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Da quanto abbiamo visto finora i parchi tedeschi potrebbero essere sintetizzati tutti in una sola parola: foresta. Ma se a prima vista queste foreste sembrano tutte uguali, tutte immancabilmente buie, silenziose e un po' spettrali, attraversandole lentamente una dopo l'altra, si impara ad apprezzarne le diversità e a carpirne l'anima. L'Odenwald ci ha colpite subito per l'atmosfera di mistero che emana. All'ingresso del parco la fonte di Sigfrido accoglie enigmatica i visitatori. Qua e là i tabelloni informativi rammentano le vicende dei Nibelunghi avvenute in quest'area in tempi lontani. Tutta la foresta sembra riecheggiare le parole dell'antica saga, ma ecco che la storia, più prodigiosa nella sua concretezza della leggenda, ci strappa dalle fantasie dell'epica per stupirci con meraviglie romane: un fiume di enormi pietre scende dalla sommità del monte e tutt'intorno, seminascosto dal muschio e dalle fronde, affiorano colonne, capitelli e altari solo abbozzati nel granito. Si tratta del Felsenmeer, il "mare di sassi", dove i romani lavoravano la pietra che sarebbe stata poi destinata alle loro grandi opere architettoniche. Valicata la piccola montagna densa di reminescenze, la foresta si dischiude per lasciare il posto a un placido orizzonte di colline coltivate tra cui il nostro E1 si insinua procedendo verso Francoforte. Ma da qui alla grande città abbiamo modo di assaporare ancora il fascino di altre epoche attraversando borghetti dall'aspetto medievale con le tipiche case a graticcio ormai sbilenche per gli anni. Incontriamo inoltre un gran numero di cavalli sia al pascolo che in passeggiata con i loro cavalieri cosicchè il loro lieve scalpitare diventa per qualche giorno sottofondo al nostro cammino. |