Allarmi dalla CIPRA
Dalla CIPRA (Commissione Internazionale per la Protezione delle Regioni Alpine) alcune segnalazioni degne di nota.
La prima riguarda il Lago di Cavazzo che si i estende per poco meno di 2 km? a ridosso delle Prealpi ed è il più grande lago naturale del Friuli- Venezia Giulia.
Fino alla seconda metà degli anni Cinquanta dello scorso secolo, prima che la SADE (Società Adriatica di Elettricità) realizzasse la Centrale idroelettrica di Somplago, scaricando ogni giorno circa due milioni di metri cubi di gelide acque provenienti in condotte sotterranee dall'alto bacino del Tagliamento, era un lago temperato, popolato da una grande quantità di pesci la cui cattura consentiva di vivere a una quarantina di famiglie di pescatori.
Dopo l'entrata in funzione della centrale si sono modificate non solo le caratteristiche fisiche, ma, con l'abbassamento delle temperature, anche l'aspetto biologico e la pescosità del lago.
Ulteriori ferite alla natura sono giunte con il passaggio dell'oleodotto transalpino e dell'autostrada Udine-Tarvisio con un impattante viadotto. Queste ferite non hanno scoraggiato gli abitanti di questo territorio che hanno realizzato svariati interventi di sistemazione e abbellimento delle rive, con conseguente incremento delle attività e delle presenze turistiche.
Ora tutti questi investimenti pubblici e le speranze di una "rinaturazione" rischiano di essere vanificati se andrà in porto il progetto di potenziamento della Centrale di Somplago, presentato da Edipower. Il progetto prevede che alle tre turbine esistenti se ne aggiungano altre due reversibili.
In questo modo sarebbe possibile pompare di notte l'acqua dal Lago di Cavazzo al sovrastante bacino artificiale di Verzegnis e produrre, con la successiva caduta, maggiore energia di giorno, nelle ore di maggior richiesta. Il bilancio negativo, in termini energetici, di questa operazione, sarebbe ampiamente compensato da Edipower con i ricavi derivanti dalla differenza di prezzo dell'energia tra le ore notturne (di consumo) e quelle diurne (di produzione e cessione) e dalla possibilità di acquisire certificati verdi.
Per i due laghi, e in particolare per quello di Cavazzo, le conseguenze sarebbero particolarmente pesanti, con una variazione giornaliera del livello delle acque molto accentuata, con la conseguente erosione delle sponde, con un abbassamento della temperatura delle acque di superficie e con il loro intorpidimento a causa della presenza di fango nel bacino di Verzegnis. Nonostante una petizione sottoscritta da oltre 8000 cittadini sia stata inviata alla Regione e al Ministero dell'Ambiente, quest'ultimo ha dato nelle scorse settimane il parere favorevole alla procedura di VIA.
(Marco Lepre)
La seconda si riferisce invece al problema dei cambiamenti climatici
Gli esperti sostengono da tempo che il futuro aumento della temperatura media alpina porterà a rischio di estinzione circa la metà delle specie vegetali e animali presenti sulle Alpi.
Quindi se il clima muta (e lo sta facendo più velocemente che nel passato), la natura lo avverte e ne risente.
Nell'ambito del progetto sui cambiamenti climatici nelle Alpi, uno dei settori chiave in cui la CIPRA si è imbattuta è quello della pianificazione del territorio. Una pianificazione territoriale male impostata e caratterizzata da un'eccessiva dispersione insediativa compromette il valore del paesaggio delle Alpi e accelera il cambiamento climatico.
L'attuale organizzazione territoriale alpina si connota infatti per la presenza di innumerevoli case monofamiliari prive di sufficienti servizi di trasporto pubblico e di approvvigionamento locale. Questo causa l'aumento nell'utilizzo delle auto private, che percorrono distanze due volte e mezza maggiori di quelle percorse in aree densamente popolate e dotate di una buona rete di trasporto pubblico.
Acqua, strade, energia, telecomunicazioni, servizi di assistenza all'infanzia, trasporti scolastici e assistenza a domicilio possono arrivare a costare quasi il triplo negli insediamenti a bassa densità. Gli abitanti delle zone maggiormente abitate si trovano quindi a sovvenzionare due volte gli investimenti e gli interventi di manutenzione richiesti dagli insediamenti monofamiliari: una prima volta attraverso sussidi ricavati dalle entrate fiscali, una seconda volta attraverso le tariffe, poiché i costi maggiori dei servizi erogati negli insediamenti dispersi vengono ripartiti tra tutti gli utenti. Un insediamento non compatto e a elevato consumo di suolo favorisce anche l'impermeabilizzazione del terreno e ostacola la riduzione delle emissioni di gas serra (Il suolo non edificato fissa la CO2). La pianificazione delle "zone di pericolo" deve infine necessariamente trasformarsi in una pianificazione delle "zone di rischio", poiché lo spazio alpino sarà particolarmente colpito da eventi meteorologici estremi causati dal cambiamento climatico. I rischi derivanti da quest'ultimo devono quindi diventare parte integrante della pianificazione del territorio a partire dalla delimitazione delle zone dove la realizzazione di insediamenti e opere di urbanizzazione deve essere rigorosamente evitata, fino ad interventi di protezione come ad esempio quelli realizzati nella zona del Mangfalltal inferiore (Alta Baviera) dove vengono costruiti bacini di ritenzione con una capacità di invaso in grado di superare del 15% il livello di una piena con tempi di ritorno di 100 anni.
(Marcello Costa)
Infine i problemi della gestione della biodiversità e, nel caso specifico quello della fauna, con il ritorno del lupo verso il quale la Svizzera extracomunitaria pare poco accogliente. Anzi, alquanto xenofoba.
Il recente abbattimento di un Lupo autorizzato dal Canton Vallese (Svizzera) riapre una ferita profonda alle politiche e agli sforzi internazionali per la conservazione della specie nell'anno che le Nazioni Unite hanno dedicato alla difesa della biodiversità.
Da alcuni decenni il Lupo (Canis lupus) è protagonista di un ritorno spontaneo nel settore occidentale dell'arco alpino, dopo aver ripreso possesso dell'intera dorsale appenninica italiana, e ora il fenomeno interessa le Alpi centrali che svolgono un ruolo strategico per la conservazione della specie in quanto consentirà alla popolazione appenninica di ricongiungersi a quelle balcaniche e carpatiche garantendo così il ripristino di adeguati flussi genici. Il bracconaggio e gli abbattimenti autorizzati da Autorità locali, però, minacciano localmente la sopravvivenza della specie e impediscono la naturale evoluzione della distribuzione del Lupo nell'intero arco alpino.
I dati relativi alla popolazione di Lupo presente in Svizzera dimostrano che gli abbattimenti hanno impedito in oltre 15 anni la formazione stabile di coppie e di branchi, impedendo la riproduzione della specie e dunque la sua sopravvivenza a medio termine.
Tale pratica non può essere dunque interpretabile come una «forma di gestione sostenibile della specie», bensì si configura de facto come una «forma autorizzata di eliminazione della specie», in contrasto - secondo Legambiente - con la Convenzione di Berna, con la Direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche e con lo spirito della Convenzione delle Alpi.
I dubbi in merito all'eventuale riproduzione della coppia di cui il soggetto abbattuto faceva parte, palesa anche un insufficiente sforzo nelle attività di ricerca che dovrebbero invece costituire la base sulla quale definire idonee forme di gestione della specie.
L'abbattimento di lupi è quindi da condannare in quanto non costituisce una soluzione alle problematiche connesse a una convivenza sostenibile tra questa specie e le attività antropiche e, come confermato anche dalle recenti predazioni sul bestiame domestico, non tutela gli allevatori che non utilizzano le opere di prevenzione oggi disponibili.
(Mauro Canziani)
Ettore Falco
giornalista
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