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Nuovo parco, nuova avventura: eccoci arrivare nel Parco dell'Alto Appennino Modenese sotto la grandine, avvolte da una nebbia fittissima e per giunta con un cane denutrito al seguito... Ma per essere capita in tutta la sua drammaticità, la situazione necessita di un breve prologo. La notte precedente avevamo campeggiato nei pressi di una pizzeria, dove da qualche giorno era arrivato un segugio, che era probabilmente stato abbandonato. I camerieri del locale nutrivano l'animale e probabilmente gli si erano anche affezionati, però quando la mattina partimmo il cane si mise a seguirci. Noi abbiamo ripetutamente cercato di indurlo a tornare indietro, ma senza successo. Sfortunatamente per lui (e anche per noi!) ci attendeva una delle tappe più lunghe ed estenuanti dell'intero percorso: dal Passo della Collina siamo scese in fondo alla valle, a Pracchia, e da lì nel pomeriggio siamo salite al lago Scaffaiolo, coprendo un dislivello di 1200 mt in poche ore.
Nonostante la fatica e le pessime condizioni in cui versava, il cane continuava a correre avanti e indietro stanando animali e dando la caccia ai cervi, forse per mostrare la propria abilità nella speranza di essere adottato. Per cui noi, pur avendo poco cibo, ci vedemmo costrette a spartirlo con il nuovo compagno di viaggio. Poi, circa a metà della ascensione, incominciò un violento temporale che culminò verso le 6 in una terribile grandinata, che ci colse sul crinale a circa 1700 m, dove stavamo arrancando tra macchie di neve e speroni rocciosi. A questo punto al malumore per il mal tempo, la fretta e la fatica improba si aggiunse anche il senso di colpa per non aver dato una parte più cospicua del nostro pranzo al povero cane, che indolenzito dalla grandine e fiaccato dalla fame si stava mangiando delle bucce di banana trovate sul sentiero. Ma il rimpianto per la buona azione mancata cedette presto il posto a un sentimento ben più dirompente: la paura. Infatti la cresta del monte su cui camminavamo era ora completamente avvolta dalle nubi, per cui la visibiltà era ridottissima e i segnali introvabili. Procedevamo con estrema lentezza cercando le pennallate bicolori del CAI chiamandoci continuamente per evitare di perderci nella fittissima nebbia, a cui, poco a poco si stava aggiungendo il buio serale.
Ma, come in ogni blanda avventura che si possa raccontare alla leggera via e-mail, tutto si risolse per il meglio: quando ormai, in un estesa macchia di neve, credevamo di aver perso il sentiero e stavamo per cedere all'isteria ecco che le nuvole si alzano leggermente sgominate da un'improvvisa raffica di vento e scoprono il rifugio Duca degli Abruzzi, appena a un centinaio di metri da noi.
Al rifugio trovammo, oltre all'ottima cena bollente e ai comodi letti, una scolaresca, guidata da un'insegnante di ginnastica animalista che non esitò a prendersi cura del segugio e, ci auguriamo, ad adottarlo.
Il giorno seguente camminammo tranquillamente sotto un cielo terso, la cui limpidezza ci permise di osservare, dai punti più alti, chilometri e chilometri di sentiero dipanarsi sul sottile crinale... e anche di provare una certa vertigine, dato che spesso questo era davvero sottile!
Ma nonostante sia molto apprezzata dagli amanti della montagna, la dorsale Appenninica non è a nostro avviso la parte più bella del parco, molto migliore ci è parsa la bassa e poco impegnativa "via ducale". Si tratta di un'antica strada lastricata che noi ci siamo trovate a percorrere per caso. Eravamo infatti scese dalla cresta di un monte, per noi troppo erta, rassegnate a concludere la tappa sulla statale, quando abbiamo scorto questa insolita mulattiera dipartirsi dalla asfaltata proprio in direzione del Lago Santo, che era la meta di quel giorno. Il fascino della "via ducale" non risiede solo nella sua antichità, ma soprattutto negli strani cromatismi che offre alla vista dell'escursionista - che per una volta può guardarsi attorno tranquillamente senza timore di inciampare o precipitare giù da una scarpata! Infatti gli ampi prati che circondano il tracciato sono cosparsi di piante di mirtillo rossastre, che, confondendosi nel verde dell'erba le conferiscono un insolito colore caldo, come di tramonto. Noi comunque non abbiamo percorso la "via ducale" in tutta la sua lunghezza, ma l'abbiamo lasciata dopo un paio d'ore per uno stretto sentiero infestato dai bachi. Io avevo sempre pensato a questi animaletti come i benefici artefici della seta e non mi sarei mai aspettata di essere ostacolata nell'incedere dai loro onnipresenti fili con cui dagli alberi si calano fino ad altezza testa. Alla fine di questo filamentoso bosco ci si è parato infine davanti un altro paesaggio meraviglioso: il Lago Santo. |