nel tempo ,e quindi, utilizzabili per verificare gli effetti delle azioni di salvaguardia e recupero intraprese.
Uno schema logico utile al nostro scopo è lo schema DPSIR (Driving Forces, Pressures, State, Impact, Responses), consigliato da ISPRA e dall'EEA (Agenzia Europea per l'Ambiente).

Dati, indicatori, lo schema DPSIR e la logica di processo
Preliminarmente alla presentazione dello studio è utile definire alcuni dei termini che saranno utilizzati nel seguito. Per gli obiettivi di questo lavoro chiameremo "dati" le informazioni di tipo qualitativo, fattuale e descrittivo che, non essendo quantificate o georiferite, non possono essere messe in relazione con nessun processo, né inserite in piani di monitoraggio. Chiameremo, invece, "indicatori" i dati numerici, quelli ordinabili in ranghi ed i dati di base convertibili in indici numerici che, quindi, possono essere utilizzati per caratterizzare l'evoluzione temporale e spaziale di un fenomeno. In linea generale, comunque, un indicatore è:
• quantificabile;
• facilmente rilevabile con metodologie riproducibili e affidabili (chiunque effettui la misura con la metodologia definita deve ottenere lo stesso risultato);
• monitorabile nel tempo.
La quantificazione degli indicatori è importante per mettere in relazione tra loro le risorse ambientali e l'insieme delle pressioni esercitate su di esse (Fig. 1).
Lo schema DPSIR richiede di raccogliere i dati ambientali e di aggregarli seguendo un determinato processo logico individuando, nel contempo, gli indicatori idonei a rappresentarne l'evoluzione .
I "Determinanti" (o driving forces - D) comprendono le attività antropiche che possono esercitare delle pressioni sull'ambiente.
Se l'analisi della qualità ambientale mostra un buono "Stato di conservazione" (S) vuole dire che le "Pressioni" (P) sono rimaste all'interno della capacità di carico del sistema, al contrario se si rilevano delle criticità, vuol dire che le pressioni generano "Impatti" (I), cioè conseguenze negative dannose, che richiedono delle attività di "Risposta" (R). Tra queste attività vi sono anche quelle di prevenzione e mitigazione degli effetti dei rischi naturali - per esempio le attività antincendio, e così via (Fig. 2).
E' evidente che uno stesso tipo di pressione può avere conseguenze negative più o meno marcate o non averne a seconda delle caratteristiche dell'ecosistema interessato. Analogamente, si può avere il caso di uno stesso tipo di impatto originato da pressioni molto diverse tra loro. Anche le risposte possono essere di vario tipo: possono incidere specificando le attività ammissibili nelle aree protette o come esse dovrebbero essere condotte (azione sui determinanti) ad esempio, con prescrizioni normative e regolamenti, ma possono incidere anche sulle pressioni, diminuendone l'intensità grazie all'adozione di migliori tecniche, buone pratiche, etc…, o, ancora, agire direttamente sullo stato dell'ambiente attraverso interventi di riqualificazione e restauro ambientale. Le risposte sono normalmente oggetto di un piano di intervento a breve o lungo termine che, a seconda dello strumento a cui si fa riferimento, acquisisce un nome diverso (Piano di azioni locale, Programma ambientale, Piano di azioni per il turismo sostenibile, piano di interventi etc...).
Vale la pena di soffermarsi su alcuni aspetti dell'analisi DPSIR. Innanzi tutto è bene capire la differenza tra pressione e impatto e risposte. Nello schema DPSIR l'impatto, come conseguenza di una pressione (es. versamento di sostanze chimiche in un corso d'acqua) che ha provocato un peggioramento dello stato di qualità/di conservazione di un bene naturale (inquinamento), ha sempre un significato negativo. Una risposta (es. la limitazione dell'uso di prodotti agrochimici in una pratica agricola) porterà ad impatti positivi (miglioramento della qualità ambientale).
Ciascun elemento dello schema DPSIR può essere caratterizzato da indicatori che lo descrivono e lo quantificano. Talvolta, a seconda della finalità dell'indagine, uno stesso indicatore può essere interpretato in maniera diversa, anche in funzione della scala di lavoro. In una scala di minimo dettaglio il "determinante unico" sarebbe il presidio umano, perché tutte le attività antropiche che esercitano una pressione sui sistemi ambientali esistono in conseguenza della presenza dell'uomo. E' ovvio che attribuire tutte le pressioni, genericamente, alla presenza umana, sarebbe inutile come, per esempio, inserire tra i determinanti, la coltivazione di barbabietole negli ultimi due anni da parte della tale azienda agricola se poi non si hanno dati sulla pressione che quella singola attività può generare (per esempio, i consumi di acqua, i fertilizzanti usati, etc...), nonché sulle modalità di diffusione della pressione (quanto percolato e quanto ruscellato a fronte di quale piovosità in quegli anni) e sullo stato dell'ambiente bersaglio (andamento dei livelli di falda, qualità delle acque del bacino, e così via). La scala pertanto deve essere commisurata alle informazioni disponibili, che a loro volta debbono consentire la chiusura dello schema. Sono così possibili tanti schemi DPSIR per uno stesso territorio, quante sono le possibili chiusure dello schema nella scala dei dati disponibili. Per esemplificare quanto detto e facilitare le interpretazioni successive si riportano , a titolo di esempio e senza pretesa di essere esaustivi, le tabelle (Tabb.1 e 2) relative a una serie di indicatori, legati a determinanti su una scala intermedia, quella dei dati ISTAT provinciali.
Gli indicatori di stato e impatto sono relativi alle matrici ambientali e nel presente studio sono denominate comparto ambientale per evitare confusione con il termine matrice, qui intesa come tabella di dati. La differenza di indicatori di pressione, di stato e di impatto può essere più facilmente compresa attraverso la lettura delle due tabelle seguenti relative alle problematiche di qualità dell'aria e dell'acqua (Tabb. 3 e 4 ).
Come si vede l'elemento comune alle due serie di tabelle è la pressione ambientale. In una logica di processo lo svolgimento delle attività comporta dei procedimenti volti a perseguire un determinato scopo (processi) e ai processi sono solitamente associati degli aspetti ambientali (ad esempio, un processo di pulitura può comportare l'uso di solventi, la generazione di rifiuti, la produzione di rumore, etc…).
Altro aspetto rilevante nello schema DPSIR è che un determinato ecosistema o, più genericamente, un determinato comparto ambientale, può essere soggetto a pressioni simili da parte di determinati molto diversi tra loro. L'analisi dei singoli determinanti può portare a definire come poco significativo il relativo impatto ma, prendendo in considerazione l'effetto cumulativo, si può arrivare a conclusioni diametralmente opposte. Per fare un esempio, l'integrità degli habitat e degli ecosistemi è minacciata dall'alienazione dei suoli per attività edilizia, per agricoltura, per un eccessivo pascolo, per gli incendi conseguenti alla fruizione, e così via. Sono diversi i determinanti, ma la pressione è la stessa (riduzione o frammentazione degli habitat - Fig. 3). Questo comporta che l'analisi dei processi e l'utilizzo degli indicatori dovrebbero permettere, da una parte, di conoscere entro quali limiti un determinato ambiente (comparto ambientale) è sensibile e vulnerabile a date pressioni e, dall'altra, di poter valutare la rilevanza della pressione cumulativa esercitata dai vari determinanti. In conclusione, si vuole evidenziare che lo schema DPSIR, messo a punto e applicato per evidenziare le relazioni uomo/ambiente naturale, in realtà potrebbe essere esteso a tutte le relazioni uomo/ambiente, comprendendo l'ambiente sociale e quello storico-culturale.

Problematiche dei report ambientali
Sulla base delle esperienze maturate dagli autori nel campo dell'analisi e della valutazione ambientale, è possibile elencare alcuni problemi che possono incidere sulla qualità dei report ambientali e sulla loro effettiva utilità per la gestione:
1. la mancanza di linee guida specifiche sulle metodologie più utili a raccogliere ed elaborare le informazioni ambientali per la caratterizzazione delle relazioni tra le pressioni esercitate sul territorio e le loro conseguenze sull'ambiente;
2. frequente aggregazione o riproduzione dei dati sull'ambiente e sulle caratteristiche delle attività antropiche su scale temporali e spaziali non adeguate al loro utilizzo per le aree protette; in particolare i dati sulle pressioni antropiche sono frequentemente raccolti e aggregati a scala comunale, provinciale o regionale, mentre le aree protette occupano solo parte di queste realtà amministrative;
3. frequente impossibilità di comparazione dei dati a causa della diversa tempistica di acquisizione, disomogeneità di metodologie utilizzate e di obiettivi con conseguente inutilizzabilità dei dati stessi;
4. difficoltà di separazione delle informazioni di tipo qualitativo da quelle quantitative con impossibilità di ricavare indicatori sintetici significativi e monitorabili nel tempo;
5. frequente incompletezza dei dati derivante dall'affidamento degli studi a società di consulenza il cui fine è l'ottimizzazione del rapporto tra costi e tempi;
6. frequente assenza di coordinamento degli studi con conseguente difficoltà, per il singolo specialista, nella traduzione dei dati scientifici in indicatori utili ai fini gestionali;
7. frequente prevalenza negli studi dell' impostazione urbanistica in inadeguati a tener conto delle condizioni degli ecosistemi e della biopermeabilità del territorio (presenza di corridoi, fattori che influenzano l'accesso o l'idoneità degli habitat alle esigenze delle specie da proteggere).

Un'indagine campione sui report a valle di studi ambientali
Per verificare sul campo l'entità delle problematiche sopra esposte, è stata condotta una analisi su un campione rappresentativo di report, prodotti da varie aree protette a valle di studi necessari per la redazione del Piano del Parco oppure nell'ambito dell'applicazione di strumenti volontari. L'analisi, lungi dal voler dare un giudizio sul lavoro svolto, ha voluto individuare, all'interno dei documenti prodotti per gli studi ambientali, contenessero elementi utili ad evidenziare:
• le criticità ambientali esistenti nel Parco e le loro cause;
• se le iniziative avviate del Parco fossero mirate alla soluzione delle principali criticità ambientali;
• se le iniziative adottate o proposte poggiassero su una base conoscitiva adeguata;
• se fosse possibile misurare l'efficacia delle iniziative di miglioramento ambientale.
Lo schema DPSIR e i relativi indicatori sono stati il riferimento logico del metodo utilizzato per l'analisi.
L'indagine è stata eseguita esaminando tutti i documenti che è stato possibile reperire. La ricerca si è concentrata in particolare sui Parchi Nazionali e Regionali che hanno redatto Piani del Parco e Studi di Piano, o che abbiano intrapreso percorsi virtuosi verso la sostenibilità, implementando uno o più degli elencati strumenti volontari: ISO 14001/EMAS (report di analisi ambientale o dichiarazione ambientale), Agenda 21 locale (rapporto sullo stato dell'ambiente) e Carta Europea per il Turismo Sostenibile (rapporto diagnostico). L'analisi della documentazione è stata eseguita in maniera "anonima". Per determinare la tipologia delle informazioni è stata stabilita una lista di 35 tematismi. I tematismi connessi con le attività che generano e quantificano processi, possono essere descritti con "indicatori" afferibili allo schema DPSIR. Altri tematismi, di tipo descrittivo, contengono informazioni che sono utilizzabili solo come "dati" e, pur essendo utili alla conoscenza generale del territorio, non rientrano nello schema. Sono state individuate 11 tipologie di aspetto ambientale (Box 1), connesse alle attività di vari determinanti, che sono all'origine di pressioni e di possibili impatti.
Gli stessi aspetti ambientali, oltre ad essere generati da più di un determinante, influenzano 13 diversi comparti ambientali che riguardano l'ambiente naturale, la salute umana e l'ambiente storico e culturale. (Box 2)

Risultati
Il 57,3% dei Parchi Regionali (PR) e il 91,3% di quelli Nazionali (PN) dispone del Piano o di un altro tipo di report con simili argomenti. Ciò significa che circa il 62% delle aree a Parco italiane si è dotato di studi, analisi ed elaborazioni territoriali ai fini della pianificazione e della gestione (Fig. 4).
Gli 86 Parchi Regionali considerati hanno prodotto, in totale, 119 documenti; i 21 Parchi Nazionali, hanno ben 35 documenti di report. Volendo esaminare solo i report relativi agli strumenti volontari, quindi diversi dal Piano, la situazione è la seguente (Fig. 5): Sia per i Parchi Regionali sia per quelli Nazionali la quantità dei report prodotti al di fuori degli obblighi di pianificazione rappresenta circa il 34% della produzione totale del reporting (Fig. 6), anche se i differenti tipi di strumento hanno un "peso" diverso. L'applicazione del sistema di gestione ambientale è quello relativamente più diffuso, mentre la Carta europea per il Turismo Sostenibile, strumento molto recente, incide solo per circa il 6%.
La "debolezza" della Carta è evidente anche da un confronto su come sono percentualmente rappresentati i rapporti diagnostici, le dichiarazioni ambientali e i rapporti sullo stato dell'ambiente all'interno dell'insieme del reporting prodotto per gli strumenti volontari (Fig. 7) I Rapporti sullo Stato dell'Ambiente (Agenda 21 locale) rappresentano circa il 12% dell'intera attività di reporting e il 35% di quella prodotta per gli strumenti di sostenibilità. Le Analisi Ambientali/Dichiarazioni Ambientali costituiscono rispettivamente il 16 e il 48% dell'attività di reporting. Questo è un chiaro indice di come questi strumenti siano diffusi. L'Agenda 21 locale è un processo che è stato ampiamente sostenuto, anche con finanziamenti e linee guida, da parte del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e da ISPRA, sia tra le aree protette sia tra le amministrazioni locali. Il sistema di gestione ambientale, cioè l'applicazione della norma UNI EN ISO 14001 o del regolamento EMAS, sebbene abbastanza complesso, ha dimostrato di portare elementi di efficienza ed efficacia nella gestione, anche grazie alla comunicazione avvenuta su questo tema e a progetti specifici per i parchi (es. Parchi in qualità, http://qualitypark.casaccia.enea.it). La Carta Europea per il Turismo Sostenibile è uno strumento abbastanza recente (2000), che ha trovato una certa diffusione in alcuni Paesi europei, tipo Francia e Spagna e solo ora comincia ad essere diffuso in Italia, grazie all'opera di Europarc, sezione Italiana e di Federparchi.

Lo schema DPSIR all'interno dei report esistenti
In questo studio sono stati analizzati 42 report totali, 21 dei 119 prodotti dai Parchi Regionali e 21 dei 35 prodotti dai Parchi Nazionali (Fig. 8). In totale, è stato quindi esaminato il 27,3% dell'intero reporting prodotto, il 17,6% di quello prodotto dai parchi regionali e il 60% di quello dei parchi nazionali, che costituisce un insieme i dati rappresentativi e significativi. Per quel che concerne le tipologie di documento è stato analizzato il 67% dei rapporti diagnostici della Carta Europea per il Turismo Sostenibile, il 22% dei rapporti per l'Agenda 21 locale e dei Piani, il 32%, delle Dichiarazioni Ambientali e il 26% dei documenti di piano o di altri documenti assimilabili (Fig.9).
Dei 30 parchi e dei 42 report che sono stati esaminati, solo in 31 documenti, prodotti da 24 parchi, è stato possibile individuare almeno 1 indicatore teoricamente inseribile in uno schema DPSIR. Dalla lettura dei documenti è stato possibile estrapolare 1031 dati di input. Di questi, 402 potevano essere definiti "indicatori", ma solo 372 sono stati ritenuti utili a denotare lo schema DPSIR, mentre 30 si riferivano alla caratterizzazione della popolazione in generale (come macro-determinate); 138 informazioni erano relative a carte (le cartografie di per sé contengono implicitamente dati, in quanto sono la rappresentazione grafica di informazioni, ma non permettono di estrapolare indicatori utili al monitoraggio, a meno che non siano prodotte da un GIS, pertanto da una banca dati); ben 491 input sono stati classificati semplicemente come dati, cioè informazioni generiche e descrittive che, se adeguatamente elaborate potrebbero diventare degli indicatori (Fig. 10). Per consentire un' analisi statistica dei dati di input acquisiti, sono stati inseriti come indicatori DPSIR anche dati parziali, non utili direttamente a definire dei trend. quindi Come già accennato, è stata applicata una certa elasticità interpretativa. Ad esempio, un indicatore della pressione del turismo basato sul rapporto tra presenze e residenti, ha una utilità per il Parco se è riferita al territorio protetto e non a quello provinciale, dove il turismo potrebbe essere legato ad una località ricreativa, a un luogo di culto o altro al di fuori dei confini dell'area protetta. Ciò nondimeno un tale dato è stato classificato come indicatore quando riscontrato nei report. Gli indicatori caratteristici di una pressione, che può derivare da processi differenti, ma simili per le loro conseguenze, sono stati "incrociati" con quelli dei determinanti che ne potevano essere l'origine. Da questa elaborazione sono scaturiti 997 record di accorpamenti. Soltanto per le modifiche del territorio e per l'uso degli habitat naturali sono stati trovati indicatori di tutte le fasi dello schema DPSIR, peraltro non sempre all'interno degli stessi documenti, e comunque spesso strutturati in modo tale da non poter essere utilizzati per identificare un processo di causa/effetto/risposta. Per tutti gli altri tematismi in nessun caso è stato possibile completare lo schema DPSIR e, anche in questi casi, gli indicatori si sono rivelati indipendenti l'uno dall'altro. Pertanto lo schema non può considerarsi chiuso per nessuna area protetta. In molti dei casi analizzati i dati riportati avrebbero permesso ulteriori elaborazioni, decisamente più significative per monitorare lo stato dell'ambiente e per valutare l'efficienza della gestione.
Ciò sta a significare che, in ogni caso, i report prodotti, seppure interessanti dal punto di vista culturale, non sempre riescono ad essere un riferimento per motivare le azioni future e per comunicare all'esterno le problematiche locali e giustificare le risposte fornite dal Parco ai problemi ambientali. In definitiva, con una maggiore congruenza i report avrebbero potuto essere più idonei a coinvolgere le parti interessate: quantomeno avrebbero potuto essere più utili ed efficaci in tale compito di quanto lo siano attualmente. Gli indicatori sul consumo della risorsa idrica, ad esempio, riguardano soprattutto i prelievi idropotabili, normalmente senza specificare se si tratti di captazione da pozzo, da acque superficiali o da sorgente. Mancano sempre dati sui quantitativi di acqua utilizzati dall'agricoltura o dalle industrie e le relative modalità d'uso. I dati sulle portate e sui cambiamenti di qualità e quantità delle falde non sono quasi mai messi in relazione con le modalità di uso: non potendo effettuare alcuna correlazione è impossibile la pianificazione di interventi specifici. A titolo di esempio, a fronte di un aumento della salinizzazione delle falde costiere, non è possibile comprendere dai report in quale misura il problema sia causato da fenomeni naturali (diminuzione delle precipitazioni e/o aumento dell'evapotraspirazione), da alterazione antropiche dei flussi di acqua superficiali nell'area di ricarica del'acquifero, o dall'aumento dei consumi idrici e quindi dei prelievi. Per quanto concerne l'utilizzo della risorsa vegetale si trovano indicatori di pressione e di impatto unicamente per quel che riguarda il fenomeno degli incendi, ma i dati sullo stato della risorsa vegetale non sono correlabili a nessuna forma di pressione riconducibile ad una qualunque causa antropica. Per quanto riguarda la fauna, inoltre, non vi è nessun dato che dia la dimensione dell'eventuale disturbo causato dall'uomo con perdita di esemplari o cambiamenti nell'idoneità degli habitat per le specie protette. Lo stesso si può dire per l'uso degli habitat naturali dovuto alla fruizione o all'allevamento. I dati sulle presenze turistiche, se generici e non riferibili ad habitat specifici o a intervalli temporali, non permettono di capire se, e quanto, la fruizione incida sulla qualità degli habitat. Gli indicatori reperiti, quindi, sono tutti indiretti e avrebbero bisogno di essere incrociati con ulteriori dati per poter diventare rappresentativi. Per quanto riguarda l'immissione di sostanze inquinanti in acqua (corsi d'acqua superficiali, lagune e mare) non vi sono dati sulle pressioni correlabili alla qualità dei corpi idrici. In un caso vengono descritti i quantitativi di fitofarmaci usati in agricoltura, ma, senza una indicazione di quanto, dei prodotti usati, viene immesso nei corsi d'acqua, non è possibile alcuna valutazione.
L'immissione di contaminanti sul suolo non è quantificabile poiché gli unici dati di interesse (quantitativi di fitofarmaci genericamente utilizzati in agricoltura) sono privi di riferimenti localizzativi e temporali relativo all'utilizzo dei contaminanti. La qualità delle acque sotterranee è sempre trascurata, con l'unica eccezione delle informazioni sulle falde costiere salinizzate.
Le modifiche d'uso del territorio dovrebbero essere misurate nel tempo per verificare la tendenza all'aumento dell'antropizzazione o al recupero di estensione e funzionalità da parte dei sistemi naturali, ma così di norma non è. I dati sono eterogenei e parziali e in nessun rapporto è possibile ricostruire una relazione causa/effetto.
I dati sui rifiuti prodotti sono relativi, in genere, solo agli RSU. Mancano dati sulle superfici danneggiate da rifiuti dispersi o dalla presenza di discariche così come mancano dati riferiti a quantitativi per abitante o per turista. I dati, se ulteriormente elaborati incrociandoli con altre informazioni sulla popolazione e i flussi turistici mensili e annuali, potrebbero diventare più significativi.
I dati sui consumi energetici e di combustibile sono sempre eterogenei e molto parziali e lo stesso dicasi per la produzione di rumore e di campi elettromagnetici.
Gli unici indicatori presenti con una certa frequenza sono quelli che descrivono i determinanti, cioè gli indicatori che caratterizzano e quantificano le attività antropiche. Essi rappresentano il 93% degli indicatori descritti nei Rapporti Diagnostici della Carta Europea per il Turismo Sostenibile, 78% degli indicatori citati nei Piani o documenti preparatori al Piano, il 69% nei rapporti sullo stato dell'ambiente per l'Agenda 21 locale e il 62% di quelli presenti nelle dichiarazioni ambientali per l'applicazione del sistema di gestione ambientale ISO/EMAS. In queste percentuali incide sicuramente molto il fatto che per la Carta vi siano approfondimenti notevoli sulla caratterizzazione del fenomeno turistico. Una sintesi dell'uso di indicatori è presentata nelle figure da Fig.11 a Fig. 14. Gli indicatori di pressione raggiungono il 14% nei Rapporti sullo Stato dell'Ambiente, l'11% nelle Dichiarazioni Ambientali (prevalentemente EMAS), il 5 % nei Rapporti Diagnostici per la Carta Europea per il Turismo Sostenibile e solo il 3% nei Piani o studi di Piano. Gli indicatori di stato, cioè quelli che caratterizzano l'ambiente oggetto di tutela, e che sono la base per identificare la presenza o meno di impatti, rappresentano il 18 % degli indicatori individuati all'interno dei Piani e degli "studi per i Piani" e nelle analisi – dichiarazioni ambientali per l'ISO 14001/EMAS, il 13% degli indicatori citati nei rapporti per l'Agenda 21 locale e solo l'1% di quelli della Carta Europea per il Turismo Sostenibile. Gli indicatori di impatto sono ancora meno rappresentati, il 4% nell'applicazione di ISO/EMAS, il 3% nell'Agenda 21 locale e solo l'1% nella Carta Europea per il turismo sostenibile e nei Piani e relativi studi. Gli indicatori di risposta, infine, non sono affatto rappresentati nel caso dei Piani e della Carta Europea per il turismo, lo sono per solo l'1% nel caso di Agenda 21 locale e per il 5% per ISO/EMAS. Gli strumenti che mostrano un maggiore equilibrio relativo tra le tipologie di indicatore sono l'Agenda 21 locale e l'ISO 14001/EMAS. Ciò conferma le osservazioni precedenti: la presenza di Linee Guida per l'Agenda 21 e la relativa introduzione della logica DPSIR (anche se non è stata sviluppata in maniera completa ai fini di una valutazione delle priorità di intervento del piano di azione locale) unitamente alla richiesta, da parte del sistema di gestione ambientale, di effettuare delle valutazioni sulla significatività delle pressioni causate dall'uomo sull'ambiente (aspetti ambientali diretti e indiretti) ha sollecitato lo sviluppo di metodologie più approfondite. Là dove, come nel caso del Piano del Parco, l'attuazione dello strumento è lasciato alla libera inventiva dell'estensore dello studio, si ha una maggiore variabilità, ma anche una visione parziale dei problemi.

Conclusioni
In conclusione, l'indagine svolta mostra chiaramente come sia ampio il margine per migliorare, attraverso l'introduzione dello schema DPSIR, la qualità e, soprattutto, l'utilità sia ai fini gestionali sia di comunicazione, degli studi e del reporting ambientale. Elementi dello schema DPSIR, infatti, sono stati trovati con maggiore frequenza nei documenti per le Agende 21 locali e per l'ISO 14001/EMAS, in linea con la proposta esplicita e comune ad entrambi i processi relativa all'utilizzo di indicatori per monitorare l'efficacia delle azioni che saranno intraprese dall'amministrazione. I documenti più problematici sono i Piani. Nonostante la loro importanza strategica e gestionale, non esiste una linea guida che suggerisca ai parchi, e ai loro consulenti, come orientare gli studi alla gestione, così che si ha una variabilità di impostazione, di livello di approfondimento e di efficacia comunicativa molto grande. La maggior parte degli studi, come risulta dai dati forniti dai report, risulta essere o di carattere scientifico universitario o di carattere economico o di natura urbanistica.
Considerando il complesso cammino necessario ai Piani per giungere alla loro approvazione definitiva e quindi alla vigenza, una loro stesura che tenesse conto anche della trasparenza ed efficacia comunicativa probabilmente faciliterebbe di gran lunga, non solo la loro elaborazione, ma, soprattutto, l'iter di discussione, condivisione e approvazione. Ciò che si ritiene comunque più rilevante è ribadire che se un Parco potesse disporre di una restituzione dei dati acquisiti dai vari studi effettuati sul territorio, tale da poter essere facilmente messa in relazione con le criticità ambientali e le cause che le determinano, risparmierebbe tempo e denaro nell'affrontare percorsi e strumenti che richiedono analisi territoriali, perché il materiale a disposizione sarebbe utile per tutto tutte le attività. Non solo, avrebbe a disposizione dati più chiari e semplici da monitorare per valutare l'efficacia della propria gestione e disporrebbe di una maggiore forza nel comunicare informazioni alle parti interessate. Lo schema DPSIR, là dove è stato applicato, si è dimostrato efficace nell'individuare soluzioni e priorità. Un'adeguata impostazione dei dati di analisi ambientale permetterebbe anche di migliorare la possibilità di effettuare confronti intra-parco e inter-parchi nello spazio e nel tempo ed essere così di supporto alle politiche ambientali regionali e nazionali.
In sintesi, dal presente studio sono emerse le seguenti considerazioni, propedeutiche per un futuro percorso di evoluzione del reporting ambientale:
• gli studi di Piano dovrebbero essere resi omogenei, sia come impostazione sia come livello di approfondimento, ma soprattutto, dovrebbero concentrarsi maggiormente nel mettere in evidenza le relazioni tra attività antropiche e stato dell'ambiente, così da fornire indicazioni utili alla zonizzazione, ai regolamenti d'uso e alla valutazione di progetti e programmi (risposte). In questo modo si eviterebbe di trovare, nei Piani, elenchi di possibili azioni che contemplano tutte le opportunità possibili, ma solo in linea teorica, senza finalizzare gli interventi in base alle risorse esistenti, ai tempi e alle priorità ambientali. L'introduzione di una metodologia di riferimento basata sull'approccio DPSIR, permetterebbe ai parchi di ottimizzare il proprio lavoro;
• i rapporti sullo stato dell'ambiente per i processi di Agenda 21 locale, benché introducano gli indicatori DPSIR, dovrebbero curarne maggiormente le relazioni reciproche e, soprattutto, utilizzarli per la scelta delle priorità di intervento: serve, quindi, anche all'interno di questo processo, un approfondimento per utilizzare al meglio l'approccio DPSIR che, di fatto, rimane allo stato attuale solo accennato e ancora non riesce a offrire il meglio delle sue potenzialità;
• gli studi di analisi ambientale previsti per il sistema di gestione ambientale dei parchi a norma UNI EN ISO 14001 dovrebbero essere pubblicizzati e resi disponibili anche al pubblico. Gli enti Parco sono enti pubblici e loro dovrebbero vedere nella trasparenza dei dati ambientali un obiettivo di efficienza. Anche le dichiarazioni ambientali per EMAS dovrebbero rispondere meglio alle indicazioni del regolamento comunitario, che richiede l'illustrazione di tutti i passaggi logici che permettano ad un osservatore esterno di capire quale sia il "punto di partenza" e quali prestazioni ambientali proprie dell'organizzazione e dei soggetti che vivono ed operano nel territorio possano essere migliorate in coerenza con la valutazione degli aspetti ambientali più significativi. Anche in questo caso adottare lo schema DPSIR faciliterebbe il compito;
• i rapporti diagnostici per la Carta Europea del Turismo Sostenibile, nonostante la Carta faccia esplicito riferimento al fatto che la tutela e il miglioramento dell'ambiente (di cui si dovrebbe conoscere lo stato) costituiscono la motivazione stessa del richiamo turistico, sono molto più diretti ad approfondire le dinamiche del fenomeno turistico che piuttosto ad analizzare gli effetti del turismo sull'ambiente. Anche in questo caso adottare lo schema DPIR faciliterebbe il compito e permetterebbe di mettere meglio in evidenza le carenze conoscitive e i dati da ottenere con priorità. A conclusione del lavoro si vuole evidenziare uno spunto interessante per future ricerche. Lo schema DPSIR è stato messo a punto dall'Agenzia Europea per l'Ambiente per valutare e controllare le criticità dell'ambiente naturale. Ancora non esiste un analogo schema che metta in evidenza , secondo la stessa logica, le relazioni tra pressioni antropiche e ambiente socio-culturale. Un approfondimento per individuare come inserire nello stesso schema anche la dimensione sociale, la qualità della vita e il benessere culturale dei cittadini sarebbe oltremodo interessante e in linea con la strategia dello sviluppo sostenibile.

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Altri documenti esaminati
• Area Marina Protetta della Penisola del Sinis e Mal di Ventre - 2007 - Rapporto sullo Stato dell'Ambiente
• Area Marina Protetta di Miramare - Rapporto di Analisi Ambientale
• Comunità Montana Alpi Lepontine -sintesi dei risultati del rapporto diagnostici per l'adesione alla Carta Europea per il turismo sostenibile nelle aree protette
• Comunità Montana Parco Alto Garda Bresciano - 2007 - Diagnosi del territorio per l'adesione alla Carta Europea per il turismo sostenibile nelle aree protette
• Comunità Montana Valle Camonica (Parco Naturale dell'Adamello) - 2006 - Rapporto sullo Stato dell'Ambiente e Piano di azione ambientale, Agenda 21 locale Valle Canonica
• Parco Fluviale del Po e dell'Orba - 2005 - Dichiarazione Ambientale
• Parco Fluviale del Po e dell'Orba - 2006 - Dichiarazione ambientale
• Parco Fluviale del Po e dell'Orba - Relazione generale del Piano d'Area del Parco Fluviale del Po
• Parco Naturale Adamello Brenta - 1998 - Piano del Parco, norme di attuazione
• Parco Naturale Adamello Brenta - 2006 - Dichiarazione ambientale
• Parco Naturale Adamello Brenta - 2006 - Strategia e Programma di Azioni per uno sviluppo sostenibile del turismo nel Parco Naturale Adamello Brenta (2006-2011)
• Parco Naturale del Monte Avic - 2003 - Dichiarazione Ambientale
• Parco Naturale del sasso Simone e Simoncello - 2003 - Piano del Parco
• Parco Naturale dell'Alto Appennino Modenese - 1997 - Piano territoriale
• Parco Naturale dell'Adamello - 2007 - Strategie e Piano di azioni. Carta Europea per il Turismo Sostenibile
• Parco Naturale dell'Adda Sud - Piano territoriale di Coordinamento
• Parco Naturale delle Alpi Marittime - 2006 - Atlante del patrimonio naturale e culturale Mercantour - Marittime
• Parco Naturale delle Alpi Marittime - Strategia e Piano d'azione per un turismo sostenibile
• Parco Naturale delle Alpi Marittime -1999 e 2006 - Strategia e Piano d'azione per un turismo sostenibile
• Parco Naturale Pineta Appiano Gentile - Piano territoriale di coordinamento
• Parco Naturale Regionale della Maremma - 2002 - Piano per il Parco
• Parco Naturale Regionale della Maremma - 2003 - Analisi Ambientale per il sistema di gestione ambientale
• Parco Naturale Regionale di Portofino - Piano per il Parco
• Parco Nazionale dei Monti Sibillini - 2001 - Strategia quinquennale di sviluppo turistico in applicazione della Carta Europea del Turismo Sostenibile nel Parco dei Monti Sibillini e Programma delle azioni
• Parco Nazionale dei Monti Sibillini - 2003 - Le linee guida dello sviluppo turistico in applicazione della Carta Europea
• Parco Nazionale dei Monti Sibillini - Piano per il Parco
• Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano - 2002 - Rapporto dello Stato dell'Ambiente del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano
• Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano -Piano del Parco- relazione illustrativa
• Parco Nazionale del Gargano - 2006 - Dichiarazione Ambientale
• Parco Nazionale del Gargano - Piano del Parco
• Parco Nazionale del Gran Paradiso - 2005 - Piano del Parco, bozza norme tecniche di attuazione e studi per il Piano
• Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga - Piano del Parco - relazione di Piano
• Parco Nazionale del Vesuvio -Piano del Parco
• Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano - 2006 - Rapporto sullo Stato dell'Ambiente
• Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano -Piano del Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano - Norme tecniche di attuazione
• Parco Nazionale dell'Asinara - 2005 - Piano del Parco
• Parco Nazionale dell'Aspromonte - 2007 - Relazione del Piano del Parco
• Parco Nazionale delle Cinque Terre - 2005 - Piano del Parco
• Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi -Piano del Parco e norme di attuazione
• Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi - 2002 - Piano del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna
• Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi - 2003 - dieci anni di Parco - 1993-2003
• Parco Nazionale dello Stelvio - Piano del Parco
• Sistema Parchi dell'Oltrepò mantovano -rappresentazione dei risultati della diagnosi territoriale per l'adesione alla Carta Europea per il turismo sostenibile nelle aree protette

Siti web di interesse
http://infosig3.frascati.enea.it/archicharter
http://qualitypark.casaccia.enea.it
http://www.parks.it
http://wwwbioitaly.casaccia.enea.it

Lucia Naviglio, Fabio Barbato, Mario Castorina, Susanna D'Antoni, Maria Cecilia Natalia, Luciano Onori, Sandro Paci, Marco Sbrana, Antonella Signorini