Il torrente Stirone nasce dal Monte Santa Cristina, a 963 m di
altitudine nel Comune di Pellegrino Parmense; si sviluppa per una
lunghezza di circa 55 km, tracciando quasi per intero il confine tra le
province di Parma e Piacenza, per poi confluire nel fiume Taro, del
quale è uno dei maggiori tributari di sponda sinistra. Presenta un
bacino idrografico di limitata estensione territoriale (circa 300 kmq);
il suo regime è caratterizzato da una distribuzione delle portate annue
con due massimi, uno autunnale e uno primaverile, e due minimi, uno
estivo e uno invernale. Le caratteristiche idrogeologiche del Parco
sono strettamente legate alla sua posizione intermedia tra l'Appennino
e la zona di alta pianura, fascia caratterizzata dalla presenza di
sedimenti ghiaiosi e sabbiosi della conoide alluvionale depositati dal
torrente durante il periodo dell'0locene (il cui inizio è datato a
10.000 anni fa). La conoide è inoltre caratterizzata da vaste aree
terrazzate, la cui origine è da ricondursi all'intensa erosione operata
dalle acque del torrente all'interno dei propri depositi.
L'attuale
assetto geomorfologico del corso d'acqua è dovuto alle escavazioni di
ghiaia avvenute negli anni '50 - '60 per l'avvio della costruzione
dell'Autostrada del Sole. Gli scavi operati furono troppo pesanti per
un torrente con un bacino idrografico così modesto e con scarse
capacità di ripristinare naturalmente il materiale litoide asportato.
Infatti il materasso ghiaioso fu talmente impoverito da scomparire e la
sottostante argilla, meno resistente, fu facilmente sottoposta
all'azione erosiva delle acque. Gli effetti di questa erosione si
manifestarono a partire dalla fine degli anni '50 nella zona di
Laurano, per poi propagarsi verso monte secondo un processo di erosione
"regressiva"; l'incisione operata dal corso d'acqua è stata tale da
conferire al torrente l'aspetto di un piccolo canyon nel tratto
compreso tra le località San Nicomede e Laurano.
Questi processi, di per sè molto negativi in quanto segno di un grave
dissesto e di degrado, hanno tuttavia portato a un evento inaspettato
di positiva valenza ambientale: l'affioramento della successione
stratigrafica marina dello Stirone.
Il torrente Stirone è noto agli studiosi di paleontologia e oggetto di
studi scientifici di rilevanza internazionale per la presenza di
sedimenti marini particolarmente ricchi di reperti fossiliferi
riferibili al Miocene superiore, al Pliocene e al Pleistocene (i più
antichi risalirebbero a 8 milioni di anni fa, mentre i più recenti a
circa 10.000 anni fa).
La serie fossilifera ha inizio presso la
località La Bocca e termina a valle della località Laurano;
l'inclinazione verso Nord degli strati e la loro successione ordinata
consentono di ripercorrere, camminando da monte verso valle,
l'evoluzione paleoambientale e paleoclimatica che ha caratterizzato la
storia del Bacino Padano nell'arco degli ultimi 6,5 milioni di anni di
storia del Pianeta.
L'area è stata spesso definita in passato "Museo all'aperto" in quanto,
in pochi chilometri, si ripercorre la storia della Terra da circa 8
milioni fino a circa 1 milione di anni fa.
Particolare attenzione merita la località Le Cascatelle (così
denominata per la presenza fino agli anni '70 di piccole cascate poi
erose dall'azione delle acque), in quanto qui è testimoniato
l'importante limite geologico che segna il passaggio tra l'era
Terziaria e l'era Quaternaria (datato a 1,8 milioni di anni fa). Questo
evento viene fatto coincidere con un generale deterioramento climatico
e con la comparsa di specie faunistiche legate a climi freddi, tra i
quali Arctica islandica, un mollusco bivalve dalla conchiglia grigia e
spessa, che vive ancora oggi nell'Atlantico Settentrionale e presente
nella successione fossilifera dello Stirone.
Lungo il versante sinistro del torrente Stirone, tra le località
Trabucchi e San Genesio, affiorano i calanchi, morfologie
caratteristiche delle formazioni argillose, costituiti da sedimenti di
mare profondo depositatisi sui fondali dell'antico oceano Tetideo
(grande bacino marino che durante l'era secondaria separava l'area
compresa tra le due masse continentali dell'Eurasia e dell'Africa) in
un'area prossima all'attuale mar Ligure.
I calanchi si presentano
come un complesso intreccio di solchi (impluvi) divisi tra loro da
ripidi versanti spesso denudati e soggetti a erosione accelerata da
parte degli agenti meteorici. La loro morfologia è determinata da due
fattori principali: la natura argillosa del substrato e l'azione
esercitata dall'acqua meteorica su tale tipo di suolo.
Oltre alla costituzione geologica e alla morfologia superficiale,
un'altra particolarità dei calanchi è rappresentata dalla vegetazione
che, per l'elevata aridità del suolo, è prevalentemente rappresentata
da specie erbacee e arbustive quali la vedovella dei prati, la
ginestra, la rosa selvatica, la sanguinella, il prugnolo, il ginepro,
il ligustro, la roverella, oltre a numerose specie di orchidee e di
graminacee. Queste piante svolgono anche l'importante ruolo di
attenuazione del fenomeno erosivo, proteggendo efficacemente l'argilla
dagli effetti del ruscellamento. I calanchi sono anche un luogo
particolarmente adatto per compiere interessanti osservazioni sulla
fauna: rapaci diurni (poiana, gheppio, albanella reale) e notturni
(allocco, barbagianni), altri numerosi uccelli (sterpazzola,
sterpazzolina, capinera, zigolo nero, ortolano), rettili (lucertole e
serpenti, quali biacco e vipera), mammiferi più o meno comuni (lepre,
faina, donnola, volpe, talpa, riccio, topo selvatico, arvicola
campestre e moscardino) e anche anfibi (rospo comune, rana verde,
raganella, tritone crestato) presenti nei torrenti e nelle pozze che
costellano i versanti argillosi.
Situata ai margini meridionali del Parco, in sponda destra del torrente
Stirone e di fronte al borgo di Vigoleno, Pietra Nera è uno sperone
roccioso dal colore scuro che spicca nell'ampia valle dello Stirone per
la sua posizione isolata, il suo aspetto spoglio e apparentemente
desolato e per le sue ripide pareti. Si tratta di un'ofiolite,
testimonianza delle più remote vicende geologiche che portarono alla
formazione dell'Appennino; rappresenta, infatti, i resti di materiali
rocciosi che nel Giurassico (periodo dell'era secondaria compreso tra
195 e 135 milioni di anni fa) formavano i fondali dell'antico oceano
Tetideo. E' un ambiente estremo che tuttavia ospita una flora
specializzata a vivere su questi particolari substrati grazie a
specifici adattamenti: si tratta di piante rupicole, di ambienti aridi
che, per favorire l'assorbimento dell'acqua e dei nutrienti, presentano
dimensioni contenute, organi aerei ridotti e aderenti al substrato,
radici allungate e robuste; inoltre, per affrontare il pericolo di
essiccamento, accumulano liquido nei loro tessuti e, per meglio
riflettere la luce e ridurre la traspirazione, sviluppano foglie
ricoperte di peli e strettamente lineari, spesso rivestite di sostanze
a funzione idrofoba.
Meritano di essere ricordati anche i molti
licheni, veri e propri colonizzatori di substrati ostili, che svolgono
l'importantissimo ruolo di disgregazione delle rocce e di preparazione
del terreno per l'insediamento di altri organismi vegetali.
Gli ambienti legati al corso d'acqua sono caratterizzati dalla presenza
di specie vegetali particolarmente esigenti di umidità, talvolta in
grado di resistere anche alla sommersione completa. Man mano che ci si
allontana dal torrente, è possibile invece osservare l'affermarsi di
specie progressivamente più adattate ad ambienti asciutti, che hanno
perfezionato strategie specifiche per superare i periodi stagionali di
crisi idrica.
Il Parco si sviluppa parallelamente al corso dello
Stirone, quindi è possibile osservare questi differenti popolamenti
vegetali partendo dalle rive e inoltrandosi verso la parte collinare
dell'area protetta.
Tra le specie arboree che costituiscono le boscaglie ripariali,
localizzate lungo le sponde del torrente fino ai primi terreni
coltivati, va ricordato il Pioppo bianco: tipica la sua corteccia
bianco-grigia, che permette di identificarlo anche a una certa
distanza; nel Parco sono presenti diversi esemplari di notevoli
dimensioni, uno dei quali, maestoso e isolato, nei pressi dell'area
attrezzata di Fidenza. Ma i pioppi bianchi più famosi dell'area
protetta erano senz'altro i tre individui presenti nei pressi di
Scipione Ponte, in località La Ronsona: si trattava di alberi di
eccezionale valore paesaggistico, censiti e tutelati dalla Regione
Emilia-Romagna come "piante monumentali". Dei "Tre Pioppi", come erano
abitualmente chiamati, uno solo risulta oggi ancora in piedi: gli altri
due, crollati al suolo negli ultimi anni per il degrado del legno
provocato dal fungo Perenniporia fraxinea, sono tuttora visibili sul
terreno, dove proseguono, secondo i cicli naturali, il loro ruolo di
creazione di nuova sostanza organica per l'ecosistema. I "Tre Pioppi"
dominavano un bosco ripariale sensibilmente più giovane, essendo
sopravvissuti ai disboscamenti del recente passato, prima
dell'istituzione del Parco dello Stirone. Le loro radici giungevano a
80 metri di distanza, su terreni oggi coltivati.
Nei pressi di questi alberi, il Consorzio del Parco ha eseguito nel
1996 un intervento di ingegneria naturalistica, per consolidare una
sponda ed eliminare i resti di una vecchia discarica di inerti.
Tipici dell'ambiente ripariale sono anche i salici (genere Salix):
numerose specie, alcune arboree, altre arbustive, vivono nel Parco,
sempre a contatto con il corso d'acqua o con zone umide, come i
laghetti artificiali al servizio delle aziende agricole. Decisamente
straordinaria è la capacità dei salici di diffondersi e colonizzare
nuovi ambienti, anche attraverso singoli rami (talee) che si staccano
ed emettono proprie radici, creando un nuovo individuo. Questa
caratteristica è ampiamente utilizzata anche dall'uomo, che diffonde i
salici con questo metodo negli interventi di ripristino ambientale,
garantendo la rapida copertura delle sponde e dei terreni da
consolidare. Vi sono specie che tendono ad assumere portamento arboreo,
quali il Salice bianco e il Salicone, e specie tipicamente arbustive
quali il Salice rosso, il Salice di ripa e il Salice da ceste. Le acque
stagnanti sono rapidamente colonizzate dalla Tifa, talmente tipica
dell'ambiente fluviale da essere stata inserita nel simbolo del Parco
dello Stirone. Si tratta di una pianta di notevoli dimensioni,
facilmente riconoscibile per la presenza delle tipiche spighe (i fiori
femminili), che raggiungono i 15 centimetri di lunghezza. All'inizio
queste spighe sono verdi, poi maturano, diventano marroni e si aprono,
liberando nella stagione invernale moltissimi piccoli semi che vengono
diffusi dal vento. Nel settore di pianura, al di là della stretta
fascia fluviale, la presenza di aree boscate è piuttosto scarsa e
limitata a piccoli querceti residui, tipicamente dominati dalla Farnia,
accompagnata da altre specie arboree come Rovere, Olmo minore, Acero
campestre e Carpino bianco. Tra gli arbusti, di enorme importanza per
l'ecosistema in quanto consentono la sopravvivenza di molti animali,
vertebrati e invertebrati, fornendo loro cibo e siti vitali, sono
presenti Ligustro, Prugnolo, Sanguinello, Fusaggine e Biancospino. Un
po' ovunque è diffusa la Robinia, localmente nota come "gaggìa", una
specie nordamericana naturalizzata ormai in tutta Europa, che tende a
inserirsi nei querceti e a dominare le specie autoctone grazie a una
crescita rapidissima e a una grande capacità di diffusione (semi,
polloni radicali e polloni da ceppaia).
La fascia collinare presenta una copertura vegetale abbastanza continua
costituita ancora da querceti, dominati questa volta dalla Roverella e,
nei terreni argillosi, dal Cerro. Le querce si distinguono tra loro per
diversi caratteri specifici, anche se non sono rari i casi di esemplari
che presentano un aspetto intermedio, forse dovuto a incroci più o meno
recenti. La forma delle foglie, ad esempio, tipicamente lobate, è
spesso considerata uno dei fattori distintivi, ma in realtà non sempre
è così: a volte si può osservare una certa variabilità addirittura
sullo stesso individuo.
Tra le specie presenti nel Parco, il
Cerro ha le foglie piuttosto allungate, con lobi poco pronunciati e
semi (ghiande) con una cupola rivestita da lunghe squame; la Farnia
presenta foglie con picciolo corto e ghiande portate da lunghi
peduncoli; la Rovere ha foglie con lobi poco profondi e ghiande portate
da peduncoli molto brevi; la Roverella è sempre caratterizzata dalla
presenza di fitti peli sui rami e sulla pagina inferiore delle foglie,
che appaiono vellutati al tatto.
Le querce dei boschetti collinari sono accompagnate dal Carpino nero,
dall'Orniello e da numerose specie di arbusti, tra le quali il
Corniolo, la Ginestra, lo Scotano, la Rosa canina e il Ginepro. Non
vanno dimenticate le specie erbacee che costituiscono lo strato
inferiore dei boschi e degli arbusteti, come i diversi anemoni, il
Bucaneve, la Primula, l'Erba trinità, la Polmonaria, il Dente di cane,
la Scilla, la Peonia e lo splendido Dittamo. Molte di queste specie
sono tutelate su tutto il territorio della Regione Emilia-Romagna,
indipendentemente dalla presenza di aree protette, a testimonianza
dell'enorme valore estetico e conservazionistico da esse rivestito.
Sono particolarmente protette anche le Orchidee, che rappresentano uno
dei gruppi floristici maggiormente conosciuti; il Parco ospita numerose
specie, tra le quali alcune molto evidenti per le loro dimensioni e il
loro aspetto, altre molto meno appariscenti, ma non per questo di
minore importanza.
Molto localizzato sul territorio del Parco è il castagneto, presente
soltanto sul monte Santo Stefano e in poche altre zone collinari; le
vecchie piante di Castagno superstiti, residui dei vecchi impianti da
frutto ormai abbandonati, rappresentano un ambiente di vita molto
importante per la piccola fauna di mammiferi, uccelli e invertebrati
che trovano rifugio nelle numerose cavità presenti nei fusti e nelle
ceppaie.
Il Parco dello Stirone è caratterizzato da una fauna abbastanza ricca e diversificata: il torrente crea numerosi microambienti di grande interesse per gli animali, che vi trovano cibo, rifugio e siti adatti alla riproduzione; tutto ciò contribuisce ad accrescere la biodiversità, cioè la ricchezza di vita nel Parco. Le specie di Vertebrati oggi segnalate sono 239.
Le acque del torrente ospitano un'interessante fauna ittica, che comprende Cavedano, Vairone, Barbo, Cobite, Lasca e Ghiozzo di fiume, quest'ultima specie esclusiva della pianura padana. L'alveo del torrente, le sue rive e i laghetti artificiali ospitano molti uccelli, tra i quali l'Airone cenerino, la Garzetta, la Nitticora, il Germano reale, la Folaga, la Gallinella d'acqua e il Tuffetto. Le sponde interessate dall'erosione offrono al Martin pescatore siti riproduttivi e ottimi posatoi per l'avvistamento e la cattura delle prede. In primavera le acque correnti e le pozze, che si formano ai lati del corso d'acqua, ospitano diverse specie di anfibi (Rospo comune, Rana verde, Rana agile, Tritone crestato, Tritone punteggiato e Tritone alpestre) e di invertebrati (come ad esempio libellule e farfalle). Il greto è anche l'ambiente preferito da due rettili: la Biscia dal collare e la più rara Biscia viperina.
Le formazioni forestali, che affiancano il torrente nel suo percorso
verso la pianura, costituiscono uno degli ambienti maggiormente ricchi
di fauna. Qui vivono predatori come lo Sparviere, il Lodolaio,
l'Assiolo, il Gufo comune, la Faina e la Donnola, insieme a specie dal
regime alimentare più variato, come il Tasso, e a roditori come lo
Scoiattolo, l'Istrice, il Ghiro, il Moscardino e il Topo selvatico.
Tra gli uccelli, il Picchio verde, il Picchio rosso maggiore, il
Picchio rosso minore e molti passeriformi, tra i quali Rigogolo,
Usignolo, Capinera, Pettirosso e Luì piccolo. I querceti della fascia
pianeggiante ospitano la Poiana, la Ghiandaia, la Cinciallegra e la
Cinciarella, oltre a piccoli mammiferi, come il Toporagno comune. I
querceti delle aree collinari sono ambienti di caccia del Saettone,
dell'Upupa e del Succiacapre. La Volpe si trova un po' dappertutto,
dalle sponde alle aree coltivate e ai boschi, ambienti frequentati
anche dal Cinghiale. Il castagneto, poco diffuso nel Parco, ospita
l'Allocco e il Picchio muratore.
Gli agro-ecosistemi, molto semplificati rispetto agli ambienti naturali, sono abitati da specie che utilizzano le colture e i residui spazi naturali, come il Riccio, la Talpa, la Lepre, il Fagiano, la Quaglia, la Tortora, il Cardellino, l'Allodola, la Cutrettola, il Saltimpalo e lo Strillozzo. Dove i terreni agricoli sono circondati da siepi e filari, troviamo il Cuculo, la Civetta, la Cornacchia grigia e la Gazza. I campi sono terreno di caccia anche per specie rare che capitano occasionalmente nel Parco, come la Cicogna e la Cicogna nera.
Alcuni rettili frequentano le zone coperte prevalentemente da vegetazione erbacea: la Lucertola muraiola, la Lucertola campestre, il Ramarro e la Vipera, unica specie velenosa del Parco. Il predatore alato che frequenta più spesso gli ambienti aperti è il Gheppio, un piccolo falco abbastanza comune.
I piccoli agglomerati rurali del Parco ospitano specie comuni, come il Passero, la Passera mattugia, il Rondone, la Rondine, il Balestruccio, il Merlo, la Tortora dal collare, ma anche altri uccelli meno conosciuti, tra i quali il Codirosso e il Pigliamosche. Nelle soffitte e nei fienili non è raro il Barbagianni, cacciatore notturno come il Pipistrello nano. Il castello di Vigoleno, infine, ospita, oltre ai numerosi e onnipresenti piccioni, una colonia di Taccole, piccoli Corvidi dal verso caratteristico.
Nidificante nel Parco dal 1984, è oggi una delle specie più
significative dell'area protetta. La popolarità di questo uccello è
dovuta in gran parte al suo aspetto: non passa infatti certamente
inosservato con gli splendidi colori del suo piumaggio, dal
verde-azzurro brillante al giallo oro, che ne fanno uno dei più vistosi
elementi dell'avifauna europea. E ad accrescere il suo ruolo-simbolo
del Parco dello Stirone contribuiscono le abitudini riproduttive: il
Gruccione si riproduce infatti in colonie lungo il torrente, sulle
sponde rese verticali dall'erosione in atto, proprio in corrispondenza
delle località di interesse paleontologico. Migratore ed estivo,
diffuso come nidificante, sia pure in modo localizzato su quasi tutta
la penisola, in Sicilia e in Sardegna, il Gruccione ha ampliato il
proprio areale di diffusione nella Pianura Padana a partire dalla metà
degli anni '80. Costruisce i propri nidi scavando lunghe gallerie
orizzontali o leggermente inclinate nei terreni sabbiosi e argillosi,
con uno o più fori di ingresso sull'esterno.
Il Parco gli offre
una buona disponibilità di prede (libellule, vespe, api, farfalle),
tanto che la specie ha mostrato anche da noi negli ultimi anni un
evidente incremento numerico, giungendo a circa 150 coppie suddivise in
diversi nuclei riproduttivi. Questi uccelli si possono osservare nel
Parco a partire dalla prima decade di maggio, anche se talvolta qualche
soggetto in migrazione è già presente alla fine di aprile; il volo è
molto caratteristico e prevede una continua alternanza tra rapide
battute d'ala e lunghe planate, nel corso delle quali i colori
brillanti vengono messi in mostra. Lo scavo dei nidi inizia
immediatamente dopo l'arrivo: in pochi giorni vengono scelte le pareti
più adatte, quasi sempre su tratti di sponda con esposizione Est o Sud,
e la costruzione può proseguire fino ai primi di giugno. Gli
accoppiamenti avvengono nella seconda metà di maggio, mentre le prime
nascite (da 5 a 7 piccoli per nido) avvengono nella seconda metà di
giugno; i movimenti migratori autunnali si registrano nel mese di
settembre e portano gli uccelli in Africa per trascorrere la stagione
invernale.
I gruccioni possono essere osservati facilmente mentre cacciano in volo
sui terreni agricoli circostanti il torrente o sui loro posatoi
abituali, costituiti dalle radici dei salici che emergono dai tratti
della sponda in erosione, dalle cime secche dei pioppi e di altri
alberi morti, dai fili elettrici. E' facile anche ascoltarne il tipico
verso di richiamo, emesso di frequente per tutta la stagione
riproduttiva.
Il Consorzio del Parco tutela con particolare attenzione questa specie,
già protetta a livello nazionale e internazionale dalle normative
vigenti: le colonie riproduttive vengono dunque costantemente
monitorate e seguite per valutare l'opportunità di eventuali interventi
specifici di conservazione. Osservandone il comportamento nei confronti
dell'uomo si è notato che il momento più delicato coincide con la
formazione della colonia e lo scavo dei nidi: in questa fase gli
uccelli appaiono particolarmente disturbati dalla presenza costante dei
visitatori sui terreni circostanti. E' importante dunque il controllo
del movimento turistico nei pressi delle colonie: nella stagione estiva
si provvede pertanto alla chiusura di alcuni sentieri, intensificando
nello stesso tempo la sorveglianza nei pressi delle pareti occupate dai
nidi. E' importante anche la riqualificazione vegetazionale del
territorio in modo da assicurare la massima naturalità delle aree
circostanti il torrente, fondamentali ambiti di caccia per l'avifauna
insettivora.
Per l'ente gestore di un parco fluviale, la tutela degli ambienti
legati al corso d'acqua è uno degli obiettivi fondamentali e nello
stesso tempo uno dei compiti più impegnativi. Nel Parco la zona A (di
protezione integrale) e la zona B (di protezione generale) coincidono
con l'alveo del torrente Stirone e con la fascia immediatamente
circostante, comprendente le rive periodicamente inondate, le pareti
spondali in erosione e la fascia boscata ripariale. Si tratta di aree
interessate dalla presenza di ecosistemi particolarmente fragili: ogni
corso d'acqua è infatti un ambiente aperto molto sensibile agli
influssi esterni, che possono danneggiare irreparabilmente la vita
stessa delle piante e degli animali.
Il torrente Stirone nasce dal
Monte Santa Cristina a 963 m di altitudine nel Comune di Pellegrino
Parmense e si sviluppa per una lunghezza di circa 55 km, facendo per un
lungo tratto da confine tra le province di Parma e Piacenza per poi
confluire nel fiume Taro, del quale è uno dei maggiori tributari di
sponda sinistra. Lungo i 15 chilometri del torrente che fanno parte del
Parco, da La Villa a Fidenza, il corso d'acqua mostra la capacità di
creare ambienti molto diversi a seconda della stagione: le piene
primaverili e autunnali, brevi e intense, modellano il paesaggio e la
morfologia delle sponde, mentre le magre estive asciugano quasi
completamente l'alveo. In questi momenti difficili la salvezza per
molti organismi viventi è rappresentata dalle piccole pozze che
permangono ai margini del torrente permettendo la sopravvivenza a pesci
e invertebrati, che richiamano a loro volta i rispettivi predatori,
come ad esempio gli aironi e gli uccelli insettivori. Il corso d'acqua
ospita tra l'altro molti interessanti invertebrati che vengono
utilizzati per conoscere la qualità delle acque, in quanto mostrano una
particolare sensibilità all'inquinamento. Tra questi organismi,
indicatori di buona qualità ambientale, va ricordato il Gambero di
fiume, un tempo molto frequente, poi quasi scomparso e oggi nuovamente
presente nel Parco, a dimostrare il recente miglioramento delle
condizioni delle acque.
Si tratta della formazione forestale presente lungo le "ripe" dei corsi d'acqua, che si impianta sui terrazzi più sollevati, invasi dalle acque soltanto durante le piene. La zona più prossima al torrente è dominata da piante arbustive igrofile, ossia amanti dell'umidità, ed è caratterizzata dalla dominanza dei salici, i cui fusti flessibili possono resistere all'irruenza delle piene e a brevi periodi di sommersione. A maggiore distanza dall'acqua si trova una zona di bosco vero proprio, con specie arboree ancora igrofile (Salice bianco, Pioppo bianco, Pioppo nero, Ontano nero). In qualche caso appaiono anche le specie tipiche delle foreste planiziali che un tempo ricoprivano la Pianura Padana: Farnia, Carpino bianco, Acero campestre, Olmo campestre. Anche il sottobosco appare particolarmente ricco di specie; tra le più comuni è possibile riconoscere il Biancospino, la Frangola, il Corniolo, la Lantana, il Nocciolo. Un ambiente così vario e ben strutturato da un punto di vista vegetazionale ospita una fauna molto ricca di specie in cui sono rappresentati tutti i gruppi più importanti del regno animale, dagli organismi più semplici a quelli più complessi (insetti, ragni, molluschi, anfibi, rettili, uccelli, mammiferi). I boschi ripariali nel Parco si trovano lungo quasi tutto il corso del torrente, con la sola esclusione dei tratti dove l'attività agricola, spintasi fino alle rive, ha eliminato del tutto la componente arborea.
I boschi di latifoglie si trovano nel settore collinare del Parco, visto che i querceti planiziali sono praticamente scomparsi da lungo tempo a vantaggio dell'agricoltura e degli insediamenti umani. La specie arborea più diffusa è senz'altro la Roverella, insieme a numerose specie arbustive ed erbacee.
La presenza dell'uomo nel territorio del Parco e nelle zone limitrofe
risale al Paleolitico inferiore (150.000 a.C.) con il ritrovamento di
manufatti in prossimità dei vecchi alvei fluviali, dai quali la
popolazione otteneva pietrame per fabbricare attrezzi e utensili. I
primi insediamenti sorgevano nella fascia pedemontana tra la media
pianura e i primi terrazzi fluviali, in quanto questa area era più
stabile rispetto alla pianura caratterizzata da processi evolutivi; le
popolazioni vivevano principalmente di caccia, pesca e raccolta dei
frutti spontanei, mentre l'allevamento non era ancora pienamente
sviluppato.
L'età del Bronzo (circa 2000 a.C.) vide lo sviluppo
della civiltà terramaricola, che portò a un forte incremento
demografico nell'area padana (con il termine "terramare" i contadini
erano soliti indicare cumuli di terra scura particolarmente ricchi di
depositi organici, in quanto derivati dal progressivo disfacimento dei
villaggi preistorici e utilizzati come fertilizzanti). I villaggi delle
popolazioni terramaricole erano ubicati nella fascia collinare e in
pianura e organizzati su palafitte in prossimità dei corsi d'acqua. In
questo periodo l'attività agricola subì una forte intensificazione con
l'introduzione dell'aratro, evento che determinò anche l'inizio di
un'intensa opera di disboscamento delle zone di pianura e di un'intensa
modificazione dei luoghi. In seguito il territorio fu interessato dalla
cultura etrusca, testimoniata da diversi ritrovamenti, e
successivamente, a partire dal II sec. a.C., dalla dominazione romanica
che portò notevoli cambiamenti: l'agricoltura venne ordinata con la
centuriazione, vennero intensificati i disboscamenti, si bonificarono
paludi e si diede inizio alla regimazione dei corsi d'acqua.
L'interesse dei Romani per un territorio ancora selvaggio fu accentuato
dalla presenza nella zona del sale, probabilmente accumulato in veri e
propri depositi formatisi per l'evaporazione di acqua sorta, sotto la
spinta di gas, dal sottosuolo. Del periodo romano è la fondazione di
Fidenza, nata come colonia avente la funzione di posto di controllo del
ponte sullo Stirone (di questo è ancora visibile un'arcata sotto la
porta medievale, a poca distanza dalla cattedrale) e importante
crocevia per i collegamenti nord-sud. La città, dopo un periodo
fiorente nel I sec. d.C., andò incontro nel II sec. d.C. a una crisi
economica che portò a un generale decadimento e a una regressione
dell'economia. Nel III sec. d.C. cominciarono le grandi invasioni
barbariche provenienti dal Nord e Fidenza venne più volte distrutta; in
seguito con il diffondersi del Cristianesimo il nome della cittadina
venne cambiato in Borgo e poi in Borgo San Donnino, in onore del
soldato-martire decapitato sulle rive del torrente Stirone; solamente
nel 1927 si ritornerà all'originario nome di Fidenza.
La decadenza dell'Impero Romano (III sec. d.C.), determinata dalle
invasioni dei barbari, coincise con una serie di calamità naturali,
quali alluvioni, siccità e pestilenze. I Longobardi dominarono queste
zone dalla fine del VI sec. al VIII sec. e il territorio venne
suddiviso in Ducati; la valle dello Stirone ricominciò a popolarsi,
nelle zone rivierasche le case-torri presero il posto delle capanne e
gli insediamenti isolati vennero sostituiti con i piccoli borghi,
tutt'oggi esistenti. Questa lunga dominazione venne interrotta alla
fine del VIII sec. dai Franchi.
Dopo l'anno Mille si verificò un generale risveglio economico, una
notevole crescita demografica e un forte aumento del potere feudatario;
inoltre nel periodo compreso tra l'XI e il XIV sec. nacquero i Comuni e
il patrimonio storico-culturale si arricchì grazie alla costruzione di
chiese e fortificazioni, quali il borgo di Vigoleno e l'abbazia di
Chiaravalle della Colomba. Tra l'XI e il XIX sec. le vicende storiche
locali furono legate al nome di diverse famiglie, quali i Pallavicino,
gli Scotti, i Visconti, gli Sforza, i Farnese e i Borboni e alla
costituzione nel 1545 del Ducato di Parma e Piacenza, che durò fino al
1859, anno in cui fu annesso al Regno D'Italia.
(Testi a cura di Sergio Tralongo e Monica Dominici)