Il territorio dell'alto Sebino per la sua collocazione geografica, per
la conformazione fisica dei suoi rilievi e delle sue valli e per le
risorse ambientali che può offrire alle popolazioni che si sono
succedute nel tempo, può vantare una plurimillenaria storia di cui i
luoghi hanno conservato la traccia ed il ricordo attraverso
innumerevoli testimonianze.
La maggior parte di tali testimonianze
è costituita da segni semplici e spontanei, attinenti al legame
profondo con la terra dalla quale derivava ogni forma diretta ed
indiretta di sostentamento ed è rappresentata in maniera diffusa da
cippi di confine, da cumuli di sassi da spietramento, da muri a secco,
da mulattiere, da acciottolati, da vasche di raccolta di acque
sorgentizie, ecc.
E' ciò che rimane di visibile di un enorme impegno lavorativo, di
intraprendenza personale e collettiva, di costanza per una continua e
sapiente cura che si richiede per dissodare e conquistare
all'agricoltura nuove superfici, per sfruttare le risorse del bosco
tenendo a bada la sua diffusione spontanea sulle praterie destinate al
pascolo. Non disgiunta dall'attività lavorativa, la dimensione
spirituale delle popolazioni locali ha lasciato sui luoghi della fatica
quotidiana altre tracce non meno eloquenti e visibili. Il Parco
conserva un ricco patrimonio di santelle, di edicole votive, di
cappelle, di croci e di affreschi devozionali di mano artigianale sulla
facciata delle cascine sparse ovunque nel territorio a testimoniare,
quindi, l'intreccio profondo tra fede e vita quotidiana. Affreschi
raffiguranti la Madonna col Bambino ed i santi della devozione
pastorale, come S. Rocco e S. Antonio abate, rappresentano molto più di
una devozione esplicita: sono l'affidamento ad una protezione
trascendente di tutta l'esistenza personale e familiare che fa corpo
unico con il buon andamento dei raccolti o la salute delle mandrie.
A Rogno l'insediamento umano ha origini remote, addirittura preistoriche se ci si riferisce a quanto è emerso dagli scavi archeologici condotti negli anni '80 sul Coren Pagà, un aereo spuntone roccioso che si erge sul pendio tra Rogno e Monti. Sulla sommità pianeggiante ed in alcuni anfratti che hanno conservato materiali e resti di pasto gettati dall'alto, sono stati trovati ceramica preistorica, ossi, manufatti in selce e metalli. Numerose incisioni rupestri presenti sulle rocce vanno ad arricchire il già sorprendente e celebrato patrimonio petroglifico camuno.
Sono veramente numerose le santelle che si incontrano agli incroci e lungo le mulattiere di tutto il Parco e solo un puntuale lavoro di censimento e posizionamento cartografico potrà fornire l'idea esatta della loro diffusione. Se la dedicazione è spesso riferita alla Madonna ed ai santi della tradizione pastorale, spesso il motivo dell'erezione è legato allo scioglimento di un voto fatto da singole persone in condizioni di pericolo bellico o di angustia per la prigionia subita (santella in località Plaza, Monti). In alcuni casi la costruzione si deve alla proverbiale intraprendenza del corpo degli Alpini, come la chiesetta eretta a Pozza d'Aste di Bossico.
In Val Supine, lungo il sentiero di Valder, sono ancora visibili i resti di alcune "calchere" per la produzione della calce che hanno utilizzato la roccia calcarea locale e sfruttato la legna dei boschi vicini. Altre interessanti calchere si trovano a Ceratello in località Stremazzano e in Valle dell'Orso, nel cuore della valle poco sopra la strada che collega le due frazioni di Rogno. Per tutte si pone urgente la necessità del loro recupero prima che il degrado possa portare ad una irrimediabile perdita del manufatto. Altri segni inequivocabili dell'attività economica legata all'utilizzazione dei boschi è la presenza sui sentieri che intersecano i boschi del Parco, specie nella fascia della faggeta, di numerose piazzole dette "aial" o "aral" sulle quali veniva eretto il "poiat", un cumulo di legna opportunamente disposta e coperta di terra, che dopo alcuni giorni, attraverso un processo controllato di combustione in carenza di ossigeno, sarebbe diventata carbone di legna.
A Lovere, un antico acquedotto ottocentesco che alimentava il Convento dei Frati Cappuccini con le acque captate sopra la località Carassone, attraversa l'intera pendice del M. Cala fungendo da guida al sentiero, detto appunto del Dugal. La canaletta è un manufatto in pietra, a sezione quadrata di circa 20 cm di lato e con abbondanti incrostazioni carbonatiche; i tre blocchi di pietra di forma appiattita che costituiscono la canaletta sono ricoperti da un quarto blocco anch'esso sigillato con impasto di calce per la tenuta dell'acqua. A Pianico, in un terrazzo a ridosso dell'alveo del Borlezza, una breve galleria interrotta per frana è tutto ciò che rimane di un'antica presa d'acquedotto.
In Val Supine sorgeva, attorno al 1935 in località Dossarole, il primo rifugio del territorio, la Capanna Rodari, dal nome del fondatore del primo gruppo alpinistico loverese (1931), divenuto punto di riferimento escursionistico prima dell'affermazione della locale sezione del Club Alpino Italiano. La struttura è stata incendiata nel 1943, in un'azione di rappresaglia fascista nella lotta partigiana e poi ricostruita, conservando la scritta in facciata appena leggibile. In memoria della M.O. Leonida Magnolini è stato eretto l'omonimo rifugio, inaugurato nel 1948 e dedicato ai caduti della Seconda Guerra Mondiale di Lovere e di Costa Volpino. La struttura è proprietà del CAI di Lovere e negli anni è diventata meta di tante escursioni estive ed invernali.