1.3. la politica ambientale in italia.

 

Si potrebbe dire che "ufficialmente" la politica dell'ambiente nasce in Italia nel 1986 con la legge 349 dell'8 luglio che istituisce il Ministero dell'Ambiente.

Altri Ministeri con nomi analoghi o, comunque, tentativi di dare un minimo di organicità ad una materia che andava imponendosi all'attenzione di strati crescenti dell'opinione pubblica c'erano già stati in precedenza. Nel 1975 era stato costituito il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali; nel 1979 fu costituito il Comitato interministeriale per l'ambiente (CIPA).

Nel 1984 vi fu anche un tentativo senza successo di costituire un dicastero con competenza esclusiva in materia ambientale: il Ministero per l'Ecologia. Ma la sostanziale saltuarietà di questi provvedimenti non consente di rilevare alcun importante impatto di quegli episodi ministeriali sul tentativo di sistematizzazione e razionalizzazione della politica dell'ambiente in Italia.

In realtà, per quanto severi si voglia e si debba essere nel giudicare le inadempienze, i ritardi, l'episodicità degli interventi, la frammentazione delle competenze a livello centrale e periferico in materia ambientale, tuttavia non si può non ricordare che l'interesse "ufficiale" per l'ambiente è sicuramente di più antica data. Ma va anche sottolineato che, come nel resto degli altri paesi che hanno adottato politiche di tutela dell'ambiente, anche in Italia la primitiva attenzione per l'ambiente è nata innanzitutto con tendenze "conservatrici" o "conservazioniste".

Una vera e propria politica ambientale da parte dei governi è molto recente, ossia risale alla fine degli anni '60, quando la crisi ambientale e la nuova consapevolezza sociale hanno portato a sviluppare in modo coordinato gli sforzi per la difesa ambientale, in precedenza affidati a normative e forme d'intervento parziali ed isolate, soprattutto in materia igienico-sanitaria, di difesa del suolo, del paesaggio e - in minor misura - della natura (i primi parchi nazionali), significativamente subordinate a settori politici tradizionali (sanità, cultura, agricoltura).

A partire dagli anni '70, anche in Europa sono stati rapidamente approvati programmi statali e regionali per la difesa dell'ambiente, facenti capo a nuove, importanti leggi ambientali (in materia di tutela dell'aria e dell'acqua dall'inquinamento, smaltimento dei rifiuti, difesa della natura) e sono state organizzate nuove strutture tecnico-amministrative autonome.

In questo periodo, che appare molto creativo, in Italia hanno svolto un ruolo significativo le Regioni, spesso anticipando le riforme dello Stato. Ciò è particolarmente evidente nel settore delle aree protette, dove soprattutto le Regioni settentrionali in un ventennio hanno realizzato sistemi già maturi al momento dell'approvazione della legge-quadro nazionale, tra loro differenziati, ma comunque caratterizzati da una forte autonomia normativa ed amministrativa.

Dalla metà degli anni '70, la politica ambientale è stata dichiarata compito comunitario e le direttive comunitarie hanno avuto un'importanza crescente, limitando gli spazi di autonomia statale. Anche in questo ambito istituzionale, l'interesse per la difesa ecologica dell'ambiente (v. direttiva 92/43/CEE sulla conservazione degli habitat naturali), si affaccia successivamente a quello per la difesa tecnologica. Crescente è anche il peso delle Convenzioni internazionali in materia ambientale, tra cui alcune si riferiscono alla difesa della natura (Bonn, Berna, ecc.).

Ovunque, la politica ambientale tende ad articolarsi in due settori funzionali, con caratteristiche diverse: la difesa tecnologica, e la difesa ecologica.

La difesa tecnologica dell'ambiente si propone di rendere minimi i carichi su singole componenti ambientali, le quali vengono difese dall'inquinamento, dall'esaurimento o dalla distruzione connesse con gli usi antropici, per mezzo di metodi e processi tecnici. Questa concezione ha portato allo sviluppo di numerose normative e strutture tecnico-amministrative autonome, con una forte specializzazione settoriale, per la difesa dell'aria e dell'acqua dall'inquinamento, la difesa dai rumori, lo smaltimento dei rifiuti, il risparmio energetico.

La difesa ecologica dell'ambiente si propone di rendere minimi i carichi sugli ecosistemi e i complessi di ecosistemi, ossia i paesaggi. Questa concezione, soprattutto nella realtà italiana, risulta meno sviluppata della precedente; le normative e strutture più importanti sono quelle per la difesa della natura (soprattutto nelle aree protette) e in misura minore (per la predominante concezione estetica), quelle per la difesa del paesaggio, a loro volta concentrate in un sistema specifico di aree protette.

Le esigenze, molto concrete e impellenti che spingono la società moderna a realizzare un'efficiente politica di difesa ecologica dell'ambiente devono essere in un modo o nell'altro soddisfatte: con i parchi ed anche con altri mezzi, ma non senza i parchi e senza alcun altro mezzo.

La politica ambientale ha saputo sviluppare un sistema importante di principi, alcuni dei quali di grande interesse quali:

il principio di prevenzione che mira a realizzare adeguate misure che consentano di evitare o ridurre il più possibile i danni ambientali derivanti dagli interventi dell'economia e della società, prima della loro manifestazione. Per realizzare pienamente questo principio, occorre che la politica ambientale, pur sviluppandosi autonomamente, non sia concepita in modo separato, come spesso in passato, ma integrata nelle politiche settoriali che provocano il consumo e il degrado delle risorse ambientali;

il principio di sussidiarietà che ha la funzione di garantire che le finalità e gli obiettivi della politica ambientale vengano perseguiti al livello territoriale più appropriato, tenuto conto dell'identità e della sensibilità ambientale delle varie zone e della più oculata scelta degli strumenti da porre in atto a tutti i livelli istituzionali, con la tendenza ad assumere le decisioni concrete il più possibile vicino ai cittadini;

il principio di cooperazione che mira ad assicurare, tra le varie istituzioni, nonché tra queste e la società, la necessaria collaborazione per la difesa dell'ambiente, migliorando le decisioni e il loro grado di accettazione ed affermando uno spirito di corresponsabilità. In particolare esso richiede la più ampia collaborazione tra i vari livelli istituzionali, evitando di operare ad un livello ad esclusione di altri, ma piuttosto combinando strumenti ed attori a livelli diversi.

Sulla questione ambientale si è rapidamente affermata una molteplicità di posizioni istituzionali sociali e culturali. Infatti, accanto ai programmi ufficiali delle istituzioni centrali e periferiche, bisogna considerare i programmi dei partiti politici delle forze economiche e delle associazioni ambientaliste l'informazione dei mezzi di comunicazione di massa, i principi di etica ambientale elaborati dalla filosofia e dalla religione, che insieme hanno contribuito allo sviluppo di una cultura ambientale diffusa, ma differenziata.

In un certo senso si può affermare che oggi nella società non c'è una sola, ma molte politiche ambientali. Questa diversificazione non deve essere vista con indifferenza, ma come una risorsa potenziale per ampliare il campo di azione e coinvolgere in modo più profondo l'intera società. Il pluralismo delle posizioni consente di sviluppare e confrontare diversi modelli e ciò risulta molto utile in un settore come quello della difesa dell'ambiente, caratterizzato da esigenze di sperimentazione e continua innovazione.

Più di altre la politica ambientale necessita di stabilità e di una prospettiva strategica di lungo periodo. Le rapide e traumatiche trasformazioni dello scenario politico e istituzionale italiano degli anni '90 fatalmente hanno provocato scompensi anche gravi ai programmi di difesa ambientale impostasi in precedenza, con particolare riferimento alle incertezze e contraddizioni nella politica delle aree protette. Viceversa, una prospettiva di stabilizzazione del quadro politico e di governi di legislatura, ai vari livelli nazionale, regionale e locale, appare in sé stessa come un fattore propulsivo della politica ambientale.

Convenzionalmente si stabilisce la data del 1970 per la nascita del diritto ambientale in senso stretto, contemporanea all'affermazione consapevole di una politica ambientale da parte dei governi nel mondo occidentale.

In realtà anche nel periodo precedente possiamo rintracciare singole disposizioni giuridiche ed in qualche caso interi corpi normativi significativamente finalizzati alla difesa dell'ambiente, pur in carenza di una concezione organica generale.

La prima fase legislativa organica, come già accennato, è contemporanea alla nascita delle Regioni a statuto ordinario, le quali, assieme alle Regioni a statuto speciale, negli anni '70 si rilevano più dinamiche dello Stato, occupando spazi lasciati vuoti dai Ministeri e dal Parlamento nazionale.

La Costituzione è assai avara di riferimenti alla difesa dell'ambiente, né poteva essere diversamente considerato l'anno di nascita (1947). Solo l'art. 9 afferma che la repubblica tutela il paesaggio, principio in teoria di grande rilevanza, anche se poco applicato e inteso purtroppo in senso estetico e non anche ecosistemico, a differenza della concezione ormai prevalente all'estero.

L'art. 117, nel definire le competenze delle Regioni, non fa riferimento all'ambiente (agricoltura e foreste, urbanistica, sanità), alle quali le Regioni subito fanno riferimento per supportare la propria normativa ambientale. Solo con il DPR 616/77 le Regioni verranno pienamente legittimate ad intervenire sia nel settore della difesa ecologica che in quella della difesa tecnologica dell'ambiente, grazie al riconoscimento di funzioni per la protezione dell'ambiente (art. 80) e della natura (art. 83), nonché per la tutela dagli inquinamenti (artt. 101-105).

Su queste basi, le Regioni sviluppano una normativa ambientale anticipatrice, dalla difesa delle acque allo smaltimento dei rifiuti, ai parchi naturali ed al volontariato ecologico, a cui segue la normativa dello Stato, che cerca di non farsi scavalcare.

Solo a partire dalla costituzione del Ministero dell'Ambiente (1986), lo Stato riprende l'iniziativa e questa competizione ha come risultato un tasso di sviluppo normativo per alcuni decenni molto sostenuto, ma disordinato.

Nello stesso tempo, si afferma in Europa una tendenza all'unificazione del diritto ambientale, mediante processi di codifica che assicurano il coordinamento e la semplificazione di obiettivi e principi, misure e strumenti, organizzazione, processi amministrativi e sanzionatori, ponendo rimedio alla complessità, contraddizione e disarmonia del diritto vigente.

Il caso italiano è uno dei più difficili, a motivo dell'estrema dispersione delle norme anche all'interno della stessa materia, che suggerisce un processo di riordino graduale, di fatto già avviato per i rifiuti e le acque da parte dello Stato.

Comunque, il ritardo della politica ambientale italiana appare consistente sia in termini relativi - rispetto agli altri paesi industrializzati occidentali si registra un ritardo di circa una decina di anni nell'adozione degli strumenti normativi e organizzativi - sia in termini assoluti, ossia rispetto alla consistenza dei problemi che costringe a tutt'oggi la politica a dedicare una quota consistente delle proprie risorse alla rincorsa delle emergenze del momento a scapito dell'impostazione di soluzioni organiche e di lungo respiro [Ministero dell'Ambiente, 1989, Nota aggiuntiva].

Una normativa organica in tema di aree naturali protette è stata approvata in Francia nel 1960, in Gran Bretagna nel 1972, in Germania nel 1976, in Italia solo nel 1991.

La percentuale della superficie nazionale soggetta a particolare tutela grazie alla creazione di parchi e riserve si avvicina alla quota del 10% indicata come obiettivo degli organismi internazionali, rimane comunque inferiore al 13,9% della Germania e al 19% dell'Austria.

Riassumendo, per quanto esistano alcuni significativi esempi di successo a livello locale, nel complesso la performance della politica ambientale deve essere valutata come inadeguata rispetto sia all'entità dei processi di degrado delle risorse ambientali in corso, sia in termini comparativi rispetto ai risultati conseguiti in altri stati contraddistinti da livelli di sviluppo simili a quelli dell'Italia.