(23 Mar 22) Non abbiate paura di sembrare sdolcinati o romantici fuori tempo: i fiori aprono il cuore a chiunque li sappia guardare e ci aiutano a vivere meglio.
I primi a spuntare, quest'anno come tutti gli anni, sono stati gli ellebori, già ai primi di gennaio. L'elleboro ha un fiore di color verdiccio, anche bello in sé ma soprattutto utile a capire la riproduzione oppure ad insegnarla ai bambini: i petali, dotati di clorofilla e quindi fotosintetici (e non "parassitari" come in tutte le altre specie che quindi provvedono ad eliminarli non appena terminato il compito del fiore, che è appunto la riproduzione), rimangono sulla pianta e ci rimarranno fino all'estate, incorniciando l'ovario fecondato che si trasforma in frutto. Insomma, adesso avete al centro l'ovario rigonfio, quasi completamente sviluppato e ancora ben riconoscibile circondato com'è dalla corolla. Se vi imbarazza insegnare al bambino un minimo di educazione sessuale fatevi aiutare dall'elleboro, che è meglio di un libro stampato. Poi, a fine gennaio, è comparso il piè di gallo. Del resto il suo nome specifico è hiemalis, che significa invernale. Ha macchiato (di giallo) i margini del bosco, ma anche i fossi, i bordi dei vigneti, le terre lavorate o salde.
Febbraio ha visto invece l'arrivo dei bucaneve, bianchi, bellissimi. Di norma per vederli bisogna andare in faggeta, sopra gli 800-900 metri, dove non sono ancora fioriti, complici le minime notturne dei giorni scorsi ancora piuttosto severe. Ma a bassa quota, proprio sulla Vena del Gesso, già a febbraio ci sono state le condizioni per farli fiorire. Al Carnè si sono messi in mostra nelle doline, vicino agli ingressi di grotta e anche sulle rocce erose "a candela" a fianco della strada che conduce al Rifugio.
Al Carnè in questi giorni sono fioriti i denti di cane, quei curiosi piccoli gigli rosa con antere (le portatrici del polline) stranamente scure, dal blu al nero, e le foglie azzurrognole macchiate di viola. Per vederli basta seguire il sentiero "degli Abissi" che dal Rifugio sale in direzione est, verso Rontana. Esattamente a metà salita si lascia la carraia principale e si prende a sinistra una traccia, piccola ma ben segnata (S.A.: sentiero abissi) che serpeggia sul versante nord. I denti di cane tappezzano il sottobosco di roverella e carpino fino all'ingresso (a pozzo verticalissimo, ma è recintato e non pericoloso) dell'Abisso Carnè. Poco più sotto, sempre verso Rontana, ai piedi del castagno più bello e più vecchio della zona, ci sono anemone nemorosa, fegatella, primula comune, croco e addirittura scilla bifolia. Quest'ultima è di un azzurro così bello che non ti stanchi di guardarla. E' curioso pensare che queste specie forse sono lì da sempre, spontanee e autoctone, forse sono state introdotte involontariamente dall'uomo che cento, centocinquanta anni fa per piantare il castagno potrebbe aver prelevato un pollone sopra Marradi o sopra Palazzuolo con la zolla di terra e i relativi bulbi di croco o di scilla.
Finiamo con un'orchidea (!). Le primissime sono già fiorite da due-tre settimane. Si tratta di Barlia robertiana, una rara specie mediterranea in spettacolare espansione da sud verso nord e che è stata trovata in Romagna solo di recente, a partire da circa dieci anni fa. Da Rontana basta seguire per mezzo km la strada verso la Valletta e
prendere la prima strada sterrata (via Torretta) a sinistra. Fate un chilometro, dopodiché cominciate a sbirciare fra gli olivi, sotto un vecchio mandorlo o anche semplicemente nel fosso. La vedrete perché è grande (fino a 30 cm di altezza) e di un insolito colore blu screziato di rosa. Ovviamente non raccoglietela, né lei né le altre specie, primo perché è vietato dalla legge secondo perché è un peccato togliere ad altri una gioia per gli occhi così.
Testo di Sandro Bassi photo credit: Veronica Chiarini