Il Buco del Frate è una tra le più importanti cavità naturali del Bresciano. Giustamente sottoposto a protezione dalla normativa regionale che ha istituito uno specifico "monumento naturale", che si spera possa contribuire a tutelare la grotta dallo sviluppo dell'attività estrattiva che ormai la assedia a breve distanza. E' senz'altro tra le grotte più importanti di tutta la Lombardia e, non a caso, porta il numero uno del Catasto Speleologico Lombardo (1.Lo).
La grotta è costituita da due ampi vani intercomunicanti che sfociano in superficie con due distinti imbocchi. Dai vani si dipartono tre rami secondari, due dei quali si collegano successivamente fra loro. Saltuariamente si riscontra la presenza dl acque nelle parti a quota più bassa.
La caverna ha destato tanto interesse per gli imponenti reperti fossili.
La tradizione popolare attribuisce l'origine del nome di questa grotta ad una fantomatica banda di briganti che, vestiti con il rassicurante saio da frate, assalivano i viandanti lungo la sottostante strada Brescia-Salò ed avevano per rifugio la grotta in questione. Un'altra tradizione voleva invece che la grotta fosse stata abitata per lungo tempo da un eremita coperto da un misero saio da frate.
Data l'impraticabilità della grotta e l'assenza, nonostante le numerosissime ricerche e sondaggi, di tracce di stanziamenti umani, il nome del famoso antro deriva molto probabilmente dal termine latino FRACTAE = "luogo rotto a sterpi e arbusti", dal tardo latino FRACTAS="siepe" . Inteso in questo senso, dunque il toponimo avrebbe indicato molto più appropriatamente il "buco delle fratte", deformato nel corso dei secoli e assimilato ad un senso più fantasioso.
Oltre ai fenomeni di carsismo profondo si segnalano diffuse forme di erosione chimica di tipo superficiale. Una passeggiata sulla cresta del Monte Budellone mostra una vasta gamma di esempi di rocce modellate nelle forme più strane, incise, forate, cariate dalla dissoluzione del carbonato di calcio. In particolare sono diffuse le scannellature parallele che talvolta si manifestano su superfici anche di una certa estensione, tali da farle assomigliare a dei veri e propri "campi solcati".
La cavità ospita numerosissime specie animali invertebrate, di alto interesse biologico per la loro limitata area di distribuzione ed appartenenti, per la maggior parte, alla famiglia dei Coleotteri.
La grotta era inoltre sede di una delle più consistenti colonie di pipistrelli della Lombardia ed è sul giacimento di guano, da questi costituito, che vive la ricca fauna troglobia. Nella grotta sono state compiute fruttuose campagne paleontologiche di scavo, che hanno portato al rinvenimento di notevoli quantità di reperti fossili, appartenenti alla fauna preistorica. Si rinvennero reperti abbondanti e interessanti con fossili di micromammiferi, di lupo, jena, marmotta, castoro, gulo gulo o ghiottone, e, soprattutto, uno scheletro completamente ricomposto di "Ursus spelaeus", ossia orso delle caverne, che costituisce uno degli esemplari più belli dei nostri musei.
Ma l'importanza del Buco del Frate è legata anche e soprattutto alla micro-fauna che la grotta ospita. Si tratta di alcuni elementi endemici (cioè viventi in pochissime località di un'area limitata) di entomofauna troglobia, quella cioè che abita i recessi più interni delle caverne, nel buio più profondo e quindi in assenza di ogni forma di vegetazione fotosintetizzante. La materia organica necessaria alla vita di questi insetti attraverso una pur breve catena alimentare è offerta dal guano ovvero dagli escrementi, delle colonie di pipistrelli frequentanti la grotta, seppur in numero sempre più ridotto nel corso degli ultimi anni. Questi insetti sono perfettamente adattati all'ambiente cavernicolo, ciechi per l'inutilità di organi di percezione visiva nel buio più totale, dotati invece di lunghe antenne sensibili e lunghi arti.