Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 59


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DOSSIER
Parchi tra venti di tempesta e desiderio di nuova primavera

Sù la testa?

Mettiamola così: la distanza fra "il Palazzo" e la realtà c'è sempre stata, ma ora ho la sensazione che sia ancor più aumentata. Basti pensare a come in tutte le inchieste di massa sulle cose ritenute più importanti il valore ambiente - generico, forse, ma significativo - è regolarmente fra le tre-cinque posizioni di testa. La politica sembra non accorgersene e bellamente taglia fondi, riduce risorse, cumula scelte solo penalizzanti. Intendiamoci bene. Se c'è crisi (e perdio se c'è …), se la finanza pubblica è in tremenda difficoltà, se … se …, nessuno si sottrae. Ma le scelte mi sembrano mediocri, tutt'altro che una sfida alta, insomma, mentre potrebbe essere possibile, a livello nazionale e locale, reimpostare con dignità un lavoro che segni un percorso originale e innovativo, modificando anche, almeno in parte, il paradigma originario, passando dalla "tutela" del territorio alla "gestione" originale dello stesso.
Utilizzo analoga chiave di lettura su un'area parziale come quella lombarda.
È noto il segno di forte attenzione che la Lombardia da trent'anni a questa parte ha dedicato al proprio sistema parchi: a partire dalla fine degli anni 70, con una legge "epocale" - del 1983, tuttora in vigore - ha contribuito alla creazione di una cultura di tutela del territorio.
L'asse centrale della legge rimane imperniato attorno a tre grandi punti fermi: una scelta che oggi chiameremmo federalista, perché il potere decisionale è in mano alle comunità locali, attraverso la struttura del consorzio obbligatorio; una forte capacità pianificatoria messa in capo alle competenze regionali, anche se con il passaggio decisionale finale in capo alla Regione; la scelta di tutelare un'estesa dimensione territoriale, che arriva a coprire quasi il 25% dell'intera
Lombardia.
A supporto di questo le risorse finanziarie sono inizialmente coperte – mediamente - per quasi il 60% dalla Regione, il resto è a carico dei Comuni e delle Province associati (negli anni questo rapporto si è progressivamente rovesciato, ed oggi la Regione contribuisce per quote inferiori al 40%).
Non si capisce quindi la ratio della manovra finanziaria di luglio del governo, che ha penalizzato tutti gli organi di direzione politica dei parchi regionali lombardi (ed emiliani, unica altra Regione ad avere i consorzi obbligatori), azzerando radicalmente i già non faraonici compensi degli amministratori, aprendo in tal modo corposi e irrisolti - ad oggi - problemi di gestione. Da qui la necessità (anzi, l'opportunità) di mettere mano all'impianto legislativo presente non per ridurre il danno, ma per fare una vera e propria azione di "ricostruzione innovativa" del sistema.
Alzare la testa, insomma.
Le ragioni messe in campo - e che provo ad evidenziare - si sono basate su alcuni tratti di "mantenimento" e molti tratti di "innovazione".
Innanzitutto, le virtù da preservare: di questa lunga storia, va sicuramente mantenuta la dimensione del "potere territoriale", quel federalismo ante-litteram definito quasi trent'anni fa. Qui si apre un problema non piccolo: la manovra finanziaria mette in discussione non tanto l'esistenza degli attuali consorzi obbligatori, quanto la loro possibilità di vivere con operatività reale. La discussione che si è avviata riguarda quindi la natura giuridica dell'ente gestione, problema complesso visto che la Regione non ha le risorse finanziarie per subentrare agli attuali consorzi (per tacere della presumibile ostilità politica dei Comuni).
In secondo luogo vanno preservate le dimensioni territoriali consolidate, compresa la perimetrazione così come è stata definita da ciascuna assemblea di parco e confermata dalla Regione in sede di approvazione finale.
Consolidati questi due capisaldi - oggetti non negoziabili, per capirci - sul resto è possibile costruire un percorso innovativo, basato su: connessione stretta fra parchi regionali e Plis (parchi locali di interesse sovracomunale ), nella logica della Rete ecologica regionale. La Regione Lombardia nel suo strumento principe
di programmazione - il Piano regionale di sviluppo - ha indicato le reti ecologiche come «infrastrutture primarie», al pari, ad esempio, delle reti della mobilità stradale e ferroviaria.
Questa dignità acquisita sul campo va quindi rafforzata, consolidandone la piena riconoscibilità territoriale e definendo le connessioni funzionali e operative con Rete Natura Duemila, riuscendo in tal senso a incrociare tutte le eccellenze ambientali e naturali del sistema. Mi pare, oltretutto, che questo possa essere l'unico modo per superare la solita schizofrenia incapace di valorizzare la biodiversità, riconoscendo un "valore in sé" agli ambiti naturali di qualità (sembra incredibile, ma in Lombardia ve ne sono ancora centinaia).
Mantenimento "intelligente" delle funzioni di pianificazione territoriale. Il perno del ragionamento qui è l'aggettivo, dove con voluta secchezza indico il mantenimento della funzione programmatoria, alleggerita da tanti ammennicoli burocratici e nella piena potestà dell'ente parco. Il che significa che la Regione non dovrebbe più operare come soggetto ultimo approvando, con possibilità di modifica, il piano territoriale adottato dalla parco, ma esprimere solo un parere di congruità , segnalando - laddove ravvisasse incompatibilità con la propria pianificazione generale - i nodi all'ente parco, che provvede da sè agli adeguamenti.
In tal modo, a me pare, si conferisce piena potestà al territorio, e nello stesso tempo si alleggeriscono tempi e passaggi burocratici.
Individuazione di politiche di "promozione territoriale", fondate su alcuni tratti forti e riconosciuti, a partire dal valore e dall'identità del paesaggio. Nel decennale della Convenzione europea del paesaggio (e nello sconfortante vuoto che attraversa perennemente qualsiasi approccio in materia) ha senso porsi e porre come obiettivo forte una nuova riconoscibilità dei territori, nella loro molteplice articolazione (in Lombardia, tranne il mare, c'è tutto…) e, soprattutto, imponendolo come valore identitario forte e governabile.
Traduco: il paesaggio non è sempre uguale a se stesso, viene modificato dalle azioni compiute in piccola parte dalla natura e soprattutto dall'uomo (a questo proposito, Pasolini - che come tutti i poeti vedeva lontano - nel 1973, parlando dello scempio del paesaggio scrisse «darei l'intera Montedison per una lucciola»).
La scommessa allora è che l'uomo diventi capace, sempre più, di azioni positive, dove il parametro interpretativo prevalente sia la qualità, anziché la quantità.
Ecco, in qualche modo, la sfida nuova, che connette atti ormai consolidati (federalismo e programmazione territoriale), con azioni innovative (consolidamento dell'intera rete ecologica, pianificazione compiuta, paesaggio e valorizzazione), per creare una vera e propria "primavera" nei parchi.
La storia lunga e interessante che abbiamo alle spalle (ancorché tutt'altro che perfetta: conflitti politici, scelte diverse fra Comuni e Regione, tempi lenti dei parchi nel definire gli statuti, tempi biblici per avere lo strumento di pianificazione…) deve quindi prendere una piega innovativa. Sfuggendo alla sola e facile lamentazione cronica (pochi soldi, prevaricazione di altri enti, come stavamo bene prima…), va utilizzata l'opportunità di un momento oggettivamente difficile per rilanciare, modernizzare, dinamicizzare il sistema.
Credo - con l'occhio attento alla Regione che conosco, ma non solo …- che sia l'unico modo per sperare di cavarsela.

Agostino Agostinelli
Presidente Parco Regionale Adda Nord