Zompo lo Schioppo è un esempio di sorgente carsica intermittente che si estingue annualmente nei mesi estivi e autunnali. L'acqua sgorga da una ripida parete calcarea con un salto di oltre 80 metri, formando la cascata naturale più alta dell'Appennino. Il legame che intercorre tra il paesaggio della Riserva e l'elemento acqua è talmente marcato da condizionarne tanto l'aspetto quanto l'ecosistema. Questo legame e la suggestione che ne scaturisce non sfuggì all'attenzione dei visitatori del passato, tra questi Alexandre Dumas, che ne fecero l'elogio nei propri appunti di viaggio. I boschi di faggio esercitano su questo sistema una funzione "protettiva", costituendo con esso una unità di paesaggio che è l'immagine stessa della Riserva. L'elemento acqua manifesta la sua presenza in ogni ambiente della riserva, dalle più alte sorgenti poste a quota 1700 metri, fino a lambire i centri abitati alle quote più basse. Ma questa visibilità rappresenta solo un aspetto del suo corso: nascosta alla vista, una ramificata idrografia sotterranea legata al diffuso carsismo, prende corpo in grotte, vallette carsiche, pozzi e doline, spingendosi tra i calcari fessurati che costituiscono gran parte dell'ossatura di questi monti, fuoriuscendo in taluni casi in copiose sorgenti come quella della Pantaneccia che garantisce con la sua acqua il fabbisogno idrico della Valle Roveto. Infine viene l'uomo, artefice delle sembianze meno spontanee dell'acqua, ad intervenire sulla trama idrografica del territorio con la sua impronta costruttiva. I suoi corsi artificiali, canali di varia dimensione a seconda dello scopo, segnano il territorio per carpire all'acqua le sue potenzialità. E' nota la capacità tecnica con cui in passato l'uomo era in grado di canalizzare le acque per l'irrigazione o per azionare macchinari. Questa tradizione, particolarmente viva tra i monaci cistercensi, sopravvive grazie alle formelle, canali in terra ancora oggi utilizzati per irrigare i coltivi, testimonianza di un modo di intervenire sul territorio in modo discreto. Di maggiore impatto è il grande canale artificiale creato dall'Enel, che riversa le acque del torrente Lo Schioppo in un laghetto di "carico", per muovere infine, attraverso una condotta forzata, le turbine di una delle centrali elettriche presenti nel territorio di Morino.
La località Grancia compresa nel comune di Morino, dove hanno sede gli uffici della riserva ed il museo, rappresenta un importante e significativo nucleo abitativo che testimonia le vicende storiche del territorio della riserva.
Il termine, piuttosto comune nella toponomastica italiana in questa forma o in quelle di "granza" o "grangia", deriva dal francese granche o grange, vocaboli a loro volta tratti dal latino granica (= cella adibita a deposito per il grano, masseria). Con ciò si identificano in epoca medievale delle particolari strutture legate agli insediamenti monastici; esso può indicare sia un edificio con funzione di deposito di prodotti agricoli, posto all'interno di un complesso abbaziale, sia un insieme autonomo di edifici, lontano dall'abbazia madre, ma ugualmente connesso allo sfruttamento delle risorse del territorio in possesso del monastero.
In quest'ultimo caso, dunque, le grancie erano fattorie rurali, le quali basavano la loro economia non soltanto sui campi coltivabili, sui pascoli per le greggi, sulle foreste che fornivano legname, ma anche sullo sfruttamento delle cave e delle miniere presenti nel territorio, con i relativi edifici funzionali all'utilizzo di queste risorse, come i mulini e le forge, che funzionavano grazie ad un sapiente uso della potenza delle acque.
Questo tipo di insediamento agricolo è testimoniato nei documenti scritti a partire dal XII secolo e risulta principalmente dipendente dai monasteri dei Benedettini Riformati, appartenenti agli ordini monastici dei Cluniacensi, dei Cistercensi e dei Certosini, famosi per aver rivoluzionato non soltanto la spiritualità religiosa del loro tempo, ma anche migliorato i metodi di sfruttamento del patrimonio fondiario in loro possesso, con una gestione economica più dinamica ed attenta ai progressi tecnici conquistati dall'agricoltura bassomedievale. E' nota, inoltre, la perizia tecnica con cui, soprattutto i Cistercensi, imbrigliavano e canalizzavano le acque per la bonifica e l'irrigazione dei campi delle grancie o per lo sfruttamento dell'energia idraulica nell'azionare macchinari per la lavorazione di materie prime; quest'uso è documentato, ad esempio, nell'abbazia francese di Fontenay, dove la forza dell'acqua faceva muovere il pesante maglio di una forgia per la lavorazione dei metalli.
Sono appunto le grancie cistercensi ad essere più studiate dal punto di vista architettonico, soprattutto in Inghilterra ed in Francia, mentre nel resto d'Europa, compresa l'Italia, gli studi sono ancora lontani da una visione globale del fenomeno. In generale, tuttavia, la tipologia architettonica di questi edifici risulta molto varia e strettamente collegata alla funzione che dovevano svolgere: magazzini per granaglie, cantine, stalle, officine, ecc..
La grancia di Morino, dipendente dall'abbazia certosina di Trisulti, si affianca ai più noti complessi abruzzesi; essa è testimoniata dal toponimo Grancìa, dall'esistenza di impianti artigianali, come il mulino e la forgia per i metalli, quest'ultima descritta da Alexandre Dumas intorno alla metà del XIX secolo, ed infine dalla presenza abbondante dell'acqua, necessaria sia allo sfruttamento agricolo del suolo, sia al funzionamento degli impianti artigianali. L'esistenza del mulino, ridotto oggi allo stato di rudere e situato nei pressi dell'edificio che ospita il museo, e delle strutture della ferriera, che sorgevano a poca distanza lungo il torrente dello Schioppo, permettono di ipotizzare che il centro della grancia coincida proprio con l'area oggi occupata dall'edificio museale.La grancia di Morino non è la sola struttura di interesse storico presente nell'area della riserva: ad essa si affiancano alcune importanti emergenze monumentali che testimoniano le vicende storiche ed insediative della zona. Pittoresche ed ancora consistenti sono le rovine dell'antico centro di Morino, posto sull'altura che domina il fondovalle. L'abitato si è sviluppato dal castello omonimo noto dalle fonti fin dal XII secolo, a sua volta sorto probabilmente su un centro fortificato marso. Morino vecchio è stato abitato fino al 1915, quando, a causa del violento terremoto che ha colpito la Marsica, viene abbandonato per essere ricostruito nella zona di fondovalle in cui oggi si trova.
In località Brecciose si conservano, invece, estesi ruderi della chiesa di S.Pietro, nota dalla seconda metà dell'XI secolo come edificio di culto dipendente dall'abbazia benedettina di Montecassino.
Il monumento certamente più suggestivo e meglio conservato, almeno dal punto di vista strutturale, è la chiesa di S.Maria del Pertuso, detta anche del Cauto, posta a circa 1000 mt. di quota presso la cascata dello Schioppo. L'edificio, noto dalle fonti dal XII secolo, compare tra i possedimenti dell'abbazia cistercense di Casamari. La struttura, di modeste dimensioni, è in parte scavata nella roccia e conserva ancora brani degli affreschi che decoravano la volta e le pareti, con raffigurazioni della Madonna, di Santi e di personaggi del clero.
Comune montano di origine medievale, in passato è vissuto quasi esclusivamente dell'uso della risorsa forestale; attualmente le attività umane sono assorbite da poli industriali e commerciali di Avezzano Sora e dell'area romana. La comunità dei Morinesi, caratterizzata da un indice di vecchiaia nella media risponde nei nuclei insediativi di Biancone e della Fossa e nei centri abitati di Morino, Grancia, Brecciose e di Rendinara. Il capoluogo, Morino, è sorto in tempi piuttosto recenti e la sua veste urbanistica moderna contrasta con l'armonica fusione di valori paesaggistici e storico-architettonici di cui l'antico abitato, oggi allo stato di rovine, era invece espressione. Il territorio comunale si estende nella media valle del Liri; l'asprezza e la varietà del suo profilo altimetrico si accentua in corrispondenza del monti Simbruini, che ospitano la valle del torrente Lo Schioppo, protetta da una Riserva Naturale e impreziosita da una cascata e da una miriade di cascatelle, da una flora rigogliosa, è abitata da animali rari, come l'Orso bruno marsicano, il Lupo appenninico, la Martora ecc. Nel cuore della Riserva si trova una splendida chiesetta, la Madonna del Cauto, nei secoli passati luogo di eremitaggio.
L'aspetto geomorfologico del territorio, prevalentemente montano ed accessibile attraverso valichi e passi d'altura, ha condizionato fin dall'antichità la distribuzione e la densità del popolamento, anche se non ha impedito il passaggio ed i contatti tra i gruppi umani fin dal Paleolitico.
Le popolazioni si sono dunque concentrate nei luoghi più facilmente coltivabili, come le pianure di fondovalle, ricche di acqua e percorse da sentieri, che favorivano gli scambi culturali e commerciali, oppure in luoghi di altura, sicuri perché più difendibili.
Di conseguenza, il quadro insediativo non ha subito grandi mutamenti nel tempo, eccettuata forse la lunga parentesi dell'età romana, durante la quale sono sorti e si sono sviluppati importanti nuclei urbani, veri e propri poli accentratori delle risorse economiche del territorio.
Nonostante questa forte spinta urbanocentrica, che inizia con la fondazione delle colonie romane alla fine del IV sec. a.C. (Alba Fucens, Sora) e prosegue per i due secoli successivi, l'abitato sparso di tradizione preromana continua ad esistere ed a prosperare in tutta la Marsica, soprattutto nelle aree collinose e di media montagna, lontane dai percorsi principali e di più difficile accesso.
Nel lungo lasso di tempo tra il X ed il IV sec. a.C., sorgono numerosi piccoli centri, abitati da popolazioni Marse, cinti da una cerchia di mura o semplicemente circondati da un sistema di fossati e terrapieni (ocres).
Nel III sec. a.C. i romani, che intanto hanno imposto il loro dominio alle popolazioni italiche, diffondono un nuovo sistema insediativo basato non solo sui centri fortificati d'altura, ma anche sui villaggi di pianura: molti degli antichi centri italici vengono abbandonati, ma altri sopravvivono.
Uno di essi, Antinum, l'odierna Civita d'Antino, prospera tanto da ottenere anch'esso, nel I secolo a.C., la dignità municipale, diventando cioè il luogo di residenza dei magistrati locali e la sede amministrativa per il territorio della Valle.
Oltre ai centri urbani ed ai villaggi, di antica o nuova fondazione (vici), dal I secolo a.C. il quadro degli insediamenti vede anche la presenza delle grandi ville rustiche, vere e proprie fattorie che sorgono nei luoghi più favorevoli allo sfruttamento agricolo: esse sono generalmente costituite dall'abitazione del proprietario, talvolta ricca e sfarzosa, e da costruzioni funzionali (granai, depositi, magazzini, stalle, alloggi per gli schiavi e per la servitù, ecc.).
I centri urbani principali vengono inoltre collegati da un articolato sistema viario che in parte utilizza e ristruttura le percorrenze precedenti, ma che prevede anche nuovi tracciati che contribuiscono a rendere la Marsica, ed il bacino fucense in particolare, un nodo importante della viabilità del centro Italia.
La Valle del Liri è servita dalla via Alba Fucens - Sora - Fregellae, prosecuzione verso sud della via Poplica-Campana, che collega Alba Fucens ad Amiternum nella conca aquilana, costituendo una sorta di bretella tra la via Salaria a Nord e la via Latina a Sud.
Tale assetto resta più o meno immutato fino alla media e alla tarda età imperiale (fine II-IV sec. d.C.) quando, a causa della crisi economica ed istituzionale del mondo romano, si assiste a fenomeni di recessione e di calo demografico, che portano di fatto al restringimento dei nuclei urbani e all'abbandono di alcune ville rustiche.
Tuttavia, studi recenti sembrano confermare una sostanziale continuità con l'epoca tardoantica (IV-VI sec. d.C.), mentre i cambiamenti più netti e sostanziali sembrano essere avvenuti soltanto nell'altomedioevo, quando il dominio romano è già un ricordo lontano, mentre quello degli enti ecclesiastici e dei monasteri costituisce il vero elemento di rottura con il passato.