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Parco Nazionale della Val Grande



Atti del Convegno
  Convegno “Sport & Turismo…a spasso con l’Educazione Ambientale”

Intervento di Giancarlo Ciullini

Non mi dilungo ad enunciare l’importanza dei Parchi per l’assetto ambientale del territorio e per il benessere fisico, economico e sociale dei cittadini che ne possono usufruire. E’ un concetto che è stato giustamente ribadito più volte in questo convegno. Voglio solo sottolineare come la corretta assimilazione di questo concetto debba essere frutto non solo delle sensazioni piacevoli che la natura ci offre, ma soprattutto della presenza di una cultura che è andata formandosi nell’individuo durante il processo formativo che ha ricevuto fin da bambino.

Ad esempio, i Parchi sono quella porzione di ambiente con cui si cerca di rappresentare e salvaguardare gli aspetti più spontanei, più caratteristici, meno compromessi dalla presenza umana di una “natura primigenia” che praticamente non esiste più (almeno nelle aree altamente urbanizzate).

Orbene, se i Parchi sono una parte di un tutto – molto complesso ed eterogeneo, l’ambiente, appunto – che tipo di cultura occorre farsi di essi?
Di conservazione “naturale” per tramandare un campione ai posteri, oppure di riflessione “critica” con cui cercare di rispondere ai come e ai perché un susseguirsi di fenomeni (tutti provocati dai comportamenti umani) abbiano portato alla rottura di determinati equilibri ecologici e di vita, tanto da costringerci a contemplare, da un recinto, ciò che ancora rimane di equilibrato?

Se la risposta è la seconda (come io personalmente credo, da cittadino prima che da educatore), questo tipo generalizzato di cultura non può nascere inizialmente che nella Scuola, quale istituzione e quale laboratorio formativo.
Ma non basta che il luogo dove si sviluppa questa cultura abbia un’insegna con su scritto “Scuola”. Occorre che in questo luogo venga elaborato e proposto un progetto educativo in cui vi sia continua alternanza tra l’informare (fornire la conoscenza pluridisciplinare dei saperi) e il formare (far crescere la capacità del saper fare/affrontare i problemi e le relazioni che essi pongono).
E l’ambiente (o un Parco), di spunti progettuali ne può fornire a volontà!

Questo progetto non deve restare chiuso nei fogli di un quaderno o nelle pagine di un libro. Deve essere legato alla realtà esistente in un luogo, deve essere capace di mettere in rapporto attivo la scuola con la comunità locale e col territorio su cui è insediata. E’ una forma attiva di pedagogia alla cittadinanza, alla democrazia reale.

Fare un progetto di educazione allo sviluppo sostenibile (questa è la più corretta dizione di educazione ambientale) vuol dire costruire un percorso didattico che inizia con l’apprendere – mediante una metodologia scientifica – gli aspetti multidisciplinari dei singoli fenomeni e si conclude con un piano di attività capaci di offrire a se stessi ed alle comunità di appartenenza un modello alternativo di comportamenti e di azioni utili al miglioramento delle proprie realtà territoriali.

La scuola italiana, dopo decenni di semincosciente torpore, sta vivendo un periodo di grandi cambiamenti: ordinamentali, organizzativi, didattici.
In ognuno di questi esistono modelli potenziali per creare finalmente cultura, anziché solo informazione.
Il principale modello strumentale già in vigore è l’autonomia che ha ogni scuola di progettare e realizzare la propria identità didattica e culturale secondo i bisogni formativi necessari alla propria collettività.

Il POF (buffa, ma efficace sigla con la quale viene indicato il Piano dell’Offerta Formativa di ogni scuola) è il meccanismo strategico fondamentale con cui si applica il citato modello strumentale.
Ma anche gli strumenti hanno un’anima! Ed essa non può essere fornita che dagli ingredienti che li fanno funzionare e da come li si miscelano.

Ecco allora che i progetti di educazione allo sviluppo sostenibile – siano essi la visita di un’area protetta, l’indagine (storica o presente) sulla utilizzazione dei centri abitati, o dei paesaggi che li circondano, dei corsi d’acqua che li bagnano, della qualità dell’aria che si respira o dell’acqua che si beve, dell’energia che si consuma o dei rifiuti che si producono, della qualità della vita, insomma – sono uno degli ingredienti più idonei per altrettanti percorsi didattici, da sviluppare sia in classe che sul territorio.
Questi percorsi possono costituire la struttura portante curricolare di tutte le discipline. Per essere tali, però devono individuare con chiarezza ogni loro elemento di connessione interdisciplinare in modo permanente e attivo durante l’intero anno o ciclo scolastico.

Per raggiungere questi obiettivi bisogna lavorare congiuntamente sui programmi e sui piani dell’offerta formativa che ogni istituto scolastico deve allestire e mettere in cantiere.
Ma il lavoro dei soggetti interni alla scuola non basta se non si raccorda con quello dei soggetti esterni ad essa, in primis gli Enti e le Amministrazioni pubbliche locali.
Ad esempio, ogni Ente Parco deve progettare con le scuole una serie di percorsi di visita articolati in modo che le scolaresche, sia prima che dopo la visita, possano individuare moduli didattici con cui la conoscenza iniziale viene completata anche dal saperla collocare entro un quadro complessivo di apprendimento organico e correlato.

Occorre, in sostanza, offrire non solo un'enciclopedia o un vocabolario del sapere, ma anche la consapevolezza del sapere fare/dedurre/proporre.

Questo è uno dei migliori metodi di lavoro da usare perché la scuola italiana cambi veramente, offrendo la cultura di nuovi valori, tra i quali va collocata la consapevolezza di * "uno sviluppo che soddisfa le necessità del presente senza compromettere le possibilità delle future generazioni di rispondere alle proprie necessità di vita".

*Rapporto Brundtland "Il futuro di noi tutti" - Bompiani 1988

Intervento di Giancarlo Ciullini - Ispettore Ministero della Pubblica Istruzione