Alpi, la bufera calda; basteranno i parchi?
I dati sul riscaldamento del pianeta assumono dimensioni particolari sulla catena alpina, dove si registrano cambiamenti più veloci e più intensi del previsto. A dirlo è l'Agenzia europea dell'ambiente.
E di fronte a questi dati perde di importanza anche la notizia che in Svizzera si riparte con nuovi parchi nazionali e regionali
Le Alpi cambiano e più velocemente di quanto si potesse prevedere. Sono in linea con ciò che accade su tutto il pianeta, dove le conseguenze dei cambiamenti climatici si manifestano in anticipo rispetto agli scenari immaginati per il futuro. L'allarme, questa volta, giunge dall'Agenzia europea dell'ambiente.
L'autorevole fonte (per chi vuole saperne di più: «Regional climate change and adaptation ? The Alps facing the challenge of changing water resources — EEA», dove il rapporto può essere scaricato in formato pdf), pur nella prudenza che caratterizza tutti questi tipi di studi, ipotizza scenari alpini invernali con riduzioni delle precipitazioni nevose del 36%. Significa che a Cortina vedranno la neve per soli 11 giorni e a Courmayeur per 40. «Fra la fine del diciannovesimo secolo e l'inizio del ventesimo-scrivono i ricercatori dell'Eea- le Alpi (zona fra le più vulnerabili al cambiamento climatico in Europa) hanno sperimentato un aumento eccezionale delle temperature di circa 2 gradi, oltre il doppio rispetto alla media del riscaldamento nell'emisfero Nord».
I dati consolidati ci dicono che l'Europa, dall'epoca preindustriale a oggi, ha la febbre più che ogni area nel resto del mondo, con temperature che si sono alzate di 1,2 gradi contro 1 grado. Le proiezioni dell'Agenzia indicano una linea della febbre che salirà di ulteriori 1,4 gradi di qui alla metà del secolo per poi avere, nella seconda metà, una forte accelerazione che porterà a toccare i +3,5- 3,9 gradi, contro i 3,3 gradi nel resto d'Europa.
Una situazione destinata a peggiorare alle alte quote, con previsioni che vanno dai + 4,2-4,8 gradi al di sopra dei 1500 metri sino ai +6 degli spazi in altitudine.
Anche se alla conferenza mondiale di Copenaghen si dovesse trovare un accordo per il contenimento dei gas serra, la temperatura delle terre alte sarebbe comunque destinata a crescere di 2,6 gradi. La conseguenza più percepibile di questo stato delle cose è il progressivo arretramento del fronte dei ghiacciai che, ma qui si vede meno, si assottigliano anche. Il fenomeno è comune a tutta la Terra, ma sulle Alpi si manifesta, da un po' di anni, con velocità doppia che altrove.
I dati, anche questi verificati, segnalano una riduzione dai 4.500 chilometri quadrati di continente che ricoprivano nel 1850, ai 2.200 nel 2000; in analogia con l'andamento delle temperature, dal 1850 al 1975 hanno perso ogni anno lo 0,5% del loro volume, mentre dal 2000 la perdita annua è stata del 2-3%. Tutto questo non può che preoccupare, se consideriamo che il territorio alpino rappresenta la riserva d'acqua di gran parte d'Europa ("water towers" le chiama il rapporto), risorsa vitale per il futuro delle comunità viventi -a cominciare da quella umana- e dell'economia.
La ricerca europea esamina i casi del Danubio, del Reno, del Po e dell'Adige, del Rodano, tutti con origine sulle Alpi, per poi soffermarsi su sei casi studio regionali: la valle di Lavant in Austria, il Vallese per la Svizzera, il Sud Tirolo in Italia, la Savoia in Francia e il fiume Soãa/Isonzo tra Slovenia e Italia, per comprendere gli adattamenti locali che debbono essere previsti da apposite strategie.
Per intervenire efficacemente, basteranno strumenti come la Direttiva quadro europea in materia di acque o le strategie del Libro Bianco sugli adattamenti climatici o, ancora, il Piano d'azione della Convenzione Alpina, piuttosto che le indicazioni del Secondo Rapporto sullo stato delle Alpi?
Intanto sembrerebbero, al momento, poco seguiti; in secondo luogo la situazione delle Alpi appare poco confrontabile con le altre regioni montuose d'Europa e dunque necessiterebbe di decisioni e azioni specifiche.
Ma lasciamo questo aspetto destinato a diventare strategico in tempi brevi, per soffermarci sulla biodiversità cui sarà dedicato il prossimo anno; e che comincerà malissimo, con il fallimento degli obiettivi di Countadown 2010. I cambiamenti climatici incidono pesantemente sulla biodiversità cui portano sconvolgimenti le cui conseguenze non siamo in grado di valutare sino in fondo.
Gli scenari investono un patrimonio di 4.500 piante vascolari che rappresentano un terzo della flora continentale, con almeno 400 specie endemiche. La risposta, per ora, è la migrazione: alberi, fiori, erbe, muschi, licheni, insetti, uccelli, animali vari, sempre più in alto! Una marcia per la sopravvivenza destinata a infrangersi contro i limiti del territorio, a ricordarci, semmai ce ne fosse bisogno, quei limiti della crescita che continuiamo ostinatamente a voler ignorare. Oltre solo il baratro, il precipizio verso l'estinzione che minaccia, entro il 2080, il 62% delle specie di piante montane. Il 20% di tutte le specie vegetali del vecchio continente, già oggi abita lassù, in quel 3% di suolo alpino al di sopra della fascia delle piante ad alto-medio fusto. Eppure «La linea degli alberi - avverte la ricerca dell'Agenzia europea - si sposterà di alcune centinaia di metri più in alto».
E per le 30.000 specie faunistiche alpine quale domani si prepara?
Che ne sarà di quelle che già oggi sono a rischio come il temolo, la trota fario, il gallo forcello, la lepre alpina?
Per difendersi dai cambiamenti climatici non saranno più sufficienti nemmeno le aree protette che oggi rappresentano il 23% della Alpi. Ecco perché, anche se non può che far piacere ed essere accolta con soddisfazione, la notizia che il Consiglio Federale Svizzero, a un anno dalla revisione della legge sulla protezione della natura, ha dato il via alla nuova ordinanza sui parchi che consentirà la creazione di nuove aree protette in terra elvetica, perde buona parte del suo significato.
In lista di attesa sette parchi regionali e il progetto del Parco Nazionale del Locarnese, 75 chilometri quadrati ad alta protezione contornati da una zona periferica di oltre 250, in Canton Ticino tra le valli Onsernone, Centovalli Vallemaggia, Rovana e la Bavona.
Il progetto, avviato nel 2002 è stato ammesso di recente all'esame federale, anche se la parallela iniziativa per la costituzione, in alternativa, di un parco naturale regionale, grosso modo sullo stesso territorio, vorrebbe ridurne le temute norme di conservazione e buona gestione. Ancora una volta, sembra prevalere l'incapacità di comprendere -al di là dei consueti stereotipi che attribuiscono ai parchi volontà solo proibizioniste- le reali funzioni di misure legislative che altro non fanne se non aiutare nella ricerca e sperimentazione della sostenibilità dello sviluppo, e tornano purtroppo a formarsi due schieramenti contrapposti, che si fronteggiano.
Le Alpi, come abbiamo visto, non hanno bisogno di questo, ma di decisioni rapide per garantirsi il futuro. Ci auguriamo dunque che dal confronto nasca il dialogo e si raggiungano risultati condivisi capaci di dare risposte concrete per fronteggiare gli scenari davvero poco rosei che le Alpi, e non solo loro, si trovano dinanzi.
a Cura di Ettore Falco
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