3.5.2. il ruolo degli Enti locali.

 

Il rapporto enti locali-Parchi è stato e per molti aspetti rimane non facile, anche se va detto subito che la fase più difficile è ormai fortunatamente alle nostre spalle. Non si dimentichi che prima della 142 e della 394, Comuni e Province non avevano alcuna competenza in materia, salvo la partecipazione con propri rappresentanti ai consorzi di gestione dei Parchi regionali.

» chiaro che una significativa differenza permane tra Enti locali che operano ove esiste e funziona un sistema di Parchi regionali ed ora anche nazionali e gli altri. Pur con qualche diversità tra Parchi regionali e nazionali, gli Enti locali il cui territorio è compreso in tutto o in parte nel perimetro di una area protetta sono stimolati e coinvolti in misura maggiore e più diretta, il che offre loro più opportunità e non soltanto più problemi.

L'interlocuzione diretta con le Regioni, ed ora anche con lo Stato, per la gestione di Parchi sul proprio territorio accresce evidentemente, sia nel Comune sia nella Provincia, la responsabilità, offre nuove occasioni per proiettare in una dimensione più ampia anche le proprie esigenze "locali".

In questi ultimi anni il panorama per quanto riguarda gli Enti locali è profondamente cambiato; tutto questo è merito principale della legge 394 e della legge 142, le quali per la prima volta hanno assegnato a tutto il sistema istituzionale, la titolarità e la responsabilità in questa materia.

La novità più significativa e il superamento dell'area protetta concepita unicamente come insieme di vincoli e di divieti che attira l'impegno e i programmi dello Stato, delle Regioni ed anche degli Enti locali. Si pensi in particolare, per quanto riguarda gli Enti locali, alle Province alle quali la legge 142 affida il compito di predisporre il piano territoriale di coordinamento, uno strumento non a carattere edilizio-urbanistico ma squisitamente ambientale. Ebbene, uno strumento del genere si lega immediatamente all'altra competenza delle Province di individuare e istituire sul proprio territorio aree protette provinciali e locali.

Si pensi al piano territoriale e a quello socioeconomico del Parco, ai quali naturalmente gli Enti locali debbono concorrere. L'art. 7 della 394 poiché prevede contributi straordinari per vari tipi di progetti degli Enti locali il cui territorio sia compreso in tutto o in parte nell'area protetta.

» facile capire come una tale opportunità consente non solo di realizzare dei progetti sul proprio territorio ma di situarli nell'area protetta e in quella contigua a sostegno di attività ecocompatibili. Se questo è il nuovo contesto in cui sono chiamati a muoversi oggi gli Enti locali, in un ruolo tutt'altro che secondario e gregario, è innegabile che problemi ed anche preoccupazioni restano. La diffidenza suscitata anche dalla 394 tra gli amministratori locali, specialmente nel caso di istituzione di nuovi Parchi nazionali riguarda i poteri di pianificazione e programmazione, considerato che il piano del Parco Nazionale, ma anche regionale è "sovraordinato" a tutti gli strumenti di pianificazione. Gli Enti locali temono in sostanza di essere scavalcati o espropriati di un potere delicatissimo quale è quello del governo del territorio. Gli Enti locali non potranno che preoccuparsi della presenza di un Ente che anche a loro nome agisce mostrando "indifferenza" per istanze liquidate in nome della superiorità e inappellabilità delle esigenze tecnico-scientifiche, presentate come qualcosa di estraneo alle istituzioni stesse.

Si ripropone, quindi, l'annosa e controversa questione del consenso; non v'è dubbio che esso riguarda in primo luogo gli Enti locali in quanto espressione della volontà dei cittadini elettori, ma è difficile, anzi è sbagliato pensare che il consenso possa e debba essere estraneo o indifferente il Parco, sebbene esso non sia organo rappresentativo della volontà popolare.

I cinque Parchi nazionali storici, infatti, sono caratterizzati da modelli di gestione che istituzionalmente non prevedono alcun apporto delle popolazioni locali e dei loro organismi di rappresentanza nelle politiche programmatorie e gestionali attuate.

Di fatto i Parchi nazionali si presentano come una anomalia, un corpo separato nella articolazione delle competenze e delle attribuzioni in tema di governo del territorio. Emblematico è a questo proposito il fatto che alcuni di questi Parchi siano gestiti in prima persona dal Corpo Forestale dello Stato, vale a dire da un corpo militarizzato (senza con questo sminuire l'importantissimo compito svolto dal C.F.S. nella gestione dei Parchi e delle riserve).

La legge quadro ha delineato un altro modello di Parco Nazionale: un Parco nel quale la partecipazione delle Regioni e delle autonomie è istituzionalizzato, attraverso la Comunità del Parco, i meccanismi di nomina del presidente, di molti dei membri del consiglio direttivo, ed attraverso il ruolo che avrebbe dovuto svolgere, nelle intenzioni del legislatore, il Comitato per le aree naturali protette.

Questo diverso assetto giuridico-istituzionale consente anche di fondare nuove e più avanzate politiche gestionali, ed è in definitiva un più avanzato modello culturale del Parco: non più un Parco come luogo della separatezza, dove si attuano interventi irriproducibili altrove, ma il Parco come laboratorio dove sperimentare politiche di gestione del territorio, basate sui principi della conservazione delle risorse ambientali e dello sviluppo sostenibile, che possano contaminare anche ciò che Parco non è, anche il resto del territorio.

Partendo da questo nuovo quadro istituzionale ciascun Parco sta sviluppando la prima concreta esperienza gestionale, costruendo il proprio rapporto con gli Enti territoriali a partire dal quadro concreto delle competenze e delle "tradizioni amministrative" dei territori in cui si sono calati.

Infatti, in base alla legge 394/91, l'obiettivo generale di conservazione e valorizzazione delle aree protette, deve essere perseguito da tutto il sistema istituzionale con funzioni differenziate. Lo Stato deve garantire in primo luogo, anche se non in misura esclusiva, l'attuazione degli accordi internazionali, delle direttive e delle politiche europee; deve garantire la tutela e la valorizzazione, nel breve e nel lungo periodo, del patrimonio naturale e ambientale del paese che va conservato per obbligo internazionale e perché è una risorsa strategica per il Paese.

Per quanto riguarda le aree naturali protette di interesse regionale, la legge 394/91 ha stabilito dei principi fondamentali attraverso norme quadro che sono tutte improntate all'attribuzione alle autonomie locali da parte delle Regioni di ruoli e funzioni rilevanti come la partecipazione delle Province, delle Comunità Montane e dei Comuni ai procedimenti di istituzione dell'area protetta.

Quindi, si è realizzato un difficile e delicato equilibrio che consente una estesa partecipazione delle Comunità locali ed una locale collaborazione con le Regioni in forme compatibili col carattere dei Parchi Nazionali, ed in forme improntate ad una forte autonomia nella istituzione e gestione dei parchi e delle riserve regionali.

Questa nuova articolazione dei poteri dello Stato, tra centro e periferia, implica che anche i rapporti con gli Enti locali, sia da parte dello Stato che delle Regioni, debbono arricchirsi rispetto ad una tradizione in cui prevalgono gli aspetti formali riguardanti il controllo e la sostituzione, con potenziamento dei rapporti informali, in cui abbiano sempre maggiore spazio e rilievo la consulenza e l'assistenza, anche attraverso appositi uffici e strumenti.