(Tione di Trento, 13 Nov 20)
Che sia piantato in ordinati filari in campi ben tenuti o che lo si noti in un bosco selvatico attorniata da altri alberi, il noce, proprio come dice il suo nome scientifico Juglans Regia, è una pianta dal portamento maestoso e che è difficile non notare. Ma ci siamo mai soffermati a capire di più di questa pianta e del suo frutto, la noce, questo gustoso seme che spesso troviamo sulle nostre tavole.? Di questo parliamo oggi con Erica Adele di Pierro, una delle ricercatrici della Fondazione Edmund Mach che ha partecipato al progetto URBE, creato da FEM in partnership con la Riserva di Biosfera, il quale ha portato alla luce aspetti estremamente interessanti legati questa pianta.
Erica, cos'è il progetto URBE e perché al suo interno avete voluto approfondire il tema del noce?
"URBE è un progetto di ricerca che vuole mettere in relazione uomo, risorse e biodiversità all'interno del territorio della Riserva di Biosfera; noi ci siamo soffermati sul noce in quanto fa sicuramente parte della biodiversità naturale di questi luoghi ma è anche una pianta risorsa per l'uomo e che attualmente viene coltivata nella Riserva; nella zona del Bleggio in particolare esiste un vero e proprio distretto della noce che sta prendendo sempre più importanza a livello locale, ma anche nazionale.
Da quello che ci raccontavi, il vostro ambito di progetto è partito da un censimento generale del noce e da una ricerca sul suo frutto, in particolare per verificarne le proprietà organolettiche?
"Proprio così; abbiamo lavorato con professionisti locali e con i soci della Confraternita della Noce ad una mappatura generale delle noci presenti sul territorio, sia quelle coltivate che quelle selvatiche, prelevando per ognuna dei campioni di tessuto fogliare e anche di frutto; i risultati sono stati molto interessanti. Dal punto di vista genetico siamo riusciti ad avere più chiarezza sulle varietà presenti sul territorio e, sorpresa delle sorprese, ci siamo accorti che la varietà "Franquette" coltivata nella zona del Bleggio, è in realtà una varietà differente, potremo dire unica, legata a questo territorio; questa scoperta ci fa dire che oltre alla varietà "Bleggiana" sul nostro territorio potremo andare a valorizzare una nuova specie nostrana a cui va ora dato un nome.Per quanto riguarda le proprietà organolettiche c'è stata la conferma di una migliore qualità nutrizionale delle piccole noci autoctone rispetto a varietà commerciali dove per ragioni economiche ed estetiche la quantità ha preso il sopravvento sulla qualità.Ogni frutto poi porta con sé le caratteristiche del suolo e della zona in cui vive e di conseguenza anche nelle nostre piccole valli esiste una grande differenziazione in termini di qualitativi."
Nel progetto leggiamo anche di un campo collezione sul noce? Ci spieghi di cosa si tratta?
"All'interno del profetto, insieme alla Confraternita della Noce, con cui si è instaurato un rapporto estremamente proficuo abbiamo creato vicino a Cavrasto nel Bleggio, un campo contenente sia varietà commerciali di noce, sia varietà locali, inclusa la nuova specie trovata. Sono parecchie piante che stanno crescendo contemporaneamente e che ci permetteranno di capire nel tempo come queste si sviluppano nel nostro ambiente, qual è la loro produttività e come si comportano a stress esogeni come per esempio le gelate primaverili. Il campo collezione ha poi una funzione didattica in quanto consente di portare studenti o persone comuni per scoprire la varietà del noce e saper associare soprattutto il frutto alla pianta, con un focus particolare anche sulle proprietà alimentari."
Leggiamo anche di un campo sperimentale; cosa significa e quali esperimenti vengono svolti lì?
"Se vogliamo questa è un po' la frontiera di ricerca a cui stiamo lavorando per il noce; in uno scenario di cambiamento climatico e in una ricerca continua di equilibrio fra utilizzo delle risorse naturali e limitazione dell'impatto, abbiamo ravvisato la necessità di creare uno spazio dove capire come rendere la coltura del noce più sostenibile, soprattutto rispetto all'uso dell'acqua per l'irrigazione. Stiamo capendo quali varietà rispondo meglio a shock climatici riuscendo a mantenere buoni livelli di produzione e utilizzando meno acqua possibile; non è una risposta che si può avere nell'immediato ma è uno degli obbiettivi più importanti del progetto. È da ricerche come questo che poi parte il trasferimento tecnologico verso gli agricoltori, verso chi ha le mani nella terra e coltivata queste piante."
Essere esportatori di buoni prodotti e buone pratiche, come quelle sviluppate nel progetto URBE, dovrà essere per noi la sfida per il futuro, in un mondo che cambia velocemente e che deve fare della sostenibilità uno state of mind continuo.