2.2. PARCHI E AREE PROTETTE: UNA CLASSIFICAZIONE.

 

In Italia si parla comunemente di parchi, riserve naturali, oasi faunistiche, ma la terminologia è tuttora oggetto di discussione.

Significativa appare la definizione di "parco" data da Giacomini e Romani (1982), in base alla quale il parco è l'assetto giuridico amministrativo di un insieme territoriale, in virtù delle cui finalità globali e specifiche la salvaguardia e lo sviluppo degli elementi naturali ed umani che lo costituiscono sono promossi e disciplinati in un regime di reciproca compatibilità.

Secondo gli esperti del Comitato per i parchi nazionali e le riserve è però opportuno procedere ad alcune distinzioni:

parchi nazionali: sono "aree di eccezionale importanza e complessità naturalistica, di vasta estensione e di valore e interesse internazionali, rappresentative di ambienti unici o tipici di un certo territorio, famosi anche per la presenza di particolari entità o associazioni vegetali o animali". Ogni parco nazionale ha la sua particolare regolamentazione che stabilisce anche i limiti territoriali quantitativi o qualitativi delle modifiche apportabili all'ambiente per lo sviluppo controllato del turismo e delle altre attività umane.

In Italia i parchi nazionali proteggono specie o ambienti unici in tutto il territorio nazionale, come ad esempio lo stambecco nel Gran Paradiso e l'orso marsicano nel Parco d'Abruzzo.

Parchi regionali sono "aree di notevole estensione, spesso coincidenti con un comprensorio naturale non ancora trasformato dalla civiltà industriale metropolitana, idoneo per vocazione ad assolvere finalità composite, tra le quali, accanto alla esigenza prioritaria della conservazione, trovino giusto posto anche gli scopi della ricreazione, della educazione e del tempo libero". Spesso per dette aree, in sede di istituzione, è stata prevista la realizzazione di appositi piani di conservazione e di sviluppo, alcuni dei quali fanno ricorso ad una suddivisione del territorio in zone omogenee sottoposte a vari gradi di tutela: da quella integrale, a quella guidata, alla zona preparco in cui sono ammesse le infrastrutture ricettive per il turismo, quelle ricreative, sportive etc.

Riserve naturali e rifugi faunistici: sono "aree di estensione limitata, a volte addirittura identificabili con un singolo biotopo, fenomeno o entità naturale, pregevoli sul piano ecologico e paesaggistico, significative dal punto di vista scientifico e rappresentative di aspetti di determinati territori".

Ne sono un esempio: le riserve naturali integrali, in cui l'accesso ai visitatori è vietato e l'ecosistema viene lasciato all'evoluzione naturale, costituendo pertanto un modello per la gestione "naturalistica" delle aree circostanti; le riserva naturali orientate, in cui vengono effettuati interventi guidati da parte dell'uomo, allo scopo di "orientare" l'evoluzione dell'ecosistema verso un determinato modello culturale; le riserve biogenetiche, istituite allo scopo di conservare particolari caratteristiche genetiche delle specie che vivono al loro interno, o perché queste sono in pericolo di estinzione o per riprodurle e riutilizzarle; e le riserve faunistiche, che proteggono l'ambiente vitale per determinate specie animali.

Proprio per la loro specifica natura, le riserve naturali sono generalmente inserite in un'area tutelata più ampia e con diverse finalità istitutive.

L'U.I.N.C. (Union International Nature Conservation, Organizzazione internazionale non governativa specializzata nei problemi della conservazione della natura), attraverso la C.P.N.A.P. (Commission Parcs National and Areas Protected) ha redatto un documento di base secondo cui i parchi nazionali, qualora ufficialmente riconosciuti, rientrano fra le categorie di aree protette sotto la diretta sorveglianza internazionale. La dizione parco nazionale, deve essere limitata esclusivamente a territori che rispondono ai seguenti requisiti:

una sufficiente estensione;

la presenza di uno o più ecosistemi poco o affatto alterati dall'uomo in cui anche le utilizzazioni in epoche remote non hanno inciso significativamente sugli habitat delle consociazioni vegetali e sulla presenza degli animali. Il territorio dovrà risultare particolarmente interessante dal punto di vista estetico, scientifico, didattico e ricreativo;

il divieto da parte della più alta autorità del Paese di utilizzazione ed occupazione su tutta la superficie e l'impegno a rimuovere eventuali occupazioni preesistenti;

l'accesso al pubblico è consentito, previa autorizzazione, per scopi ricreativi, educativi e culturali.

Secondo l'U.I.N.C., sono inoltre vietate le utilizzazioni delle risorse naturali e in particolare l'estrazione di risorse minerali; i tagli del bosco, la raccolta di altri tipi di vegetazione, l'allevamento di animali, la costruzione di sbarramenti per l'irrigazione oppure per scopi idroelettrici, le colture agricole, la caccia, la pesca etc. Sono ammesse attività antropiche quando queste costituiscono parte integrante del patrimonio culturale di un particolare ambiente da proteggere; sono ammesse le attività esistenti de facto, oppure acquisite di diritto dalle popolazioni residenti ancor prima dell'istituzione del parco, a condizione però che queste non interessino una parte troppo elevata della superficie totale dell'area del parco; sono ammesse le attività necessarie alla gestione del territorio protetto e quelle necessarie ad un equilibrato sviluppo turistico-ricreativo della zona.

I territori classificati "parchi nazionali" possono includere:

aree in cui la protezione è integrale;

aree antropologiche protette (qualora esistano);

aree protette da interesse storico o archeologico (qualora esistano).

Ogni parco deve avere un suo piano che suddivide il territorio in zone (A, riserva integrale; B, riserva generale; C, di protezione; D, sviluppo). Ma la suddivisione in zone non è tutto, molto dipende dai modi con cui la "zonizzazione" viene applicata e dagli indirizzi che l'hanno suggerita.

Il quadro offerto dalla legislazione regionale antecedente alla legge quadro in riferimento al problema dell'individuazione delle aree sulle quali istituire parchi e riserve è sufficientemente articolato. Alcune Regioni prevedono un piano regionale delle aree protette, formulato con il supporto di apposito organo tecnico, il quale esprime pareri (Piemonte) o proposte (Lombardia). Altre Regioni (Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna) fanno riferimento al piano territoriale urbanistico della Regione.

In sostanza la istituzione di parchi e delle riserve avviene sempre per determinazione dell'organo politico (si tratta quasi sempre di legge regionale), ma la programmazione, o se si preferisce il piano per la individuazione delle aree protette, si avvale molto dell'apporto di appositi organi tecnici.

Sul retroterra di questa esperienza statale e regionale è intervenuta la legge quadro la quale ha operato una scelta di fondo: ha optato per una programmazione autonoma della protezione del patrimonio naturalistico. A tal fine essa ha istituito due organi: uno operativo, di carattere politico, denominato Comitato per le aree naturali protette e costituito da sei Ministri o sottosegretari delegati e da sei Presidenti di Regioni o assessori delegati, e l'altro consultivo, di carattere tecnico, denominato Consulta tecnica per le aree naturali protette, e costituita da esperti particolarmente qualificati.

Il programma per le aree naturali protette è adottato dal Comitato, sentita la Consulta e sulla base della Carta della natura predisposta dai Servizi tecnici nazionali, la quale individua lo stato dell'ambiente naturale in Italia, evidenziando i valori naturali ed i profili di vulnerabilità territoriale.

Il programma, innanzitutto, identifica le linee fondamentali dell'assetto del territorio con riferimento ai valori naturali ed ambientali e svolge inoltre i seguenti compiti:

specifica i territori che formano oggetto del sistema delle aree naturali protette di interesse internazionale, nazionale e regionale, operando la necessaria delimitazione dei confini;

indica il termine per l'istituzione di nuove aree naturali protette o per l'ampliamento e la modifica di quelle esistenti, individuando la delimitazione di massima delle aree stesse;

definisce il riparto delle disponibilità finanziarie per ciascuna area e per ciascun servizio finanziario;

prevede contributi in conto capitale per le attività nelle aree naturali protette istituite dalle Regioni relativi all'istituzione di dette aree;

determina i criteri e gli indirizzi di gestione delle aree protette nell'attuazione del programma per quanto di loro competenza, ivi compresi i compiti relativi all'informazione ed all'Educazione Ambientale delle popolazioni interessate, sulla base dell'esigenza di unitarietà delle aree da proteggere.

La differente realtà ambientale delle aree protette impone la necessità di differenziare per categorie le aree stesse, in modo da assicurare da un lato sufficiente omogeneità di raggruppamento, in base a caratteri comuni, e d'altro lato corrispondenza piena tra caratteristiche dell'area e strumenti di protezione. La differenziazione per categorie, del resto, discende direttamente oltre che da realtà di fatto, anche da correnti di pensiero scientifico internazionale che pur non costituendo vincolo in senso giuridico, sono un preciso punto di riferimento, anche ai fini di un avvicinamento delle legislazioni.

La classificazione delle aree protette tiene conto di due fattori diversi: l'ampiezza dell'area da proteggere e il differenziato regime di tutela. In ordine di ampiezza, i parchi naturali costituiscono le più ampie aree di protezione, le riserve naturali e le zone di particolare rilevanza ambientale sono di regola medie aree di protezione, i monumenti naturali corrispondono a beni di piccola entità e superficie. Il regime di protezione, infatti, deve essere direttamente proporzionale alle qualità intrinseche del bene ambientale. E' questa una immediata conseguenza del concetto di bene ambientale, costituito non dalla somma di singole cose unitarie, ma da un valore di interesse pubblico che accomuna le cose stesse in un unico complesso. La politica di protezione quindi deve stabilire quali attività umane vadano escluse, in quanto incompatibili con gli obiettivi di interesse pubblico collettivo alla conservazione e al potenziamento del bene ambientale.

Da quanto esposto discende che a maggiore valore naturalistico deve corrispondere maggiore protezione, nonché maggiore limitazione alle attività antropiche e viceversa. La protezione per il parco naturale assume, dunque, una duplice funzione: da un lato la tutela delle singole componenti di particolare pregio ambientale, dall'altro la tutela, il coordinamento, il recupero dell'ambiente nel suo insieme unitario di aree, normalmente composite e di differente rilievo naturalistico. Per ciò che riguarda l'atto istitutivo delle aree protette, esso può essere un semplice atto amministrativo. Per altro, la tradizione dell'ordinamento statale, che ha sempre istituito i parchi mediante legge, sembra essere stata recepita da tutte le regioni.

La effettiva disciplina di tutela di un'area protetta può essere stabilita unicamente con strumenti normativi di dettaglio; potrà essere contenuta in atti amministrativi (regolamenti, strumenti di pianificazione, programmi etc.) solo se con legge si sia determinata quella ìsufficiente specificazioneî della portata delle potestà amministrative, diversamente, anche la disciplina di dettaglio dovrà essere contenuta in atto legislativo, derivandone, altrimenti la illegittimità della disciplina stessa, per violazione della riserva di legge. Compito primario del piano è, pertanto, la delimitazione delle aree di diversa protezione, attribuendo a ciascuna di esse la normativa tecnica più coerente con le qualità naturalistiche da proteggere.

mentre le zone A dei parchi (riserva integrale) richiedono solo le spese di sorveglianza, le altre zone esigono investimenti adeguati che consentano il restauro degli edifici rurali, il rilancio dell'agricoltura e della pastorizia, il turismo guidato etc.

è difficile dire quale sia il fabbisogno finanziario di un parco, essendo quanto mai varie le situazioni locali: il parco deve svolgere attività non direttamente produttive come quelle di tutela e quelle scientifiche (che tuttavia richiedono personale e perciò producono posti di lavoro); al tempo stesso deve agire come un'azienda autonoma che interviene nell'agricoltura e promuove il turismo, col risultato di un aumento dell'occupazione e del reddito nell'area interessata.

il 50% della spesa annua è assorbito dalla tutela e dalla riqualificazione ambientale: affitti di terreni, compensi ai proprietari per divieti di sfruttamento, indennizzi per danni provocati dagli animali protetti, ripopolamenti faunistici, piantagioni, spese di ripristino in zone dissestate etc. Il 30% delle spese è per il personale, per il finanziamento dell'ente-parco, per la manutenzione. Il 10% va alla ricerca scientifica e alle pubblicazioni, anche a carattere divulgativo. Il 10% alle organizzazioni di visite guidate, alla propaganda turistica, al funzionamento dei centri di informazione.

Senza fondi sufficienti gli enti che amministrano i parchi non riusciranno mai a compiere il salto dalla funzione repressiva a quella dinamica e produttiva; non saranno mai paragonabili ad aziende che si presentano con spirito imprenditoriale, con un programma di investimenti e perciò con posti di lavoro. Comunque, la spesa pubblica per i parchi, che nel 1970 non arrivava a 500 milioni di lire l'anno, era salita nel 1980 a 8 miliardi (però con ritardi enormi nelle erogazioni).

La superficie di territorio inclusa nei parchi nazionali era passata da 200 mila a 270 mila ettari. Ai convegni tutti sono d'accordo, politici e amministratori, esperti e uomini di cultura, anche cacciatori, nel declamare sulla conservazione della natura. Ma le realizzazioni sono scarse; alla lentezza nelle decisioni si aggiunge quella nell'esecuzione di provvedimenti approvati e accolti con compiacimento generale.