PARCHI | |
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali NUMERO 59 |
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DOSSIER Parchi tra venti di tempesta e desiderio di nuova primavera |
Un anno cruciale |
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Siamo stati facili profeti nel dire che il 2010 sarebbe stato un anno cruciale per la biodiversità e per le aree protette. Se da una parte nell'Anno internazionale della biodiversità ci si aspettava un rilancio delle aree protette, che sono lo strumento più efficace per garantirne la conservazione, l'aver portato a casa un documento di Strategia nazionale per la biodiversità, può essere comunque considerato un obiettivo raggiunto. Certo insufficiente, pieno di contraddizioni e senza risorse economiche, ma almeno un documento che grazie alle critiche che energicamente sono state espresse (siamo stati pochi ma rumorosi!) strada facendo è stato migliorato e integrato, almeno negli aspetti della gestione della governance. Ma per le aree protette l'anno si chiude comunque con tante ombre e un quadro molto incerto: le risorse per i parchi nazionali che sono state promesse ma che ancora non si vedono; il Parco nazionale dello Stelvio che è stato "declassato" ad area di interesse provinciale; un'azione politica del Ministero che non emerge; le stesse aree protette poco reattive e "tristi". Diciamo subito che la crisi di oggi è figlia non solo delle scelte fatte per superare la crisi economica, ma è il risultato di una mancanza di azioni e strategie adeguate che dura oramai da un decennio. Dalla rivisitazione del quadro normativo alla manutenzione della legge quadro, da una nuova impostazione strategica per le politiche e le azioni di sistema fino a rivedere profondamente le modalità di gestione, i parchi e le aree protette nazionali aspettano da tempo un segnale di attenzione che né Governo né Parlamento hanno saputo dare fino ad oggi. Che fare allora? Sebbene nutriamo seri dubbi che possa essere la politica a risolvere i problemi delle aree protette, abbiamo la speranza che siano le stesse aree protette, in un colpo d'ala, a puntare a un'autoriforma. Partiamo dai parchi, a patto che siano in grado di condividere la necessità e l'esigenza di una riforma, e cominciamo a ipotizzare un percorso promosso insieme a chi, in tutti questi anni, ha sostenuto e accompagnato le aree protette nella loro tumultuosa e confusa crescita (associazioni, mondo scientifico, produttivo, cittadini, amministratori locali, etc ). Una nuova fase di innovazione politica e di sviluppo strategico per i parchi, nella quale un ruolo di primo piano lo esercitino le stesse aree protette. La rete dei parchi italiani, una risorsa in difficoltà. Per condividere un percorso, occorre essere d'accordo su come stanno le cose. E cominciamo a dire che i parchi, custodi della gran parte della biodiversità presente nel nostro paese, sono in difficoltà. Sono in apnea, e per riemergere o sono in grado di interpretare un ruolo di spinta per il territorio, di novità e innovazione, un di più, o finiscono inevitabilmente per essere zavorra, appesantimento, un di meno. Per superare questa fase critica bisogna che ritrovino quella spinta, quell'orgoglio che, nella stagione eroica degli inizi anni '90, sulla scia dell'approvazione della Legge quadro (394/91), ha permesso la svolta espansiva. In meno di venti anni l'Italia, con una percentuale doppia rispetto alla media europea (del 5%), è diventata una delle nazioni leader del Continente per superficie protetta passando dal 3 ad oltre il 10%. La Legge quadro è stata sostanzialmente ben applicata e le sue previsioni sono state ampiamente rispettate. Ha contribuito a creare un sistema di aree protette a tutela della biodiversità estremamente importante: 827 aree naturali iscritte nell'elenco ufficiale, diffuse su tutto il territorio nazionale, interessando oltre 3 milioni di ettari di superficie protetta a terra e 2 milioni e 800 mila ettari di superficie protetta a mare. Oggi le aree protette sono, purtroppo, al centro di una animata polemica che riguarda, non tanto le modalità di un loro rilancio, ma investe persino il loro ruolo quale fondamentale strumento per la conservazione della biodiversità, e più in generale la loro utilità al sistema Paese. In realtà alle ragioni di merito, che non si affrontano, prevalgono quelle di bilancio. A dimostrazione di tutto ciò basta ricordare che, ad esempio, i Parchi nazionali ricevono complessivamente una quota di contributi statali per la loro gestione inferiore di circa il 25% rispetto a quanto ricevevano nel 2001, quando il loro numero era inferiore: si è passati così dai 62,5 milioni di euro per i 20 parchi nazionali del 2001 (53 euro per ettaro) ai 54 milioni per 23 parchi (37 euro a ettaro protetto); per il 2010 la cifra si riduce a 48 milioni e per il 2011, se si conferma il preannunciato taglio del 50% dei fondi, si può dire conclusa l'esperienza dei parchi nazionali nel nostro Paese. Dal 2001 inoltre non è stato più disposto alcun finanziamento triennale per il sistema delle aree protette regionali per Programmi triennali che fin dai primi anni '90 avevano garantito un flusso di risorse significativo a favore delle Regioni pari a circa il 50% degli investimenti a favore dei parchi e delle riserve regionali per costruire un sistema coerente su tutto il territorio nazionale. In realtà, proprio a partire dai tagli ai finanziamenti pubblici, in questi ultimi dieci anni le aree protette sono state sostanzialmente abbandonate a se stesse, e la politica, a parte l'occupazione lottizzatoria delle poltrone, poco ha fatto per un loro reale rilancio. Il sintomo più importante di questo abbandono è, da una parte, la precarietà in cui versano gli Enti parco (fondi ridotti, commissariamenti, ritardi nelle nomine, etc..), e dall'altra, la mancanza di strategie e di politiche di sistema attuate in sinergia con le Regioni. Unica eccezione alle mancanze registrate in questi anni, è stata la sottoscrizione della Convenzione degli Appennini (l'Aquila, 24 Febbraio 2006) e l'approvazione da parte della Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle Province autonome (Roma, 18 Aprile 2007) di un documento che rappresenta l'avvio concreto della Convenzione e della seconda fase del progetto APE - Appennino Parco d'Europa, che ha accompagnato (almeno ci abbiamo provato) la fase di programmazione delle risorse comunitarie per il periodo 2007/2013. Il ruolo delle Regioni. In questa situazione, caratterizzata dalla caduta di capacità e di volontà di intervento dello Stato centrale, molte Regioni in questi anni si sono distinte, in quanto a rafforzamento delle proprie iniziative nel campo della conservazione, attraverso l'istituzione di nuove aree naturali protette, l'ampliamento del numero dei siti della rete Natura 2000, la individuazione delle Reti ecologiche di scala regionale all'interno della pianificazione territoriale; nell'emanazioni di leggi per la conservazione della biodiversità e, più in generale, nell'adozione di provvedimenti avanzati di tutela oppure, ancora, approvando piani e programmi di intervento attraverso i Fondi Strutturali o quelli dello Sviluppo Rurale, orientati anche alla conservazione e alla valorizzazione naturalistica . Il quadro regionale di questi ultimi anni, seppure caratterizzato anche da ombre e insufficienze ed al netto dei tagli ai finanziamenti che Tremonti ha imposto - e che rischiano di fare il paio con quelli nazionali -, è senz'altro più positivo di quello statale. Soprattutto emergere lo sforzo che alcune Regioni hanno fatto per mantenere una attenzione a favore delle aree protette, spesso svolgendo anche ruoli di supplenza rispetto alle carenze del Ministero, soprattutto a favore dei parchi nazionali. Tutto questo a fronte di una crescente e negativa tendenza in atto da parte del Parlamento volta a ridurre gli spazi di autonomia delle Regioni, contraddicendo così il principio di sussidiarietà oltre che le nuove competenze costituzionali delle stesse Regioni. Perciò per rilanciare le politiche per le aree protette si deve ripartire dalla riapertura di un proficuo dialogo con le autonomie locali e con le Regioni. Si deve ripristinare, nel segno della sussidiarietà, il principio della leale collaborazione che sarebbe utilissima anche per procedere ad un aggiornamento della Legge quadro, quanto mai necessario. Le cose da fare. Per rilanciare il sistema delle aree protette occorre promuovere una iniziativa politico-istuzionale che sia capace di parlare anche alla società, alle sue forze organizzate, ai principali portatori di interesse a cominciare dall'associazionismo ambientale, dalle organizzazioni professionali agricole, a quelle del turismo ecc., per coinvolgere in una nuova stagione di promozione del sistema italiano delle aree protette visto come una grande occasione di valorizzazione del nostro patrimonio naturale più pregiato, nell'ottica della competitività e dello sviluppo sostenibile. Ma anche per dare il giusto risalto alle importanti iniziative messe in atto in questa materia in questi anni, e per ricercare azioni unitarie e concertative, e per chiamare alla propria responsabilità lo Stato centrale e tracciare un quadro strategico di obiettivi verso cui orientare il lavoro di tutte le istituzioni nel campo delle aree protette. Per raggiungere questi obiettivi le cose da fare ci paiono abbastanza chiare: Promuovere la Terza Conferenza nazionale delle Aree protette, da svolgere in un'ottica di respiro nazionale ed europeo. Per togliere i parchi dalla zona d'ombra in cui versano, per superare la plateale assenza ministeriale nella costruzione di una rete effettiva dei parchi e delle altre aree protette e per il rilancio delle politiche di sistema. La Conferenza deve essere un importante momento di discussione e di riflessione politica per rilanciare il sistema e fare il punto sulla Legge quadro d'intesa con la Conferenza delle regioni e le autonomie locali. Occorre affrontare il nodo delle aree marine protette che rappresentano un problema all'interno del più grosso problema dei parchi, per riportarne la gestione nell'alveo della Legge quadro. In questo caso una legislazione vecchia di oltre un quarto di secolo non favorisce la soluzione dei numerosi problemi di carattere gestionale che impediscono la buona funzionalità del settore. Si devono risolvere le problematiche relative al reperimento di finanziamenti adeguati a garantire un flusso minimo vitale per gli enti gestori delle aree protette sia terrestri che marine. I parchi devono puntare anche all'autofinanziamento, inteso come integrativo alle dotazioni pubbliche che devono essere comunque garantite. Devono perciò attivarsi nella ricerca di finanziamenti alternativi (privati, comunitari, bandi pubblici, royalties per la concessione del logo, gestione delle riserve naturali statali, ecc..) e deve diventare un criterio la premialità per i parchi che meglio lavorano, tenendo però conto delle diversità territoriali in cui essi operano. Per incentivare le donazioni dei privati a favore della tutela della biodiversità, si potrebbe creare una Fondazione per i parchi d'Italia che, d'intesa con il Ministero dell'economia, le Regioni e le Fondazioni bancarie, fornisca le risorse economiche aggiuntive per dotare i parchi di un fondo di rotazione per realizzare i loro progetti. Bisogna che Regioni e Ministero investano risorse e competenze per completare l'iter previsto dalle direttive europee per la gestione di Rete Natura 2000 attraverso la definitiva approvazione dei piani di gestione, il monitoraggio dei siti e l'ampliamento della rete. Sviluppare una strategia per la Rete ecologica, da attuare coerentemente in tutte le regioni e attraverso il rilancio del ruolo delle aree protette nelle politiche di sistema, a partire dalla piena attuazione delle Convenzioni delle Alpi e degli Appennini. Valorizzare le buone pratiche delle aree protette nella tutela del paesaggio, nella lotta ai cambiamenti climatici, alla desertificazione e al dissesto idrogeologico.Tutte questioni che, se affrontate adeguatamente, garantirebbero al sistema dei parchi un notevole rilancio, e all'Italia un ruolo importante in campo internazionale per riprendere la guida nel bacino del Mediterraneo delle strategie di conservazione della natura. Promuovere azioni concrete per la salvaguardia di specie a rischio e la crescita dei territori protetti. Ogni anno impegnarsi per raggiungere obiettivi misurabili come incrementare di una certa percentuale il territorio protetto (istituire un parco nazionale per il Matese) o salvare una specie a rischio (l'orso bruno marsicano). Promuovere la redazione dei Piani d'azione delle specie a rischio (grifone, tartarughe marine, etc..) valorizzando le esperienze maturate dalle Regioni, e destinare a queste strategie risorse finanziarie adeguate. Nell'anno mondiale della biodiversità, che oramai volge al termine, oltre alla Strategia nazionale è necessario avere un fondo economico per dare gambe alle politiche di conservazione della natura. Antonio Nicoletti responsabile nazionale Aree protette e biodiversità di Legambiente |