1.5. gli strumenti di analisi:
formulazione, attuazione e attori del processo di policy.
A questo punto, risulta interessante studiare una politica pubblica scomponendo il suo arco di vita in diverse fasi: l'emergere di una situazione percepita come problema che deve essere risolto con un intervento pubblico, l'ingresso dell'issue nell'agenda dei decisori, la formulazione delle proposte, l'adozione di scelte vincolanti, la loro implementazione, la valutazione dei risultati, l'eventuale estinzione della politica intrapresa.
Ciascuno di questi stadi ha infatti elevate probabilità di distinguersi dagli altri per il tipo di attori dominanti, per gli sfondi istituzionali, per gli stili decisionali prevalenti. Così, ad esempio, nella fase in cui un problema cerca di guadagnare l'ingresso nell'agenda, i mezzi di comunicazione di massa, con le loro regole dettate dalla necessità di tenere viva l'attenzione del pubblico, tendono a giocare una parte determinante. Al contrario, nella fase dell'implementazione, il ruolo dell'opinione pubblica tende ad attenuarsi, mentre solo la minoranza effettivamente colpita o beneficiata da un provvedimento continua ad avere forti incentivi per seguirne l'evoluzione.
Tale suddivisione ha il pregio di ordinare la complessità dei processi di produzione e attuazione delle politiche scomponendo l'oggetto di studio in elementi più semplici senza perdere la visione d'assieme, cogliendo, cioè, le caratteristiche generali e complessive del processo stesso; inoltre, il modello fasico indirizza l'attenzione su attori, fenomeni, dinamiche e tematiche che sono solitamente collocati al di fuori delle prospettive di ricerca più tradizionali che si concentrano sul funzionamento di specifiche istituzioni o sul ruolo di singoli attori per rendere ragione del decorso delle politiche.
Per gli studiosi delle politiche pubbliche, infatti, la dimensione dinamica e processuale delle politiche costituisce il nocciolo duro dell'oggetto di studio e, al tempo stesso, il problema teorico più complesso da affrontare, mentre per gli studiosi di politica la dimensione processuale delle politiche non necessita di particolari approfondimenti analitici. Comunque, le politiche pubbliche (e i relativi processi), sono costitutivamente formate dalle interazioni di attori individuali, istituzioni, eventi, vincoli e opportunità; lo studio di tali politiche aspira a cogliere i nessi che strutturano tali interazioni nel loro dispiegarsi dinamico e diacronico.
La formulazione, quindi, può essere definita in modo lato o ristretto a seconda del numero di fasi in cui il ricercatore intende suddividere analiticamente il ciclo di una policy.
L'analisi consiste nell'operazione di raccolta delle informazioni e nell'individuazione delle alternative possibili; la selezione delle alternative individua le opzioni plausibili; l'attività di legittimazione, che sfocia nella scelta decisionale formalizzata, costruisce il consenso necessario a deliberare su una specifica opzione. La formulazione di una politica pubblica si presenta come un processo dai confini poco delineati, sfuggenti; spetta, quindi, all'analista delineare questi confini specificando i problemi di ricerca sui quali si vuole focalizzare l'attenzione.
Diventa importante conoscere i contenuti delle politiche pubbliche e il più organico tentativo di abbinare entro un modello rigoroso la diversa struttura delle politiche pubbliche alle varie configurazioni di attori, processi decisionali, luoghi istituzionali è stato compiuto da Lowi, che ha articolato le politiche pubbliche intorno a quattro categorie:
le politiche distributive che forniscono precisi benefici a ben delimitati gruppi sociali o territoriali; ad esempio rientrano in questa categoria i sussidi a sostegno di certe coltivazioni agricole o di alcune produzioni industriali, programmi per opere pubbliche localizzate in determinate zone etc.;
le politiche redistributive che forniscono benefici a larghe fasce sociali, e che pertanto comportano costi sensibili a loro volta ripartiti su altri ampi gruppi sociali;
le politiche regolative che condizionano i comportamenti di determinate categorie imponendo il rispetto di codici, vincoli alla libera iniziativa (esempio: una normativa contro l'inquinamento atmosferico);
le politiche costituzionali, che stabiliscono le procedure per l'adozione delle decisioni pubbliche e i rapporti tra i vari apparati dello Stato.
La tesi di Lowi è che a ciascuna di queste categorie di policy corrisponda una diversa rete di attori, una diversa struttura dei processi decisionali, un diverso sfondo istituzionale. Questo concetto è stato sintetizzato nell'espressione "policy determines politics", le politiche determinano la politica e ciò significa che il modo di operare delle politiche spiega il tipo di rapporto che si stabilisce tra i diversi attori: il che cosa viene deciso, spiega come si decide ed anche chi lo decide.
Alla metà degli anni Settanta uno studioso statunitense osservava come lo studio dell'implementazione costituisse l'´anello mancanteª [Hargrove, 1975] fra il momento della presa della decisione e l'esito finale nell'analisi delle politiche pubbliche, richiamando l'attenzione sul fatto che l'interesse per l'attuazione fosse stato in pratica inesistente fino ad allora.
L'attività di implementazione presuppone una fase ad essa precedente in cui siano state formulate decisioni di carattere generale contenenti obiettivi che si cerca di conseguire, per l'appunto, attraverso l'attività attuativa. L'implementazione, quindi, è stata definita come "azioni dirette al raggiungimento di obiettivi posti da precedenti decisioni di policy [Van Meter, Van Horn, 1975]; "processi d'interazione tra la fissazione degli obiettivi di carattere generale e le azioni mirate a conseguirli"; "fase della politica pubblica in cui si producono atti ed effetti imputabili ad uno schema normativo di intenzioni" [Meny, Thoenig, 1991].
Tali definizioni rispecchiano l'approccio comunemente definito top-down che attribuisce molta importanza alla fase di progettazione di un intervento. L'intento del ricercatore secondo questo approccio è di valutare l'eventuale "scarto" tra obiettivi indicati ed effetti realmente prodotti e sulla scorta di questo tentare di individuare le cause in grado di rendere conto dell'insuccesso più o meno consistente registrato.
Tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta emerge, per opera di un gruppo di studiosi berlinesi, un nuovo approccio detto bottom-up dove vengono messi in evidenza quali siano gli esiti e più precisamente gli impatti delle politiche sul sistema di riferimento, per risalire quindi ai fattori in base a cui siano spiegabili [Repley, Franklin, 1986].
In base a questo approccio, i processi che determinano gli obiettivi di una politica pubblica e le loro probabilità di successo o di fallimento, sono quelli che avvengono nella fase della concreta messa in opera, quando il personale dell'amministrazione si trova a interagire faccia a faccia con i destinatari, a fare i conti con le loro resistenze o le loro pretese.
Nello studio delle politiche gli attori di policy (individuali o collettivi), sono proprio gli elementi che caratterizzano il decorso della politica, con le loro interpretazioni, i loro ruoli, le loro azioni e interazioni.
Per semplificare l'esposizione, gli attori vengono riuniti in due grandi classi: le immagini "monocentriche" e quelle "policentriche".
Rientrano nel primo tipo tutti quei modelli che si basano sulla possibilità di indicare una categoria dominante di policy makers, sia essa identificata con il ceto politico, con le organizzazioni degli interessi, o con la burocrazia. Le immagini "monocentriche" godono di una forte legittimazione essendo collegate alle teorie normative della democrazia, secondo le quali le principali scelte pubbliche devono essere compiute da politici eletti in una libera competizione da cittadini informati sulle varie alternative da essi proposte.
Nel contesto italiano, questo concetto tende ad assumere un segno negativo, dato che molti autori ne accostano il significato a quello di "partitocrazia" dove con ciò si intende denunciare l'uso distorto a fini di parte che i politici fanno delle risorse pubbliche, delle cariche negli Enti statali ai finanziamenti per le grandi opere civili, ponendo con ciò l'attenzione su fenomeni quali il clientelismo o la vera e propria corruzione.
Le immagini "policentriche", invece, sottolineano come le policies siano caratterizzate dalla presenza di numerosi attori, molti dei quali spesso rilevanti e codeterminanti il decorso decisionale, in un contesto di difficile predeterminazione, da parte dell'osservatore, delle caratteristiche della politica per quanto concerne i ruoli e le interazioni degli attori partecipanti.
In questo caso l'attenzione è indirizzata alla ricostruzione delle interazioni tra soggetti dotati di ruoli e legittimazioni diversi; rientrano, quindi, quei contatti che si stabiliscono fra dirigenti burocratici responsabili di un dato settore, la commissione parlamentare con specifiche competenze nella stessa area e le organizzazioni che rappresentano gli interessi in essa coinvolti.
Da una parte, quindi, abbiamo immagini fortemente strutturate del policy making, laddove viene presupposta la presenza di un attore dominante (o di un set di attori), capace di coagulare e indirizzare, con una certa coerenza, il decorso delle politiche; dall'altra parte e per contro, abbiamo immagini policentriche che enfatizzano il carattere aperto, non strutturato, tendenzialmente indeterminato dei processi di policy, cui corrisponde la presenza di una molteplicità di attori e di interazioni tra questi.
In alcune politiche potranno prevalere determinati attori rispetto ad altri, in altre potrebbero essere presenti rapporti maggiormente consensuali tra tutti gli attori protagonisti etc. l'azione di policy contempla, per definizione, la possibilità che una variegata molteplicità di soggetti ne siano interpreti e protagonisti.
Gli attori che più frequentemente troviamo nel nostro sistema di policy making sono: i partiti politici in quanto soggetti portatori di una visione generale del mondo, o quanto meno di programmi precisi sui quali chiedono ed ottengono il consenso elettorale impegnandosi a tradurre le une o gli altri in politiche pubbliche, nel nostro paese non sono una realtà in quanto vi è una costante denuncia della latitanza dei partiti nelle arene nelle quali si decidono le policies. Possiamo dire che i partiti politici sembrano intervenire direttamente come entità significative che tentano di imporre le loro linee politiche solo quando essi sono nella situazione di policy-takers, cioè di destinatari dell'azione pubblica.
Oltre ai partiti politici abbiamo anche i gruppi di interesse che possiamo dividere in alcune categorie: la prima comprende i soggetti organizzativi che rappresentano interessi istituzionali; il principale esempio è costituito forse dalle associazioni degli Enti locali. Questi gruppi si mobilitano essenzialmente per difendere i propri interessi particolari.
La seconda categoria di gruppi di interesse è quella che comprende quelli di natura economica, ed il loro intervento in più di un caso è di grande efficacia. Ci sono però anche casi in cui l'intervento degli interessi economici sembra assente o comunque non decisivo. Talvolta ciò è determinato dalla scarsa importanza economica della politica, come ad esempio nei servizi assistenziali, cosicché si potrebbe ritenere che alla crescita di questa la situazione potrebbe mutare.
La terza ed ultima categoria di interessi coinvolti comprende i cosiddetti interessi diffusi e cioè da un lato il pubblico in senso ampio e dall'altro coloro che perseguono obiettivi aventi la caratteristica di beni pubblici (ambiente, le bellezze naturali, etc.). ci sono pochi esempi di questi interventi; alcuni li troviamo nella politica dei beni culturali, in quella di protezione degli inquinamenti, in quella assistenziale. Le ragioni di questa scarsa presenza sono da riscontrare nella debole propensione associativa tipica del nostro paese; nella diffusa convinzione che "solo i partiti contino" e che quindi o si passa attraverso i partiti o si creano propri partiti; inoltre nel fatto che i beni pubblici sono tutelati da altre categorie di attori (es. gli esperti).
Accanto ai partiti ed ai gruppi di interesse, un altro protagonista dei processi decisionali è la burocrazia cioè coloro che lavorano nella pubblica amministrazione, la cui pretesa di intervento nel policy making appare legittima in quanto basata sui compiti loro assegnati dall'ordinamento giuridico.
Infine, interessante, diventa il ruolo che giocano gli esperti nel policy making italiano. Essi sono detentori di uno specifico know-how e basano su questa loro superiore conoscenza la pretesa di partecipare al processo decisionale. Anche se poi nessuno garantisce che il processo decisionale tradurrà in pratica le loro proposte, essi sono comunque presenti nel policy making italiano, in quanto tutti gli altri protagonisti (partiti politici, burocrazia, gruppi di interesse), hanno bisogno di legittimazione. Il fenomeno, quindi, non è necessariamente positivo perché, se da un lato può sfociare nella delega a soggetti politicamente irresponsabili, dall'altro porta con sé rischi di strumentalizzazione e di conseguente politicizzazione della comunità scientifica.
La politica ambientale in genere appare contenere diversi elementi intrinseci che la predispongono a modalità di tipo conflittuale nelle interazioni tra gli attori - tipicamente sussistono sostanziali disaccordi sugli obiettivi da perseguire, oltre che sulle relazioni causali dei fenomeni di degrado dovute spesso all'ambiguità della stessa evidenza scientifica. Ne deriva che le strategie adottate dagli attori sono orientate alla lotta per il potere, a ridefinire i termini dei problemi non accettando le definizioni proposte dagli altri, e sono caratterizzate da scarsa fiducia reciproca, da attacchi alla legittimità dei processi, da forti disaccordi anche sugli aspetti di natura tecnica e quindi sulla legittimità degli esperti.