Al Parco Carnè (che peraltro formalmente non esiste più essendo confluito nel ben più vasto Parco regionale della Vena del Gesso) si arriverebbe in macchina, non proprio al rifugio ma ad un paio di parcheggi che distano da quest'ultimo una decina di minuti di piacevole passeggiata. Ovvio però che sia più bello, e più gratificante, arrivarci a piedi da Brisighella, magari proprio dalla stazione ferroviaria visto che il paese dei Tre Colli è comodamente raggiungibile in treno con la pittoresca ferrovia "faentina".
La prima sosta fatela al "Fante che dorme", non solo per la commovente scultura in bronzo di Domenico Rambelli (che malgrado la sua convinta adesione al fascismo qui realizzò un'opera liberissima e che oggi ci appare addirittura "antimilitarista"), ma soprattutto per l'utile confronto possibile fra il gesso del lastricato e il granito del blocco di supporto, messi in opera nello stesso anno, il 1926. Confronto impietoso, si dirà, perché il granito è fra le rocce più dure e indistruttibili, mentre il gesso è tutto il contrario. E certo: infatti in quasi cento anni il granito non ha fatto una piega mentre il gesso si è consunto, sciolto, disgregato, sbocconcellato.
E la seconda sosta fatela alla Via degli Asini: nelle finestre a mezzaluna si vedono ancora gli spicchi dorati dipinti da Nagasawa più di vent'anni fa con l'intenzione di riprodurre tramite pennello, con delicatezza tutta orientale, ciò che il sole fa tutti i giorni. Si sale alla Torre dell'Orologio, un "falso di alto rango", cioè un'invenzione di metà Ottocento quando il Medio Evo poteva esser ricreato con la fantasia e l'arbitrio… c'era, è vero, una preesistente torre con campana segnatempo, ma completamente diversa da questa, in blocchi di gesso. L'ignoto architetto che progettò quella attuale, in mattoni, fu bravissimo e realizzò un edificio di grande eleganza, sia pur con muri a scarpa e buffi merli che oggi ci appaiono eccessivi, quasi puerili nella loro ingenuità.
Dopo aver compiuto il periplo della sottostante valle che ci separava dalla Rocca, sbuchiamo sulla provinciale "del Monticino" e verso l'omonimo Santuario ci dirigiamo, fiancheggiando la teoria dei Misteri del Rosario in bronzo realizzati dal geniale Francesco Nonni nel 1936. Dal parcheggio entriamo nell'ex cava oggi trasformata in Museo Geologico all'Aperto. E' tutto bellissimo: a sinistra c'è il fronte di cava con cinque strati di gesso ben visibili e la soprastante copertura di argille; poco più avanti, prima della grande parete dove nidifica il falco pellegrino, si vedono le sette ricostruzioni in resina degli animali i cui resti fossili affiorarono qui negli anni Ottanta. Sono antenati (di 5,5 milioni di anni fa) degli attuali elefanti, rinoceronti, cavalli, scimmie, formichieri, coccodrilli e iene, testimoni di un clima caldo-arido e di un ambiente di savana, con inghiottitoi appena formatisi e che funzionarono da trappole dove i primi animali caddero accidentalmente, poi attirando anche i necrofili (iene soprattutto) che vi morirono anch'essi.
All'altezza degli animali voltate a sinistra per sbucare sulla via Baiavolpe che offre un'incomparabile veduta, a sinistra sul paesaggio agrario Brisighellese, incantevole alternanza di viti e olivi, a destra sulle rupi gessose coperte di ginepri, pini e macchia semi-mediterranea. Prima di Casa Baiavolpe voltiamo a destra sul ripido sentiero che ci porta a Ca' Marana e poi lungo l'omonimo crinale, fino alle Case del Borgo dove si confluisce sulla via Rontana. Al tornante successivo si prende la stradina di accesso al Carnè: dopo il secondo parcheggio il mondo cambia, perché si entra nel bosco del versante nord, oggi ripristinato nella sua composizione naturale di roverelle, carpini e ornielli. Le rocce erose "a candela" punteggiate di bianchissima, rara Arabis alpina, ci aprono il cuore prima di arrivare al rifugio.
Si tratta di un percorso escursionistico, in teoria richiedente un'ora e mezza circa ma voi metteteci di più, anche il doppio, fermandovi spesso a guardare tutto. Il sentiero è sempre segnato in bianco-rosso dal Cai e non è possibile perdersi ma è comunque utile la Carta dei Sentieri del Parco.
Testi di Sandro Bassi