(Tione di Trento, 22 Lug 20) L'anfiteatro naturale che si estende dalle Dolomiti di Brenta al Passo del Ballino, noto come Val Giudicarie, insignito del titolo di Riserva di Biosfera UNESCO Alpi Ledrensi e Judicaria, appare oggi molto cambiato rispetto al secolo scorso, nonostante permanga la sua vocazione agricola.
Il mondo contadino, il gusto dei prodotti, la genuinità delle persone, l'importanza delle tradizioni e il lento lavoro scandito dalle stagioni restano tuttavia ancora elementi preziosi che incantano il turista curioso e arricchiscono l'abitante "indigeno". Questa dimensione bucolica, apparentemente idilliaca, è stata per molti secoli sinonimo di fatica, stenti, sacrifici e compromessi con una Natura ostile e poco clemente. Da sempre l'uomo ha cercato di modificare l'ambiente in base alle proprie esigenze e, inevitabilmente, allo stesso tempo, l'ambiente ha dettato le proprie regole al genere umano.
Tale fenomeno è evidente analizzando, per esempio, il paesaggio e la struttura dell'antica casa giudicariese quali si sarebbero mostrati agli occhi di un viandante del passato mentre percorreva le strade della Valle. Questo concetto di reciproca influenza è ben espresso da Aldo Gorfer (1921-1996), giornalista, scrittore e storico, molto legato a questa terra: "La sede umana è un organismo geografico originato da una miscela che riunisce armonicamente una serie di fattori esprimenti complessivamente un paesaggio, vale a dire un ambiente fisico e biologico, assieme ad una predisposizione economica e una funzione storica". La citazione è presa da: "El pont de l'èra, elemento caratteristico delle antiche dimore delle Giudicarie Esteriori"[1], opera fondamentale per approfondire l'affascinante tema delle abitazioni tradizionali locali.
La tipica casa giudicariese aveva una parte in muratura, intonacata anche all'esterno solo fino all'altezza dei locali di abitazione. Il risultato era una costruzione massiccia con muri spessi e rinforzati data l'esiguità delle fondamenta. I locali a pianterreno erano a volta botte, a pieno arco o a crociere. Al primo piano le pareti divisorie erano spesse più di mezzo metro per sopportare i notevoli carichi di aia e solaio. Gli elementi murari oltre il primo piano, seppur robusti, erano limitati: pochi pilastri, molto distanziati e reggenti la complessa struttura lignea dell'alto e largo tetto. Tutte queste caratteristiche rispondevano alle esigenze derivate dalla suddetta vocazione rurale della zona e dalla conformazione orografica del terreno. L'aia era ampia e calpestabile quanto tutto il piano abitativo. Data l'abbondanza di cereali, l'aia doveva permettere all'aria di girare all'interno. Inoltre, sopra era completamente coperta e si accedeva ad essa sia attraverso una scala che saliva dall'interno e sia dal vero protagonista di questo articolo: el pont de l'era[1], una comoda entrata esterna realizzata tramite un caratteristico passaggio carraio. Quest'ultimo permetteva di entrarvi con il carro agricolo trainato da animali. Il pont permetteva di superare la difficoltà di dislivello tra la strada e il piano dell'aia, ciò comportava numerosi vantaggi tra cui lo scarico dei raccolti e un riparo sicuro per le merci. Le tipologie e le tecniche di costruzioni erano numerose e si differenziavano in base al luogo di edificazione.
La parte iniziale era solitamente costituita da una rampa in terra battuta sostenuta da muri che da un certo punto confluiva nel ponte vero e proprio sostenuto da un arco in pietra a tutto sesto. Se il dislivello fra il terreno e l'aia era notevole, divenivano necessarie due o più arcate. Quando l'uso dell'aia era condiviso da più famiglie, il ponte era solitamente coperto. In caso di maltempo ciò era particolarmente funzionale, soprattutto nel caso di più carri che aspettassero di scaricare i prodotti durante i rovesci. I muri laterali e le arcate erano generalmente costituiti da granito (Bleggio e Lomaso) e da pietra calcarea (Banale). Le pietre usate per gli archi erano lasciate piuttosto rozze e, una volta disposte su centine di legno, gli interstizi venivano riempiti con scaglie e malta. Per quanto riguarda gli edifici di famiglie più benestanti, la lavorazione dei particolari era più precisa e articolata. Tuttavia anche nelle case più modeste le tipologie dei ponti de l'èra erano diverse l'una dall'altra e le variabili numerose. Ennio Lappi nel suo libro propone quattro principali tipologie e aggiunge anche le diverse possibilità di costruzione per quanto riguarda le rampe, le coperture e i parapetti.
Il materiale bibliografico e fotografico aiuta a rendere l'idea dell'importanza rivestita nel passato da questo elemento architettonico, ma ancora di più è preziosa la possibilità di osservare con i propri occhi le numerose testimonianze di esso presenti sul territorio. Infatti, in quasi tutti i piccoli e antichi borghi delle Giudicarie sono tutt'ora presenti numerosi ponti de l'èra. Dopo aver "sostenuto" per anni e anni le fatiche degli abitanti del posto, sembrano oggi lì a sorreggere e sconfiggere il peso del tempo, a insegnarci l'importanza della continuità tra presente e futuro, due sponde di un unico ponte: il presente.
[1] E. Lappi, "El pont de l'èra" elemento caratteristico delle antiche dimore delle Giudicarie Esteriori, in collaborazione con Ecomuseo della Judicaria dalle Dolomiti al Garda e Istituto Comprensivo Giudicarie Esteriori, Centro Studi Judicaria, Tione 2009