Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 58



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Testimonianza

Parola di Presidente

Costituzione: Art. 9 Montagne, Mediterraneo Sostenibilità

Proseguendo nell'esplorazione del pensiero dei vertici del nostro Stato sulle questioni della corretta gestione dell'ambiente e del territorio, iniziata con il Presidente emerito della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro (Parchi n. 55 ), ci soffermiamo in questa occasione sulle riflessioni del suo successore, Carlo Azeglio Ciampi.

Nato a Livorno nel dicembre del 1920 ha avuto una formazione da economista che lo ha portato a svolgere la delicata funzione di Governatore della Banca d'Italia dal 1979 al 1993 quando è stato chiamato a ricoprire la carica di Presidente del Consiglio dei Ministri e, ad interim, di Ministro del Turismo e dello Spettacolo. Successivamente ha avuto l'incarico, tra il 1996 e il 1999, di Ministro del Tesoro e del Bilancio. Il 18 maggio dello stesso anno è stato proclamato decimo Presidente della Repubblica per il settennato che si è chiuso il 10 maggio 2006.
Da allora, come tutti i Presidenti cessati dall'incarico, side sugli scranni di Palazzo madama come Senatore a vita.
Il Presidente emerito Ciampi, che ha affrontato in numerose occasioni gli argomenti che ci stanno a cuore, ci ha autorizzati a ricostruire la trama del suo pensiero dall'ampia bibliografia dei suoi interventi pubblici.
Abbiamo così composto un florilegio di puntuali argomentazioni e osservazioni che vale la pena riproporre a seconda delle varie tematiche che abbiamo introdotto con le frasi che stanno a inizio dei vari capitoli.

L'articolo 9 della Costituzione.
«L'articolo più originale della nostra Costituzione repubblicana è l'articolo 9. La Costituzione ha espresso come principio giuridico quello che è scolpito nella coscienza di ogni italiano, la stessa connessione tra i due commi dell'articolo 9 è un tratto peculiare: sviluppo, ricerca, cultura e patrimonio formano un tutto inscindibile. Anche la tutela dunque deve essere concepita non in senso di passiva protezione, ma in senso attivo, cioè in funzione della cultura dei cittadini, deve rendere questo patrimonio fruibile a tutti. La presenza dell'articolo 9 fra i principi fondamentali della nostra comunità offre un'indicazione importante sulla missione dell'Italia, su un modo di essere e di pensare al quale vogliamo e dobbiamo essere fedeli.
La stessa economia, lo ha ribadito la Corte Costituzionale, si deve ispirare alla cultura come sigillo della sua italianità Anche la tutela, dunque, deve essere concepita non in senso di passiva protezione, ma in senso attivo, e cioè in funzione della cultura dei cittadini, deve rendere questo patrimonio fruibile da tutti. Se ci riflettiamo più a fondo, la presenza dell'articolo 9 tra i ‘principi fondamentali' della nostra comunità offre un'indicazione importante sulla ‘missione' della nostra Patria, su un modo di pensare e di vivere al quale vogliamo, dobbiamo essere fedeli. La cultura e il patrimonio artistico devono essere gestiti bene perché siano effettivamente a disposizione di tutti, oggi e domani per tutte le generazioni. La doverosa economicità della gestione dei beni culturali, la sua efficienza, non sono l'obiettivo della promozione della cultura, ma un mezzo utile per la loro conservazione e diffusione. Lo ha detto chiaramente la Corte Costituzionale in una sentenza del 1986, quando ha indicato la ‘primarietà' del valore estetico-culturale che non può essere subordinato ad altri valori, ivi compresi quelli economici' e anzi indica che la stessa economia si deve ispirare alla cultura, come sigillo della sua italianità. La promozione della sua conoscenza, la tutela del patrimonio artistico non sono dunque un'attività ‘fra altre' per la Repubblica, ma una delle sue missioni più proprie, pubblica e inalienabile per dettato costituzionale e per volontà di una identità millenaria».

L'art. 9 è il più originale della nostra Costituzione, quello che meglio rispecchia la storia e l'identità italiana.
«Che i principi della tutela prendano posto nella Carta Costituzionale di un Paese moderno non è per nulla ovvio. Il solo precedente a me noto è l'art. 45 della Costituzione repubblicana della Spagna (1931) peraltro di cortissima vita, che è stato poi ripreso nell'art. 46 della Costituzione spagnola del 1978. Più recentemente, altri Paesi hanno adottato principi di tutela nelle rispettive Costituzioni: è il caso, in Europa, di quella di Malta (1964), i cui artt. 8 e 9 ripetono alla lettera l'art. 9 della Costituzione italiana, e del Portogallo (1989), dove il tema ricorre, ancora una volta all'art. 9, fra le "responsabilità fondamentali dello Stato" («proteggere e valorizzare il patrimonio culturale del popolo portoghese, difendere la natura e l'ambiente, conservare le risorse naturali e garantire una corretta gestione del territorio»). È il caso delle Carte Costituzionali di vari Paesi dell'America Latina, dal Costarica (1949) al Brasile (1988), a Cuba (1992).
Come si vede, ben pochi Paesi (rispetto ai quasi 200 che sono membri dell'ONU) hanno inserito nella propria Costituzione un principio di tutela; l'Italia, il Portogallo e Malta sembrano essere i soli che lo hanno collocato fra i principi fondamentali della Carta»

Per una corretta interpretazione.
«La sua lettura è stata precisata e consacrata al massimo livello da alcune importanti sentenze della Corte Costituzionale. Vorrei qui citarne solo due, che hanno attinenza a temi in discussione oggi. Secondo la prima (151/1986), l'art. 9 sancisce "la primarietà del valore estetico-culturale", che non può essere "subordinato ad altri valori, ivi compresi quelli economici", e pertanto dev'essere "capace di influire profondamente sull'ordine economico-sociale". Quando si parla di unità d'intenti fra imprese e Stato nella tutela non dobbiamo dimenticare questo punto; né farci catturare dall'idea un po' facilona secondo cui il turismo sarebbe la massima "industria" del Paese, e i beni culturali il suo "prodotto". I beni culturali e il paesaggio devono essere tutelati non per offrirli ai turisti, bensì di per sé: non sono un "prodotto", sono la nostra storia, la nostra anima. Il turismo di massa, ce lo ha ricordato Hugues de Varine, produce usura del patrimonio, dunque richiede un accrescimento di tutela, e non la nostalgia del Grand Tour riservato a ristrette élites. Come ci ha detto Ermanno Olmi, il paesaggio reale che ci circonda e il paesaggio morale che è dentro di noi si riflettono mutuamente: la devastazione dell'uno produce la devastazione progressiva dell'altro, e dobbiamo saper fermare in tempo questo degrado.
La sentenza della Corte (269/1995) dice: «Il regime giuridico, fissato per le cose di interesse storico artistico, trovando nell'art. 9 della Costituzione il suo fondamento, si giustifica nella sua specificità in relazione all'esigenza di salvaguardare beni cui sono connessi interessi primari per la vita culturale del paese. L'esigenza di conservare, di garantire la fruizione da parte della collettività delle cose di interesse storico artistico, giustifica l'adozione di particolari misure di tutela da parte dell'amministrazione».
Questa sentenza rende chiaro ed esplicito che il principio costituzionale contenuto nell'art. 9 presuppone, anzi impone, che la Repubblica abbia proprie norme di tutela (che quando la Costituzione fu approvata e promulgata erano, appunto, le leggi Bottai, dalle quali deriva ancora la sostanza del Codice dei Beni Culturali oggi in vigore), e che tali norme siano salvaguardate e applicate per cura di apposite strutture pubbliche (le Soprintendenze): il sistema della tutela è perciò organicamente connesso al dettato della Costituzione, ne costituisce a un tempo il necessario presupposto e un indispensabile meccanismo attuativo. La tutela prescritta dall'art. 9 non è un pio desiderio né un principio astratto, ma si incarna in norme e in strutture dello Stato.
La funzionalità della pubblica amministrazione della tutela dev'essere garantita dallo Stato, perché è prescritta dalla Costituzione.
Se non garantiamo la piena funzionalità delle Soprintendenze, come si è fatto col lungo blocco delle assunzioni), violiamo la Costituzione».

Conflitti istituzionali.
«Indicherò qui due esempi. Il primo è la riforma del titolo V della Costituzione, che riserva allo Stato la responsabilità della tutela del patrimonio culturale, e però dichiara «materie di legislazione concorrente» fra Stato e Regioni non solo il «governo del territorio» ma anche la «valorizzazione dei beni culturali e ambientali». Affermazioni, a dire il vero, incompetenti e poco chiare, che segmentano in modo inattuabile quello che dev'essere un processo unico, conoscenza-tutela-gestione-valorizzazione dei beni culturali, assegnandolo ad attori diversi in modo assolutamente impraticabile.
Tutela, gestione e valorizzazione del patrimonio culturale sono momenti intimamente connessi di un processo unico, che hanno senso solo se ispirati da un'istanza unificante, la ricerca conoscitiva sui beni da tutelare e gestire. Per esempio, la catalogazione sarà da intendersi come tutela, come valorizzazione, o come gestione? Nessuno lo ha mai chiarito, perché di fatto questo punto non si può chiarire: la catalogazione non è nessuna di queste tre cose, ma è l'interfaccia indispensabile fra tutte e tre. La loro distinzione è speciosa e dannosa, contraria a ogni principio di buona amministrazione in quanto produce il frazionamento dell'azione amministrativa e la dispersione delle responsabilità.
La funzione di tutela resta allo Stato, ma viene impoverita e svuotata di funzionalità e di contenuti, dunque anche della necessaria progettualità, inerte se non guidata da una visione d'insieme e sorretta da piena assunzione di responsabilità e dalla capacità di controllare la qualità dei progetti e della loro implementazione.
Il secondo esempio è la difficile gestione della tutela del paesaggio, l'aspetto più discutibile del nuovo Codice dei Beni culturali.
L'art. 135, è vero, prescrive l'obbligo di piani paesaggistici regionali con interventi di riqualificazione e recupero, definendo all'art. 143 il piano paesaggistico, cogente per i comuni, con la possibilità di aumentare le aree e gli immobili da tutelare; ma i piani paesaggistici non ci sono, le regioni con qualche rarissima eccezione continuano a non farli, e le decisioni restano di fatto in mano ai Comuni. Anzi, l'innovazione più rilevante rispetto alla legge Galasso è che le Soprintendenze (cioè gli enti preposti, secondo la Costituzione, alla tutela del paesaggio) perdono il potere di annullare "a valle" le autorizzazioni edilizie concesse dai Comuni: anzi, per il parere reso dalle Soprintendenze vale il principio del silenzioassenso, onde –recita l'art. 146 comma 7— decorso il termine perentorio di 60 giorni le amministrazioni locali deliberano senza più dover ascoltare la Soprintendenza. In compenso, almeno in teoria, le Soprintendenze acquistano la possibilità di collaborare, "a monte", alla redazione dei piani paesaggistici delle Regioni. Ma secondo la nuova versione del Codice (d. lgs. 157/2006, art. 146 c. 3), ancora di fatto n on sperimentato, le Regioni possono delegare la loro funziona autorizzatoria alle Province o ad associazioni di Comuni, e possono delegarle solo ai Comuni che abbiano adeguato i propri strumenti urbanistici al piano paesaggistico regionale. In questo gioco dei quattro cantoni, la funzione di controllo delle Soprintendenze ora viene evocata, ora sparisce dietro l'angolo, in un labirinto di ipotesi normative e pianificatorie che di fatto non si traduce in realtà; e la possibilità che esse collaborino con le Regioni alla redazione dei piani paesaggistici viene interamente lasciata alla buona volontà delle Regioni, che col Ministero «possono» (e non «devono») stipulare «accordi per l'elaborazione d'intesa dei piani paesaggistici». Piani che, lo abbiamo detto, quasi nessuna Regione ha fatto: ma se li facessero ciò comporterebbe la scomparsa finale delle Soprintendenze dalla scena: infatti, secondo la nuova normativa introdotta dal d. lgs. 157/2006 nell'art. 143, c. 4 del Codice, «nel caso in cui il piano sia stato approvato a seguito dell'accordo di cui al comma 3, nel procedimento autorizzatorio di cui agli articoli 146 e 147 il parere del soprintendente è obbligatorio, ma non vincolante», cioè è carta straccia.
Un buon funzionamento dell'amministrazione pubblica della tutela è consustanziale alla Costituzione, come risulta dalle citate sentenze della Corte. Ma perché l'amministrazione della tutela funzioni, occorre che essa sia formata da un numero sufficiente di tecnici di alta qualificazione professionale, selezionati sulla sola base della qualità e del merito e messi in condizione di lavorare con piena indipendenza di giudizio e risorse adeguate, in stretta connessione con le altre amministrazioni pubbliche e al servizio dei cittadini. Questi principi sono stati tutti, in varia misura, contraddetti negli ultimi decenni. Il numero delle nuove assunzioni è paurosamente calato, e non copre nemmeno un decimo dei pensionamenti; l'età media dei funzionari tecnici è ormai di quasi 55 anni, il che vuol dire che fra dieci anni, se non si corre ai ripari, nelle Soprintendenze non ci sarà più nessuno. Ai rigorosi concorsi di un tempo si sono però talvolta sostituiti meccanismi di assunzione trasversali e non garantiti, dequalificanti ope legis oppure ridicoli e squalificanti quiz. Il legame fra museo e territorio è stato scalzato con la creazione dei "poli museali", allo scopo nemmeno tanto nascosto di trasformare i musei principali in altrettante Fondazioni, e questo proprio mentre la confusa devoluzione della "valorizzazione" alle Regioni depotenziava ulteriormente le strutture dello Stato. E' cresciuta in questi anni, grazie a due successive riforme, la burocratizzazione delle strutture ministeriali, con la moltiplicazione delle direzioni generali e la creazione di Soprintedenze (poi Direzioni) regionali che segmentano ulteriormente ogni processo decisionale allontanando i funzionari dal concreto contatto col territorio. Rischia intanto di prender piede, al centro come in periferia, uno strisciante spoil system, che a volte sembra prefigurare forme di devoluzione anche della tutela, peraltro chieste a gran voce anche da regioni governate dal centrosinistra come la Toscana. Nessuno, tuttavia, si dà la pena di analizzare, prima di procedere, le conseguenze della devoluzione dei beni culturali alla Regione in Sicilia, in vigore dal 1975. Si vedrebbe che sono conseguenze in gran parte negative: le nomine politiche dei Soprintendenti, assoggettati agli assessori regionali, la separazione di musei e territorio, il prevalere delle istanze politiche su quelle tecniche. La tendenza, a quel che pare, è dunque a svuotare le Soprintendenze delle loro funzioni di ricerca e della loro indipendenza di giudizio tecnico.
Questo processo mortifica le conoscenze tecniche in nome di esigenze politiche sempre più pressanti. Ma il processo è destinato ad accentuarsi quanto più l'amministrazione della tutela, anziché essere garantita dalla stessa qualità e autorità scientifica dei suoi addetti e dalla loro piena indipendenza di giudizio e capacità di agire incisivamente, sarà affidata a un potere politico incombente (quello delle Regioni), e quanto più saranno instabili e soggette a capricciosi rinnovi (o revoche) di anno in anno le posizioni dei Soprintendenti. Si vanno in tal modo perdendo per strada non solo le competenze, ma l'etica professionale che per oltre un secolo ha accompagnato le battaglie per la tutela nel nostro Paese. L'amministrazione, consapevolmente depotenziata, funziona com'è ovvio sempre peggio, e per punizione viene ulteriormente delegittimata e scalzata ogni giorno che passa. I principi della tutela rischiano in tal modo di trasformarsi in una vuota retorica. Chiudo con una domanda: la cultura istituzionale e giuridica, che ha fatto dell'Italia quello che è, che ha diffuso partendo dal nostro Paese leggi di tutela in tutto il mondo, è ancora la nostra cultura o abbiamo deciso di abbandonarla? Se abbiamo deciso di abbandonarla sarà meglio cancellare l'articolo 9 della Costituzione. Se vogliamo mantenerla, è necessario applicarlo con rigore etico e intellettuale».

Precedenti ideali, storici, giuridici.
«Dobbiamo ricordare (pochi italiani lo sanno) che proprio in Italia nacquero le più antiche norme di protezione del patrimonio culturale, anzi la stessa idea che la protezione del patrimonio culturale non debba essere affidata alla buona volontà dei singoli, ma debba anzi essere regolata da norme e leggi pubbliche. Ho detto "in Italia", ma naturalmente pensavo agli stati italiani pre-unitari, dove norme di questo tipo sorsero molto prima che l'Italia esistesse come Paese unito. A partire dalle prime norme (per esempio quelle emanate dai papi dal XV secolo in poi), fino all'unità d'Italia, una serie ininterrotta di editti e leggi si dipana nei secoli, e nei vari Stati sparsi lungo la nostra penisola. E' da quella tradizione, e non dal nulla, che nacquero le leggi di tutela del Regno d'Italia, e poi quelle della nostra Repubblica. Nel Regno di Napoli, per esempio, fu con Carlo III che si cominciarono a emanare bandi e norme a protezione delle antichità, e poi degli altri "beni culturali": il primo di questi editti (1755) ricordava il "rammarico" del Re per le eccessive esportazioni di antichità, e la necessità di porvi rimedio. Ancor più chiare e coerenti le norme di tutela degli antichi Stati pontifici, che già nell'editto del cardinal camerlengo Albani (1733) parlano di «grave pregiudizio del pubblico decoro», e in quello del camerlengo card. Valenti (1750) insistono sul «pubblico decoro» che comporta la conservazione in Roma delle opere d'arte e sul'gran vantaggio del pubblico e privato bene» che ne consegue. Si viene così delineando e precisando la nozione di "pubblica utilità" del patrimonio culturale, poi sempre più esplicitamente formulata e costantemente ribadita fino alla legge più coerente, l'editto Pacca del 1819.
Ma come mai i vari stati italiani preunitari agirono tutti, come fossero in concerto fra loro, in una stessa direzione? Nessun trattato inter-statale li obbligava a emanare leggi di tutela (mentre nell'Europa di oggi, nonostante l'intensa attività diplomatica e l'esistenza di un Parlamento e di mille norme comuni, trovare un punto d'accordo e di mediazione sulla nozione di tutela del patrimonio è stato finora impossibile); eppure, essi lo fecero, e con leggi certo diversificate nella forma, ma di spirito assai simile. Per dare ancor più rilievo a questa domanda, va ricordato che Carlo III, dopo essere passato dal trono di Napoli a quello di Spagna, non vi legiferò sulla tutela: il "profondo rammarico" che egli provava per la scarsa protezione delle opere d'arte a Napoli si era dunque dileguato a Madrid? No: nell'un caso e nell'altro, il sovrano non scrive personalmente le leggi, ma governa su organismi, ministri e istituzioni che sono espressione della cultura civile e giuridica del luogo. A Napoli, la cultura del luogo induceva a quel rammarico e a quelle leggi; a Madrid, no. E' chiaro che la coerenza fra le leggi dei re di Napoli e dei papi, dei duchi di Parma e dei dogi di Venezia, mostra che era qui in opera (precisamente come per l'uso della lingua italiana) una cultura civile e giuridica comune a tutta Italia, Questa cultura ha una doppia radice: da un lato, nella tradizione delle città italiane con le loro norme sulla dignità della città e dei monumenti; dall'altro nell'antico principio, proprio del diritto romano, del legatum ad patriam, secondo il quale quanto venga posto, anche da un privato, in luogo pubblico (per esempio la facciata di un edificio) ricade nella condizione giuridica di un percorso secolare che ha fatto della tutela del patrimonio un principio costitutivo della storia e dell'identità italiana. Esso consacra e perpetua alcuni principi ispiratori costanti, fra i quali ne emergono due: primo, il patrimonio artistico pubblico appartiene ai cittadini, in quanto titolari della sovranità popolare ereditata dalle antiche dinastie e repubbliche. Secondo: lo Stato ha il dovere di tutelare il patrimonio culturale (pubblico e privato) nella sua interezza, promuovendone una sempre miglior conoscenza mediante la ricerca. La nostra società civile, il "codice genetico" che ci fa quello che siamo (e che saremo), non è pensabile senza la nostra cultura della conservazione».
Relazione al congresso annuale del FAI

Dunque una missione inalienabile per il nostro Paese.
«È nel nostro patrimonio artistico, nella nostra lingua, nella capacità creativa degli italiani che risiede il cuore della nostra identità, di quella Nazione che è nata ben prima dello Stato e ne rappresenta la più alta legittimazione.
L'Italia che è dentro ciascuno di noi è espressa nella cultura umanistica, dall'arte figurativa, dalla musica, dall'architettura, dalla poesia e dalla letteratura di un unico popolo. L'identità nazionale degli italiani si basa sulla consapevolezza di essere custodi di un patrimonio culturale unitario che non ha eguali nel mondo. Forse l'articolo più originale della nostra Costituzione repubblicana è proprio quell'articolo 9 che, infatti, trova poche analogie nelle costituzioni di tutto il mondo: ‘La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione'. La Costituzione ha espresso come principio giuridico quello che è scolpito nella coscienza di ogni italiano. La stessa connessione tra i due commi dell'articolo 9 è un tratto peculiare: sviluppo, ricerca, cultura, patrimonio formano un tutto inscindibile. Anche la tutela, dunque, deve essere concepita non in senso di passiva protezione, ma in senso attivo, e cioè in funzione della cultura dei cittadini, deve rendere questo patrimonio fruibile da tutti. Se ci riflettiamo più a fondo, la presenza dell'articolo 9 tra i ‘principi fondamentali' della nostra comunità offre un'indicazione importante sulla ‘missione' della nostra Patria, su un modo di pensare e di vivere al quale vogliamo, dobbiamo essere fedeli. La cultura e il patrimonio artistico devono essere gestiti bene perché siano effettivamente a disposizione di tutti, oggi e domani per tutte le generazioni. La doverosa economicità della gestione dei beni culturali, la sua efficienza, non sono l'obiettivo della promozione della cultura, ma un mezzo utile per la loro conservazione e diffusione. Lo ha detto chiaramente la Corte Costituzionale in una sentenza del 1986, quando ha indicato la ‘primarietà del valore estetico-culturale che non può essere subordinato ad altri valori, ivi compresi quelli economici' e anzi indica che la stessa economia si deve ispirare alla cultura, come sigillo della sua italianità. La promozione della sua conoscenza, la tutela del patrimonio artistico non sono dunque un'attività ‘fra altre' per la Repubblica, ma una delle sue missioni più proprie, pubblica e inalienabile per dettato costituzionale e per volontà di una identità millenaria».
Consegna delle medaglie d'oro ai benemeriti della cultura e dell'arte. 5 maggio 2003

Agricoltura, alimentazione fame nel mondo
«La sicurezza alimentare richiede maggiore produzione, affidabilità dei raccolti, servizi funzionali di approvvigionamento, raccolta e distribuzione. Una "agricoltura prospera" presuppone l'utilizzo non distruttivo delle terre coltivabili, delle foreste e delle aree montane, la preservazione dei suoli, l'attenta gestione delle acque, il mantenimento del patrimonio zootecnico e delle risorse ittiche. Un'agricoltura sostenibile, garanzia di risorse per le future generazioni, è inseparabile dalla difesa dell'ambiente. Una superficie più estesa dei territori degli Stati Uniti e del Canada messi assieme è oggi in degrado a causa dell'intervento dell'uomo.
Desertificazione, perdita di diversità biologica, cambiamenti climatici minacciano seriamente ulteriori dissesti e rotture di vitali equilibri climatici ed ecologici. Ogni paese deve responsabilmente impegnarsi sui temi globali di tutela dell'ambiente. L'Unione Europea è orgogliosa di aver ratificato il Protocollo di Kyoto».
Vertice Mondiale sull'Alimentazione FAO, Roma 10 giugno 2002

I valori della montagna italiana nelle parole di un grande appassionato.
«L'Italia è un paese con una storia profondamente legata alla montagna. Gli oltre duemila chilometri di catene montuose della penisola, dalle Alpi agli Appennini, e le montagne delle nostre isole minori e maggiori, dalle Madonie al Gennargentu, custodiscono un autentico tesoro di natura, di arte, di cultura e di storia, scrigno insostituibile della nostra identità nazionale.
La tutela delle risorse naturali e montane è un impegno sancito dalla nostra Costituzione.
Difendere questo straordinario patrimonio dall'aggressione degli egoismi, della speculazione e dall'abbandono significa prendersi cura di noi stessi e custodire la nostra storia. La montagna deve vivere, non solo perché è bella, ma anche perché è fonte di vita per tutti noi. L'azione delle autorità locali e nazionali deve favorire una politica che possa coniugare la crescita economica e la tutela delle risorse naturali, favorendo l'inserimento delle comunità montane nel mondo moderno e tecnologico, senza mai perdere di vista i profondi valori legati alla tradizione.
Il rilancio dei borghi e dei piccoli comuni montani presuppone una nuova cultura di crescita sostenibile. Le tradizionali attività agricole, artigianali e turistiche vanno incoraggiate in una realtà imprenditoriale
che possa trarre beneficio da una rinnovata valorizzazione del territorio che passa per la protezione del patrimonio ambientale.
Dobbiamo saper cogliere le opportunità fornite da nuove ed antiche professionalità legate ad una sapiente gestione delle risorse montane. Un'attenta programmazione per la difesa idrogeologica, una gestione consapevole e sostenibile del patrimonio forestale ed ambientale, un'agricoltura moderna che sappia coniugare qualità e produzione, sono i cardini indispensabili del presidio delle risorse montane e di fondovalle.
La cultura della montagna è la cultura del rispetto. E' elemento di condivisione e punto d'incontro tra le comunità locali e chi viene dalla città alla ricerca di un nuovo contatto con la natura e di attività sportive e ricreative.
E' anche luminoso esempio di convivenza e compartecipazione, testimoniato dalla grande ricchezza e diversificazione di tradizioni storiche e culturali che coesistono nell'impareggiabile caleidoscopio di idiomi, di usi e di costumi, che caratterizzano le popolazioni abitanti le vallate alpine».
Giornata Internazionale della montagna 13 dicembre 2004 «Le montagne sono un bene naturale fondamentale per la vita dell'uomo, anche quali "sorgenti di acqua dolce", come richiama il tema della giornata internazionale di quest'anno. Sono "castelli d'acqua", come ci ha ricordato Monsieur Diouf, che ha sottolineato l'impegno della FAO nel partenariato internazionale della Montagna.
E' un patrimonio prezioso per il pianeta, per ogni Nazione, per tutte le Comunità.
Per questo la promozione delle zone montane e la tutela del paesaggio sono impegni della nostra Costituzione, doveri della Repubblica. I duemila chilometri di catene montuose, dalle Alpi alla Sicilia, e gli oltre 4000 comuni montani rappresentano una parte importante del territorio nazionale.
Sono terre che costano fatica e proprio per questo testimoniano impegno e passione di chi le abita. Difendere questo straordinario patrimonio dall'aggressione degli egoismi, dalla speculazione e dall'abbandono significa custodire la nostra identità nazionale, che si fonda sulla bellezza di un paesaggio indissolubilmente intrecciato con l'opera dell'uomo. Prendersi cura della natura significa prendersi cura di noi stessi, stabilire un patto di alleanza e di rispetto. Per prevenire il degrado e i danni occorre a questo fine coniugare modernità e tradizione, valorizzare le nuove professionalità e competenze per la tutela del patrimonio idrogeologico, per la conservazione e la cura dei boschi, per lo sviluppo dell'agricoltura. Bisogna farlo considerando i problemi di queste zone: la minore densità abitativa, aggravata dal basso tasso d'incremento demografico ed i problemi connessi con l'invecchiamento della popolazione, alla difficoltà nei collegamenti.
Gli italiani, soprattutto i giovani, stanno riscoprendo i Comuni di piccola e media dimensione, la qualità del vivere insieme, secondo la cultura dell'accoglienza reciproca, del vivere più a contatto con la natura, con la nostra terra.
Vogliono una montagna viva, abitata da comunità attive che sappiano coniugare sviluppo sociale ed economico e tutela dell'ambiente. Comunità inserite nel mondo moderno, fatto di tecnologia, di distanze che si superano con i mezzi moderni, come il tele-lavoro, di memoria della tradizione e di valori. L'azione delle autorità locali e nazionali deve favorire questa nuova cultura che si pone come obiettivo lo sviluppo sostenibile».
Giornata Internazionale della Montagna, Quirinale, Roma 11 dicembre 2003
«Le montagne scandiscono la nostra identità nazionale: "… il bel paese ch'Appennin parte e ‘l mar circonda e l'Alpe". Ci raccontano una storia comune. Sono state teatro di molte battaglie combattute nel Risorgimento, fino alla Grande Guerra, in nome dell'indipendenza e dell'unità della Patria.
Durante la Resistenza hanno offerto riparo e protezione ai partigiani che combattevano per riconquistare la libertà e la democrazia.
La tenacia, il rispetto del lavoro, la solidarietà e l'accoglienza sono da sempre i valori di chi quotidianamente vive la montagna: la forza e la dolcezza del coro che abbiamo ascoltato li testimoniano.
E' necessario difendere questa realtà ricca di tradizioni e di memoria, ispirata alla reciproca collaborazione e alla sincerità dei rapporti, minacciata dai problemi dell'abbandono e dai rischi del dissesto idrogeologico.
Una politica di sostegno a favore degli oltre quattromila piccoli comuni montani è condizione indispensabile per la "salute" del territorio nazionale e per un suo sviluppo equilibrato. Le politiche nazionali in questo campo devono integrarsi con quelle dell'Unione europea, che nei suoi Trattati afferma l'impegno nei confronti delle aree meno favorite, includendo tra queste le regioni di montagna. La strategia di sviluppo deve essere lungimirante, equilibrata.
Salvaguardare le nostre montagne non significa certo isolamento. Non possiamo permetterci di essere tagliati fuori dalle grandi reti europee: dobbiamo usare i progressi delle tecnologie e delle conoscenze scientifiche per garantire la tutela dell'ambiente.
Il turismo, tema della giornata di quest'anno, rappresenta una risorsa per la piena valorizzazione dei parchi, delle aree
naturali protette e delle attività economiche tradizionali. Dobbiamo educare tutti a vivere la montagna in forme che assicurino riposo e svago e, al tempo stesso, siano rispettose dell'ambiente e del paesaggio.
Ad esempio, le iniziative degli agriturismi intrecciano positivamente agricoltura, ospitalità e qualità del vivere.
Incoraggiamo i giovani allo studio delle scienze a tutela della natura e alla ricerca di innovative strategie produttive. Essi, aiutati dall'esperienza degli adulti, saranno i migliori custodi della vitalità e della prosperità delle nostre montagne. Per questo, invito i giovani a guardare con fiducia verso le nuove prospettive che il territorio montano può offrire, se tutti concorriamo all'impegno per la sua tutela e per la sua valorizzazione».
Giornata Internazionale della Montagna, Quirinale, Roma 30 novembre 2005

Il ruolo delle aree protette.
«L'integrità degli ecosistemi consente la possibilità di effettuare studi e ricerche in campo ambientale, forestale, faunistico, vegetazionale, climatico, sull'influenza dei gas serra, sulla biodiversità, sulle tecniche di agricoltura biologica per citare alcune delle possibilità offerte da Castelporziano Occorre che la cultura e il sentimento di salvaguardia dell'ambiente e della salute degli uomini diventino sempre più patrimonio comune di tutti i cittadini per il benessere della generazione presente e di quelle future. La vera grande funzione pubblica della ricerca scientifica è quella di aumentare le conoscenze teoriche e di trovare le applicazioni, che ne permettano poi l'utilizzo nel mondo professionale ed in quello quotidiano».
Presentazione rapporto monitoraggio Tenuta di Castelporziano 13 novembre 2001

Il Mediterraneo, al centro di un progetto di sostenibilità ambientale, culturale e sociale.
«Il Mediterraneo costituisce un ecosistema unico dove praticare lo sviluppo sostenibile in un quadro di concretezza e senza retorica. Proteggere l'ambiente significa proteggere attività vitali come il turismo, la pesca, l'agricoltura, da cui oggi, come per il futuro, dipendono milioni di posti di lavoro.
Il Mediterraneo è al centro di programmi internazionali che perseguono la tutela del mare, il disinquinamento delle zone costiere, il controllo delle variazioni climatiche e meteorologiche; che affrontano i problemi della desertificazione e della scarsità dell'acqua; che studiano il potenziamento della produzione agricola e delle risorse ittiche.
Ci auguriamo che il Marocco, in prima linea nei programmi regionali, faccia sentire la sua voce al Vertice di Johannesburg, il prossimo mese di agosto, per significare che tutela dell'ambiente e sviluppo sostenibile richiedono rinnovati impegni e solidarietà soprattutto da parte dei paesi più industrializzati ».
Visita di Stato nel Regno del Marocco Accademia Reale, conferenza: "Quale Mediterraneo vogliamo", Rabat 16 maggio 2002

Per un futuro sostenibile.
«Altra priorità è la salvaguardia del nostro pianeta. Lo sviluppo sostenibile è una scelta obbligata. I danni causati da modelli di crescita che trascurino l'impatto ambientale sono spesso irreparabili.
Sappiamo ormai che le variazioni del clima non sono indipendenti dalle attività umane. La terra appartiene all'umanità.
Non possiamo ipotecare il benessere delle future generazioni. Abbiamo i mezzi per intervenire, per conciliare le esigenze della crescita economica e demografica con la tutela dell'ambiente: su questi problemi gli Stati devono operare insieme.
In un Paese che è forse il più ricco al mondo di beni artistici, culturali, ambientali, la consapevolezza che questi beni hanno un valore non solo spirituale ma anche economico.
Essi sono risorse importanti per lo sviluppo e per la crescita del benessere, a condizione di saperli proteggere e di saperli usare con intelligenza e senso della misura».
Cerimonia presentazione auguri del Corpo Diplomatico, Quirinale, Roma 19 dicembre 2002

«Il mantenimento ed il miglioramento degli equilibri ecologici del pianeta, la difesa dei grandi patrimoni naturali, il rafforzamento delle capacità scientifiche e tecnologiche, le riflessioni sull'etica delle scienze e sulla bioetica, le trasformazioni sociali e le migrazioni internazionali devono restare al centro dell'attenzione dell'UNESCO. Va sostenuto l'impegno dell'Organizzazione per una scienza finalizzata anche al miglioramento delle condizioni di vita dei paesi emergenti: esso si è già espresso negli strumenti internazionali adottati (la Dichiarazione sul genoma) e in quelli in via di adozione (la Dichiarazione sui dati genetici), nonché nel contributo di ricerca per la lotta alle emergenze sanitarie planetarie».
XXXII Conferenza Generale dell'Unesco, Parigi 29 settembre 2003

Come si evince da questa sequenza di pensieri a volte accennati, altre volte debitamente approfondite, la sensibilità del Presidente Ciampi sulle questioni ambientali e sulla necessità di difendere le componenti vitali del nostro ambiente di vita non è soltanto in superficie o di maniera.
Così come risulta fortemente motivata la carica che emerge nel momento in cui viene affrontato il tema più specifico, ma non meno importante, della tutela del paesaggio che, insieme ai beni culturali, è alla radice dello specifico articolo della Carta costituente.
Appassionato frequentatore delle terre alte, ha parole di grande sensibilità per i destini della montagna oggi colpevolmente emarginata dalle scelte economiche del paese, eppure con grandi potenzialità da mettere a disposizione dello sviluppo integrato dell'intera società, per il quale mantiene risorse naturali ed energetiche indispensabili in proiezione futura.
Così come, con lungimiranza, afferma il ruolo dell'area Mediterranea non soltanto come bacino strategico per la coesistenza pacifica tra diversità che prima o poi dovranno reciprocamente riconoscere il valore e la ricchezza che rappresentano l'una per l'altra, ma anche come delicato e fragile ecosistema che va mantenuto in equilibrio affinché possa continuare a fornire beni materiali e immateriali che ne rappresentano la cifra vincente e competitiva.
Più in generale le parole del Presidente Ciampi segnalano una conoscenza e una consapevolezza non solo del passato e dei valori di cui il nostro Paese è portatore in tutto il mondo, ma anche delle sfide da affrontare per garantire la conservazione delle nostre bellezze artistiche, storiche e ambientali la cui salvaguardia è imprescindibile per ogni azione che guardi ad un futuro sostenibile del Paese e del Pianeta.

Carlo Azeglio Ciampi