Logo Parco fluviale del Po tratto torinese

Parco fluviale del Po tratto torinese



Atti del IX Convegno "Randevò a la Vila"

S. Sebastiano Da Po, 22 Maggio 2004


Navaroli del Po in epoca sabauda

Luigi Griva
ISTI.A.E.N. (Ist. di Archeologia ed Etnologia Navale, Venezia)

Nel 1500 il Ducato dei Savoia è considerato dai vicini uno staterello a cavallo delle Alpi, governato da una dinastia di signorotti di frontiera, che si è arricchita con i diritti di passaggio sui valichi e le dogane sulle merci in transito, soprattutto il sale.
Torino è, sino a Emanuele Filiberto, il cavaliere immortalato nel ‘caval’ ed brons’, un borgo di duemila abitanti, decentrato rispetto alla capitale Chambéry. Emanuele Filiberto gioca l’opzione padana e con felice intuizione politica trasferisce la capitale sul Po. Emanuele ha viaggiato e combattuto: conosce l’Europa e ama Venezia. Nel luglio 1574 è andato, via fiume, a Venezia ad incontrare il nipote Enrico, delfino di Francia. Ne è ritornato con lui il 15 agosto e la città e la Corte hanno tributato all’ospite dodici giorni di festa. Intuisce, Emanuele, che Torino e Venezia possono diventare i capifila della via d’acqua internazionale, costituita dal Po. Perché questo avvenga, attua una serie di provvidenze, ispirate alla legislazione veneta per le acque, in primo luogo con la creazione di un Magistrato alle acque, nel 1577, per il governo delle stesse e degli eventi straordinari, piene e inondazioni. Promuove quindi la progettazione di canali, già avviata durante la dominazione francese, la sistemazione dell’alveo del Po, la creazione delle infrastrutture per la navigazione.


Il Bucintoro sabaudo nel 1608, dettaglio di una tavola del "Teatrum Sabaudiae"
Ingrandisci l'immagine

Il Bucintoro sabaudo nel 1608, dettaglio di una tavola del "Teatrum Sabaudiae"
L’Ammiraglio di Po

A quel tempo il porto fluviale sul Po è in riva sinistra, poco prima del medievale ponte a tredici archi, dove oggi ci sono i Murazzi. È ancora uno scalo modesto, ma per alcuni itinerari la navigazione risulta meno pericolosa e più veloce del disastroso impianto stradale. Ad esempio le mulattiere del sale, che giungono con tracciati impervi dalla Provenza, a Carmagnola e Casalgrasso trovano nodi intermodali con magazzini demaniali di deposito, da cui la preziosa merce viene poi imbarcata su navi per Torino. A sopraintendere alla politica sabauda della navigazione è un nobile, l’Ammiraglio di Po. Egli personifica la regia sabauda sulla acque. Tra i suoi compiti vi è quello di organizzare i viaggi in barca del Duca e della sua Corte; di controllare il cabotaggio fluviale, di salvaguardare gli interessi dei navaroli - prioritari, appunto perché legati al transito del sale, merce di monopolio - con quelli delle altre categorie di lavoratori del fiume, dai molinari dei molini natanti ai traghettatori, dai pescatori ai sabbiadori. A svolgere materialmente quest’opera di polizia fluviale l’Ammiraglio delega un Capitano dei Barcaioli, scelto nelle famiglie del Borgo di Po più fedeli alla dinastia. Il Capitano applica la legislazione sabauda sulle acque, emette le bollette di carico delle navi, registrandone i "consegnamenti", compie ispezioni lungo l’alveo, per verificarne le condizioni di navigabilità dell’asta fluviale.
I "barcaruoli di Sua Altezza" vestono la livrea e sono addetti all’esercizio delle barche da diporto e di rappresentanza in dotazione alla Casa Ducale. Dal "Theatrum Sabaudiae" conosciamo l’iconografia di due di queste imbarcazioni, come apparivano nel 1600. Di una, in particolare, un Bucintoro del 1608, sappiamo che è stato costruito da mastro Giovanni Mathieu e Giorgio Botto, per Margherita, figlia di Carlo Emanuele I, che il 24 maggio scende il Po sino a Mantova con il marito Francesco, figlio del Duca di Mantova e del Monferrato. A dodici remi, senza albero, questo Bucintoro presenta una cabina centrale.

Tra Sei e Settecento, Francesi e Austriaci si scontrano per dividersi quel che resta dei possedimenti spagnoli. I Savoia cercano di trarne partito, alleandosi con gli uni o con gli altri. Le provvidenze sabaude alle acque riguardano quindi soprattutto le occorrenze di guerra, con contratti con i navaroli per i rifornimenti alle piazze militari di artiglierie, munizioni e vettovaglie. Non esiste ancora un genio pontieri, per cui i ponti di barche vengono realizzati requisendo gli scafi ai privati ed alle comunità. Per i rimborsi si creano contenziosi che durano decine di anni.
Vittorio Amedeo II diventa finalmente re. Quanti sforzi per ottenere un titolo regale attendibile e non contestato da Venezia, come quello di Cipro! Nel 1713 è re di Sicilia, in tempo per accorgersi che gli Spagnoli non sono d’accordo; poi di Sardegna, un’isola alla mercé dei pirati nordafricani. Il figlio, Carlo Emanuele, ottimo guerriero, entra in Milano nel 1735. Sfrutta abilmente le occasioni della Storia per ingrandire i propri Stati; come manager intraprende lavori di inalveamento del Po a Carmagnola e Moncalieri.


Particolare da "L'antico ponte sul Po a Torino"
Ingrandisci l'immagine

Particolare da "L'antico ponte sul Po a Torino", olio su tela di Bernardo Bellotto (1722-1780), Torino, Galleria Sabauda. Nel dettaglio si nota il porto fluviale di Torino nel 1700
Dalla Sesia al Ticino

Dopo il trattato di Utrecht del 1714 la carta della Padania è profondamente mutata: il confine del regno passa dalla Sesia al Ticino. In Archivio di Stato a Torino una categoria archivistica, "Paesi di nuovo acquisto", ricorda questo cambiamento epocale. A Torino i grandi Ministri - allora si dicono Segretari di Stato - Mellarède e Ormea percepiscono l’importanza della nuova situazione, soprattutto ai fini della navigazione. Disporre delle confluenze del Tanaro e del Ticino significa governare un sistema fluviale che collega i mercati agricoli di Langa e Monferrato con Pavia, l’Oltrepo pavese e il suo riso con i canali che dal Laghetto - il porto urbano di Milano - si diramano verso i grandi laghi, la Svizzera e l’Europa continentale. Le stesse direttrici del commercio del sale cambiano: ora il sale arriva da Ibiza e dal Nordafrica attraverso il Po e passando dalla laguna.
Si varano progetti di navigazione regolare tra Torino e Venezia. Nel 1732 l’armatore Domenico Coggia ottiene la Patente Regia per poter alzare sulle sue navi per Venezia il vessillo sabaudo.
È in questo contesto che si inserisce la vicenda della Peota, o Bucintoro. Fatto costruire a Venezia nel 1731 e condotto a Torino con un avventuroso alaggio contro corrente durato trentun giorni. La vicenda della barca sabauda costituisce una grande operazione di immagine con la quale la dinastia vuole affermare il suo diritto al Po ed alla pianura sulla quale scorre, un diritto al quale si sente legittimata detenendone le fonti.


Carta degli Stati Sabaudi
Ingrandisci l'immagine

Carta degli Stati Sabaudi al di qua delle Alpi prima delle acquisizioni del 1714 (Trattato di Utrecht)
Marinai d’acqua dolce

Nel ‘700 il porto fluviale sul Po a Torino è stato spostato in riva destra, sotto Santa Maria del Monte, così come si vede in un dettaglio del conosciuto dipinto del Bellotto, che ritrae l’antico ponte; un’ampia pearda permette un agevole sbarco di persone e di merci. I cavalli si rinfrescano i garretti in attesa della risalita verso Moncalieri.
Un documento del 1746 dell’Archivio di Stato di Torino, formato dal Capitano Andrea Bongiovanni, ci fornisce uno "Stato dei padroni di barche" del tratto sabaudo del Po. La marineria fluviale piemontese assomma, verso la metà del ‘700, a circa 70 navi, con 140 addetti e altrettanti cavalli per il traino. Poi ci sono i navaroli "pratici", che non dispongono di barche proprie. La portata delle imbarcazioni è di un massimo di 2000 rubbi (184 q.li) per la linea di Casale, con medie di 800 rubbi (74 q.li) per l’alto Po. Qualche esempio: i barcaioli segnati a San Mauro sono ventuno, otto per Chivasso, altrettanti a S. Sebastiano, 10 per Casalborgone, dove parte un collegamento viario con Asti.
I nomi: per S. Sebastiano: Giorgio, Baldassar e Melchior Barbero, poi Alessandro Stura, Giuseppe Faccio, Pietro Boggino e Antonio Barbero.
Interessante anche l’indicazione onomastica. I molinari - i più ricchi abbiamo visto in occasione degli incontri degli anni passati che appartengono alle famiglie Ortalda, Cavallo e Spegis. I portonai - i traghettatori, in Piemontese il traghetto è port, e la traduzione crea qualche difficoltà ai non specialisti - sono i Piacentino e i Bonfante. Tra i pescatori, ancora i Bonfante, gli Spegis e i Montalbetto. Nomi che anche Carlo Viano ci ha detto aver ritrovato nei documenti dell’Archivio Civico sansebastianese.
L’ambiente fluviale rispecchia quindi - anche all’osservazione sociologica - la regola generale della società sabauda, ingessata e chiusa alle novità: il mestiere passa di padre in figlio, la vita è già tracciata alla nascita.
Padre Isler, un Trinitario che in quegli anni è curato - ma non solo - alla parrocchia della Crocetta di Torino, poeta e cantautore in Piemontese, famoso per la ballata "vinoira" di Giaco Tross, racconta in una sua poesia di un padre giardiniere, che si lamenta che la figlia amoreggi con un barcaiolo, secondo lui poco affidabile come tutti i marinai, siano d’acqua salsa che dolce:

La Biondin-a del Giardiné - l’è an-namura d’un Galiné
Ch’a veul fé ‘l pofabarco e ‘l gross - subit ch’a l’a sinch sold adòss
(la biondina del giardiniere - è innamorata di un barcaiolo
che vuol fare lo sbruffone e il grandioso - non appena abbia cinque soldi addosso)

Poi, a fine ‘700, arriveranno le armate napoleoniche a mescolare - con la coscrizione obbligatoria - confini e uomini.