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Camoscio Appenninico: una sentinella per la nostra salute

(Guardiagrele, 18 Gen 22) Prima dell'era COVID-19, una delle maggiori preoccupazioni per la salute pubblica era rappresentata dalla sempre più crescente resistenza agli antibiotici riscontrata in alcuni batteri. Questa condizione riduce le chance terapeutiche nel trattamento delle infezioni batteriche nell'uomo e negli animali. Alcune stime dell'Organizzazione Mondiale della Sanità negli ultimi anni hanno registrato in Europa 4 milioni di infezioni da batteri antibiotico-resistenti con 37mila decessi e una spesa che ammonta, tra costi sanitari e non, a circa 1,5 miliardi di euro l'anno. Questi numeri hanno destato interesse nella comunità scientifica che ha cominciato a cercare risposte a questo problema.

Sappiamo oggi che non è possibile separare la salute e il benessere dell'uomo da quello degli animali e da quello dell'ambiente che essi condividono. Per questo motivo, un progetto portato avanti dal Parco Nazionale della Maiella e dalla Facoltà di Medicina Veterinaria dell'Università degli studi di Teramo ha cercato di trovare una sentinella, strettamente legata al territorio, che potesse dare indicazioni utili per la salute dell'uomo. Tra cervi e camosci, questa peculiare sentinella è stata identificata nel Camoscio Appenninico, animale unico e particolarmente legato alla storia della conservazione in Abruzzo. Vive in ambienti particolari: in alcuni casi incontaminati e difficilmente raggiungibili dall'uomo; e in altri casi in condivisione con animali domestici al pascolo. Questo particolare lo rende un perfetto indicatore delle differenze rilevabili in ambiente, in presenza o assenza di attività antropiche. Per la prima volta in Italia questo animale è stato oggetto di studio con l'obiettivo di valutare la sua capacità di fornire informazioni utili sullo stato di salute del territorio in cui vive. A partire da campioni di feci sono stati isolati batteri resistenti ad antibiotici considerati critici per la salute umana. Sono per lo più antibiotici che non vengono utilizzati in ambito veterinario e sono definiti tali appunto perché sono considerati fra le ultime risorse utili nel curare le infezioni batteriche che non sono più trattabili con i comuni antibiotici.

Questi risultati riguardano in particolare i batteri Escherichia coli, resistenti ad antibiotici conosciuti come colistina e carbapenemi. In particolare, è stato possibile correlare a queste resistenze la presenza di alcuni geni (mcr-4, oxa-48) riportarti per la prima volta in questa specie e negli ungulati selvatici in Italia e in Europa grazie a questo studio. Questi risultati riguardano in particolar modo i camosci che vivono condividendo gli ambienti con le attività antropiche, suggerendo una contaminazione di origine umana. Infatti, camosci che vivono in aree ben più isolate e con ridotta possibilità di contatto esterno, non presentano gli stessi profili di resistenza.

Questi risultati accendono i riflettori sulla responsabilità dell'uomo nell'utilizzo corretto degli antibiotici e invitano ad una rinnovata consapevolezza su quanto le nostre azioni possano avere conseguenze sull'ambiente e sull'intera comunità.

I risultati di questo progetto sono stati recentemente pubblicati con un articolo dal titolo "Resistance Patterns, mcr-4 and OXA-48 Genes, and Virulence Factors of Escherichia coli from Apennine Chamois Living in Sympatry with Domestic Species, Italy" sulla rivista scientifica internazionale Animals che ne sottolinea la rilevanza in termini di protezione della salute pubblica e della biodiversità.

Camoscio Appenninico: una sentinella per la nostra salute
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