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L'Area Protetta

Carta d'identità

  • Superficie a terra: 2'190.27 ha
  • Area contigua: 525.54 ha
  • Flora protetta: 4 specie
  • Fauna protetta: 93 specie
  • Habitat: 13 tipi
  • Regioni: Emilia Romagna
  • Province: Parma, Piacenza
  • Comuni: Alseno, Carpaneto Piacentino, Castell'Arquato, Fidenza, Gropparello, Lugagnano Val d'Arda, Salsomaggiore Terme, Vernasca
  • Provv.ti istitutivi: LR 24 23/12/2011
  • Elenco Ufficiale AP: EUAP0176

 

 

Aspetti morfologici, paleontologici e geologici


La morfologia fluviale e l'erosione

Il torrente Stirone nasce dal Monte Santa Cristina, a 963 m di altitudine nel Comune di Pellegrino Parmense; si sviluppa per una lunghezza di circa 55 km, tracciando quasi per intero il confine tra le province di Parma e Piacenza, per poi confluire nel fiume Taro, del quale è uno dei maggiori tributari di sponda sinistra. Presenta un bacino idrografico di limitata estensione territoriale (circa 300 kmq); il suo regime è caratterizzato da una distribuzione delle portate annue con due massimi, uno autunnale e uno primaverile, e due minimi, uno estivo e uno invernale. Le caratteristiche idrogeologiche del Parco sono strettamente legate alla sua posizione intermedia tra l'Appennino e la zona di alta pianura, fascia caratterizzata dalla presenza di sedimenti ghiaiosi e sabbiosi della conoide alluvionale depositati dal torrente durante il periodo dell'0locene (il cui inizio è datato a 10.000 anni fa). La conoide è inoltre caratterizzata da vaste aree terrazzate, la cui origine è da ricondursi all'intensa erosione operata dalle acque del torrente all'interno dei propri depositi.
L'attuale assetto geomorfologico del corso d'acqua è dovuto alle escavazioni di ghiaia avvenute negli anni '50 - '60 per l'avvio della costruzione dell'Autostrada del Sole. Gli scavi operati furono troppo pesanti per un torrente con un bacino idrografico così modesto e con scarse capacità di ripristinare naturalmente il materiale litoide asportato. Infatti il materasso ghiaioso fu talmente impoverito da scomparire e la sottostante argilla, meno resistente, fu facilmente sottoposta all'azione erosiva delle acque. Gli effetti di questa erosione si manifestarono a partire dalla fine degli anni '50 nella zona di Laurano, per poi propagarsi verso monte secondo un processo di erosione "regressiva"; l'incisione operata dal corso d'acqua è stata tale da conferire al torrente l'aspetto di un piccolo canyon nel tratto compreso tra le località San Nicomede e Laurano.
Questi processi, di per sè molto negativi in quanto segno di un grave dissesto e di degrado, hanno tuttavia portato a un evento inaspettato di positiva valenza ambientale: l'affioramento della successione stratigrafica marina dello Stirone.

Foto di Aspetti morfologici, paleontologici e geologiciFoto di Aspetti morfologici, paleontologici e geologici
 

L'evoluzione attraverso i fossili

Il torrente Stirone è noto agli studiosi di paleontologia e oggetto di studi scientifici di rilevanza internazionale per la presenza di sedimenti marini particolarmente ricchi di reperti fossiliferi riferibili al Miocene superiore, al Pliocene e al Pleistocene (i più antichi risalirebbero a 8 milioni di anni fa, mentre i più recenti a circa 10.000 anni fa).
La serie fossilifera ha inizio presso la località La Bocca e termina a valle della località Laurano; l'inclinazione verso Nord degli strati e la loro successione ordinata consentono di ripercorrere, camminando da monte verso valle, l'evoluzione paleoambientale e paleoclimatica che ha caratterizzato la storia del Bacino Padano nell'arco degli ultimi 6,5 milioni di anni di storia del Pianeta.
L'area è stata spesso definita in passato "Museo all'aperto" in quanto, in pochi chilometri, si ripercorre la storia della Terra da circa 8 milioni fino a circa 1 milione di anni fa.
Particolare attenzione merita la località Le Cascatelle (così denominata per la presenza fino agli anni '70 di piccole cascate poi erose dall'azione delle acque), in quanto qui è testimoniato l'importante limite geologico che segna il passaggio tra l'era Terziaria e l'era Quaternaria (datato a 1,8 milioni di anni fa). Questo evento viene fatto coincidere con un generale deterioramento climatico e con la comparsa di specie faunistiche legate a climi freddi, tra i quali Arctica islandica, un mollusco bivalve dalla conchiglia grigia e spessa, che vive ancora oggi nell'Atlantico Settentrionale e presente nella successione fossilifera dello Stirone.

Uno dei calanchi localizzati in sponda piacentina
Uno dei calanchi localizzati in sponda piacentina
Il canyon creato dal torrente Stirone in località Cascatelle
Il canyon creato dal torrente Stirone in località Cascatelle
 

I calanchi in località Trabucchi

Lungo il versante sinistro del torrente Stirone, tra le località Trabucchi e San Genesio, affiorano i calanchi, morfologie caratteristiche delle formazioni argillose, costituiti da sedimenti di mare profondo depositatisi sui fondali dell'antico oceano Tetideo (grande bacino marino che durante l'era secondaria separava l'area compresa tra le due masse continentali dell'Eurasia e dell'Africa) in un'area prossima all'attuale mar Ligure.
I calanchi si presentano come un complesso intreccio di solchi (impluvi) divisi tra loro da ripidi versanti spesso denudati e soggetti a erosione accelerata da parte degli agenti meteorici. La loro morfologia è determinata da due fattori principali: la natura argillosa del substrato e l'azione esercitata dall'acqua meteorica su tale tipo di suolo.
Oltre alla costituzione geologica e alla morfologia superficiale, un'altra particolarità dei calanchi è rappresentata dalla vegetazione che, per l'elevata aridità del suolo, è prevalentemente rappresentata da specie erbacee e arbustive quali la vedovella dei prati, la ginestra, la rosa selvatica, la sanguinella, il prugnolo, il ginepro, il ligustro, la roverella, oltre a numerose specie di orchidee e di graminacee. Queste piante svolgono anche l'importante ruolo di attenuazione del fenomeno erosivo, proteggendo efficacemente l'argilla dagli effetti del ruscellamento. I calanchi sono anche un luogo particolarmente adatto per compiere interessanti osservazioni sulla fauna: rapaci diurni (poiana, gheppio, albanella reale) e notturni (allocco, barbagianni), altri numerosi uccelli (sterpazzola, sterpazzolina, capinera, zigolo nero, ortolano), rettili (lucertole e serpenti, quali biacco e vipera), mammiferi più o meno comuni (lepre, faina, donnola, volpe, talpa, riccio, topo selvatico, arvicola campestre e moscardino) e anche anfibi (rospo comune, rana verde, raganella, tritone crestato) presenti nei torrenti e nelle pozze che costellano i versanti argillosi.

Sponda in erosione
Sponda in erosione
 

L'ofiolite di Pietra Nera

Situata ai margini meridionali del Parco, in sponda destra del torrente Stirone e di fronte al borgo di Vigoleno, Pietra Nera è uno sperone roccioso dal colore scuro che spicca nell'ampia valle dello Stirone per la sua posizione isolata, il suo aspetto spoglio e apparentemente desolato e per le sue ripide pareti. Si tratta di un'ofiolite, testimonianza delle più remote vicende geologiche che portarono alla formazione dell'Appennino; rappresenta, infatti, i resti di materiali rocciosi che nel Giurassico (periodo dell'era secondaria compreso tra 195 e 135 milioni di anni fa) formavano i fondali dell'antico oceano Tetideo. E' un ambiente estremo che tuttavia ospita una flora specializzata a vivere su questi particolari substrati grazie a specifici adattamenti: si tratta di piante rupicole, di ambienti aridi che, per favorire l'assorbimento dell'acqua e dei nutrienti, presentano dimensioni contenute, organi aerei ridotti e aderenti al substrato, radici allungate e robuste; inoltre, per affrontare il pericolo di essiccamento, accumulano liquido nei loro tessuti e, per meglio riflettere la luce e ridurre la traspirazione, sviluppano foglie ricoperte di peli e strettamente lineari, spesso rivestite di sostanze a funzione idrofoba.
Meritano di essere ricordati anche i molti licheni, veri e propri colonizzatori di substrati ostili, che svolgono l'importantissimo ruolo di disgregazione delle rocce e di preparazione del terreno per l'insediamento di altri organismi vegetali.

Ofiolite Pietra Nera
Ofiolite Pietra Nera
 

Aspetti floristici e vegetazionali


Lungo il corso d'acqua

Gli ambienti legati al corso d'acqua sono caratterizzati dalla presenza di specie vegetali particolarmente esigenti di umidità, talvolta in grado di resistere anche alla sommersione completa. Man mano che ci si allontana dal torrente, è possibile invece osservare l'affermarsi di specie progressivamente più adattate ad ambienti asciutti, che hanno perfezionato strategie specifiche per superare i periodi stagionali di crisi idrica.
Il Parco si sviluppa parallelamente al corso dello Stirone, quindi è possibile osservare questi differenti popolamenti vegetali partendo dalle rive e inoltrandosi verso la parte collinare dell'area protetta.
Tra le specie arboree che costituiscono le boscaglie ripariali, localizzate lungo le sponde del torrente fino ai primi terreni coltivati, va ricordato il Pioppo bianco: tipica la sua corteccia bianco-grigia, che permette di identificarlo anche a una certa distanza; nel Parco sono presenti diversi esemplari di notevoli dimensioni, uno dei quali, maestoso e isolato, nei pressi dell'area attrezzata di Fidenza. Ma i pioppi bianchi più famosi dell'area protetta erano senz'altro i tre individui presenti nei pressi di Scipione Ponte, in località La Ronsona: si trattava di alberi di eccezionale valore paesaggistico, censiti e tutelati dalla Regione Emilia-Romagna come "piante monumentali". Dei "Tre Pioppi", come erano abitualmente chiamati, uno solo risulta oggi ancora in piedi: gli altri due, crollati al suolo negli ultimi anni per il degrado del legno provocato dal fungo Perenniporia fraxinea, sono tuttora visibili sul terreno, dove proseguono, secondo i cicli naturali, il loro ruolo di creazione di nuova sostanza organica per l'ecosistema. I "Tre Pioppi" dominavano un bosco ripariale sensibilmente più giovane, essendo sopravvissuti ai disboscamenti del recente passato, prima dell'istituzione del Parco dello Stirone. Le loro radici giungevano a 80 metri di distanza, su terreni oggi coltivati.
Nei pressi di questi alberi, il Consorzio del Parco ha eseguito nel 1996 un intervento di ingegneria naturalistica, per consolidare una sponda ed eliminare i resti di una vecchia discarica di inerti.
Tipici dell'ambiente ripariale sono anche i salici (genere Salix): numerose specie, alcune arboree, altre arbustive, vivono nel Parco, sempre a contatto con il corso d'acqua o con zone umide, come i laghetti artificiali al servizio delle aziende agricole. Decisamente straordinaria è la capacità dei salici di diffondersi e colonizzare nuovi ambienti, anche attraverso singoli rami (talee) che si staccano ed emettono proprie radici, creando un nuovo individuo. Questa caratteristica è ampiamente utilizzata anche dall'uomo, che diffonde i salici con questo metodo negli interventi di ripristino ambientale, garantendo la rapida copertura delle sponde e dei terreni da consolidare. Vi sono specie che tendono ad assumere portamento arboreo, quali il Salice bianco e il Salicone, e specie tipicamente arbustive quali il Salice rosso, il Salice di ripa e il Salice da ceste. Le acque stagnanti sono rapidamente colonizzate dalla Tifa, talmente tipica dell'ambiente fluviale da essere stata inserita nel simbolo del Parco dello Stirone. Si tratta di una pianta di notevoli dimensioni, facilmente riconoscibile per la presenza delle tipiche spighe (i fiori femminili), che raggiungono i 15 centimetri di lunghezza. All'inizio queste spighe sono verdi, poi maturano, diventano marroni e si aprono, liberando nella stagione invernale moltissimi piccoli semi che vengono diffusi dal vento. Nel settore di pianura, al di là della stretta fascia fluviale, la presenza di aree boscate è piuttosto scarsa e limitata a piccoli querceti residui, tipicamente dominati dalla Farnia, accompagnata da altre specie arboree come Rovere, Olmo minore, Acero campestre e Carpino bianco. Tra gli arbusti, di enorme importanza per l'ecosistema in quanto consentono la sopravvivenza di molti animali, vertebrati e invertebrati, fornendo loro cibo e siti vitali, sono presenti Ligustro, Prugnolo, Sanguinello, Fusaggine e Biancospino. Un po' ovunque è diffusa la Robinia, localmente nota come "gaggìa", una specie nordamericana naturalizzata ormai in tutta Europa, che tende a inserirsi nei querceti e a dominare le specie autoctone grazie a una crescita rapidissima e a una grande capacità di diffusione (semi, polloni radicali e polloni da ceppaia).

Crocus etruscus
Crocus etruscus
Fioritura primaverile nell'area collinare del Parco
Fioritura primaverile nell'area collinare del Parco
Orchis purpurea
Orchis purpurea
 

Le aree collinari

La fascia collinare presenta una copertura vegetale abbastanza continua costituita ancora da querceti, dominati questa volta dalla Roverella e, nei terreni argillosi, dal Cerro. Le querce si distinguono tra loro per diversi caratteri specifici, anche se non sono rari i casi di esemplari che presentano un aspetto intermedio, forse dovuto a incroci più o meno recenti. La forma delle foglie, ad esempio, tipicamente lobate, è spesso considerata uno dei fattori distintivi, ma in realtà non sempre è così: a volte si può osservare una certa variabilità addirittura sullo stesso individuo.
Tra le specie presenti nel Parco, il Cerro ha le foglie piuttosto allungate, con lobi poco pronunciati e semi (ghiande) con una cupola rivestita da lunghe squame; la Farnia presenta foglie con picciolo corto e ghiande portate da lunghi peduncoli; la Rovere ha foglie con lobi poco profondi e ghiande portate da peduncoli molto brevi; la Roverella è sempre caratterizzata dalla presenza di fitti peli sui rami e sulla pagina inferiore delle foglie, che appaiono vellutati al tatto.
Le querce dei boschetti collinari sono accompagnate dal Carpino nero, dall'Orniello e da numerose specie di arbusti, tra le quali il Corniolo, la Ginestra, lo Scotano, la Rosa canina e il Ginepro. Non vanno dimenticate le specie erbacee che costituiscono lo strato inferiore dei boschi e degli arbusteti, come i diversi anemoni, il Bucaneve, la Primula, l'Erba trinità, la Polmonaria, il Dente di cane, la Scilla, la Peonia e lo splendido Dittamo. Molte di queste specie sono tutelate su tutto il territorio della Regione Emilia-Romagna, indipendentemente dalla presenza di aree protette, a testimonianza dell'enorme valore estetico e conservazionistico da esse rivestito. Sono particolarmente protette anche le Orchidee, che rappresentano uno dei gruppi floristici maggiormente conosciuti; il Parco ospita numerose specie, tra le quali alcune molto evidenti per le loro dimensioni e il loro aspetto, altre molto meno appariscenti, ma non per questo di minore importanza.
Molto localizzato sul territorio del Parco è il castagneto, presente soltanto sul monte Santo Stefano e in poche altre zone collinari; le vecchie piante di Castagno superstiti, residui dei vecchi impianti da frutto ormai abbandonati, rappresentano un ambiente di vita molto importante per la piccola fauna di mammiferi, uccelli e invertebrati che trovano rifugio nelle numerose cavità presenti nei fusti e nelle ceppaie.

Pioppo munumentale crollato
Pioppo munumentale crollato
 

Aspetti faunistici

Il Parco dello Stirone è caratterizzato da una fauna abbastanza ricca e diversificata: il torrente crea numerosi microambienti di grande interesse per gli animali, che vi trovano cibo, rifugio e siti adatti alla riproduzione; tutto ciò contribuisce ad accrescere la biodiversità, cioè la ricchezza di vita nel Parco. Le specie di Vertebrati oggi segnalate sono 239.

Faina
Faina
 

Gli ambienti umidi

Le acque del torrente ospitano un'interessante fauna ittica, che comprende Cavedano, Vairone, Barbo, Cobite, Lasca e Ghiozzo di fiume, quest'ultima specie esclusiva della pianura padana. L'alveo del torrente, le sue rive e i laghetti artificiali ospitano molti uccelli, tra i quali l'Airone cenerino, la Garzetta, la Nitticora, il Germano reale, la Folaga, la Gallinella d'acqua e il Tuffetto. Le sponde interessate dall'erosione offrono al Martin pescatore siti riproduttivi e ottimi posatoi per l'avvistamento e la cattura delle prede. In primavera le acque correnti e le pozze, che si formano ai lati del corso d'acqua, ospitano diverse specie di anfibi (Rospo comune, Rana verde, Rana agile, Tritone crestato, Tritone punteggiato e Tritone alpestre) e di invertebrati (come ad esempio libellule e farfalle). Il greto è anche l'ambiente preferito da due rettili: la Biscia dal collare e la più rara Biscia viperina.

Libellula
Libellula
 

I boschi

Le formazioni forestali, che affiancano il torrente nel suo percorso verso la pianura, costituiscono uno degli ambienti maggiormente ricchi di fauna. Qui vivono predatori come lo Sparviere, il Lodolaio, l'Assiolo, il Gufo comune, la Faina e la Donnola, insieme a specie dal regime alimentare più variato, come il Tasso, e a roditori come lo Scoiattolo, l'Istrice, il Ghiro, il Moscardino e il Topo selvatico.
Tra gli uccelli, il Picchio verde, il Picchio rosso maggiore, il Picchio rosso minore e molti passeriformi, tra i quali Rigogolo, Usignolo, Capinera, Pettirosso e Luì piccolo. I querceti della fascia pianeggiante ospitano la Poiana, la Ghiandaia, la Cinciallegra e la Cinciarella, oltre a piccoli mammiferi, come il Toporagno comune. I querceti delle aree collinari sono ambienti di caccia del Saettone, dell'Upupa e del Succiacapre. La Volpe si trova un po' dappertutto, dalle sponde alle aree coltivate e ai boschi, ambienti frequentati anche dal Cinghiale. Il castagneto, poco diffuso nel Parco, ospita l'Allocco e il Picchio muratore.

Foto di I boschi
 

Le zone coltivate

Gli agro-ecosistemi, molto semplificati rispetto agli ambienti naturali, sono abitati da specie che utilizzano le colture e i residui spazi naturali, come il Riccio, la Talpa, la Lepre, il Fagiano, la Quaglia, la Tortora, il Cardellino, l'Allodola, la Cutrettola, il Saltimpalo e lo Strillozzo. Dove i terreni agricoli sono circondati da siepi e filari, troviamo il Cuculo, la Civetta, la Cornacchia grigia e la Gazza. I campi sono terreno di caccia anche per specie rare che capitano occasionalmente nel Parco, come la Cicogna e la Cicogna nera.

Rana verde
Rana verde
 

Gli incolti

Alcuni rettili frequentano le zone coperte prevalentemente da vegetazione erbacea: la Lucertola muraiola, la Lucertola campestre, il Ramarro e la Vipera, unica specie velenosa del Parco. Il predatore alato che frequenta più spesso gli ambienti aperti è il Gheppio, un piccolo falco abbastanza comune.

 

I centri abitati

I piccoli agglomerati rurali del Parco ospitano specie comuni, come il Passero, la Passera mattugia, il Rondone, la Rondine, il Balestruccio, il Merlo, la Tortora dal collare, ma anche altri uccelli meno conosciuti, tra i quali il Codirosso e il Pigliamosche. Nelle soffitte e nei fienili non è raro il Barbagianni, cacciatore notturno come il Pipistrello nano. Il castello di Vigoleno, infine, ospita, oltre ai numerosi e onnipresenti piccioni, una colonia di Taccole, piccoli Corvidi dal verso caratteristico.

 

Il Gruccione

Nidificante nel Parco dal 1984, è oggi una delle specie più significative dell'area protetta. La popolarità di questo uccello è dovuta in gran parte al suo aspetto: non passa infatti certamente inosservato con gli splendidi colori del suo piumaggio, dal verde-azzurro brillante al giallo oro, che ne fanno uno dei più vistosi elementi dell'avifauna europea. E ad accrescere il suo ruolo-simbolo del Parco dello Stirone contribuiscono le abitudini riproduttive: il Gruccione si riproduce infatti in colonie lungo il torrente, sulle sponde rese verticali dall'erosione in atto, proprio in corrispondenza delle località di interesse paleontologico. Migratore ed estivo, diffuso come nidificante, sia pure in modo localizzato su quasi tutta la penisola, in Sicilia e in Sardegna, il Gruccione ha ampliato il proprio areale di diffusione nella Pianura Padana a partire dalla metà degli anni '80. Costruisce i propri nidi scavando lunghe gallerie orizzontali o leggermente inclinate nei terreni sabbiosi e argillosi, con uno o più fori di ingresso sull'esterno.
Il Parco gli offre una buona disponibilità di prede (libellule, vespe, api, farfalle), tanto che la specie ha mostrato anche da noi negli ultimi anni un evidente incremento numerico, giungendo a circa 150 coppie suddivise in diversi nuclei riproduttivi. Questi uccelli si possono osservare nel Parco a partire dalla prima decade di maggio, anche se talvolta qualche soggetto in migrazione è già presente alla fine di aprile; il volo è molto caratteristico e prevede una continua alternanza tra rapide battute d'ala e lunghe planate, nel corso delle quali i colori brillanti vengono messi in mostra. Lo scavo dei nidi inizia immediatamente dopo l'arrivo: in pochi giorni vengono scelte le pareti più adatte, quasi sempre su tratti di sponda con esposizione Est o Sud, e la costruzione può proseguire fino ai primi di giugno. Gli accoppiamenti avvengono nella seconda metà di maggio, mentre le prime nascite (da 5 a 7 piccoli per nido) avvengono nella seconda metà di giugno; i movimenti migratori autunnali si registrano nel mese di settembre e portano gli uccelli in Africa per trascorrere la stagione invernale.
I gruccioni possono essere osservati facilmente mentre cacciano in volo sui terreni agricoli circostanti il torrente o sui loro posatoi abituali, costituiti dalle radici dei salici che emergono dai tratti della sponda in erosione, dalle cime secche dei pioppi e di altri alberi morti, dai fili elettrici. E' facile anche ascoltarne il tipico verso di richiamo, emesso di frequente per tutta la stagione riproduttiva.
Il Consorzio del Parco tutela con particolare attenzione questa specie, già protetta a livello nazionale e internazionale dalle normative vigenti: le colonie riproduttive vengono dunque costantemente monitorate e seguite per valutare l'opportunità di eventuali interventi specifici di conservazione. Osservandone il comportamento nei confronti dell'uomo si è notato che il momento più delicato coincide con la formazione della colonia e lo scavo dei nidi: in questa fase gli uccelli appaiono particolarmente disturbati dalla presenza costante dei visitatori sui terreni circostanti. E' importante dunque il controllo del movimento turistico nei pressi delle colonie: nella stagione estiva si provvede pertanto alla chiusura di alcuni sentieri, intensificando nello stesso tempo la sorveglianza nei pressi delle pareti occupate dai nidi. E' importante anche la riqualificazione vegetazionale del territorio in modo da assicurare la massima naturalità delle aree circostanti il torrente, fondamentali ambiti di caccia per l'avifauna insettivora.

Foto di Il Gruccione
 

Gli ambienti del Parco


Il corso d'acqua

Per l'ente gestore di un parco fluviale, la tutela degli ambienti legati al corso d'acqua è uno degli obiettivi fondamentali e nello stesso tempo uno dei compiti più impegnativi. Nel Parco la zona A (di protezione integrale) e la zona B (di protezione generale) coincidono con l'alveo del torrente Stirone e con la fascia immediatamente circostante, comprendente le rive periodicamente inondate, le pareti spondali in erosione e la fascia boscata ripariale. Si tratta di aree interessate dalla presenza di ecosistemi particolarmente fragili: ogni corso d'acqua è infatti un ambiente aperto molto sensibile agli influssi esterni, che possono danneggiare irreparabilmente la vita stessa delle piante e degli animali.
Il torrente Stirone nasce dal Monte Santa Cristina a 963 m di altitudine nel Comune di Pellegrino Parmense e si sviluppa per una lunghezza di circa 55 km, facendo per un lungo tratto da confine tra le province di Parma e Piacenza per poi confluire nel fiume Taro, del quale è uno dei maggiori tributari di sponda sinistra. Lungo i 15 chilometri del torrente che fanno parte del Parco, da La Villa a Fidenza, il corso d'acqua mostra la capacità di creare ambienti molto diversi a seconda della stagione: le piene primaverili e autunnali, brevi e intense, modellano il paesaggio e la morfologia delle sponde, mentre le magre estive asciugano quasi completamente l'alveo. In questi momenti difficili la salvezza per molti organismi viventi è rappresentata dalle piccole pozze che permangono ai margini del torrente permettendo la sopravvivenza a pesci e invertebrati, che richiamano a loro volta i rispettivi predatori, come ad esempio gli aironi e gli uccelli insettivori. Il corso d'acqua ospita tra l'altro molti interessanti invertebrati che vengono utilizzati per conoscere la qualità delle acque, in quanto mostrano una particolare sensibilità all'inquinamento. Tra questi organismi, indicatori di buona qualità ambientale, va ricordato il Gambero di fiume, un tempo molto frequente, poi quasi scomparso e oggi nuovamente presente nel Parco, a dimostrare il recente miglioramento delle condizioni delle acque.

 

Il bosco ripariale

Si tratta della formazione forestale presente lungo le "ripe" dei corsi d'acqua, che si impianta sui terrazzi più sollevati, invasi dalle acque soltanto durante le piene. La zona più prossima al torrente è dominata da piante arbustive igrofile, ossia amanti dell'umidità, ed è caratterizzata dalla dominanza dei salici, i cui fusti flessibili possono resistere all'irruenza delle piene e a brevi periodi di sommersione. A maggiore distanza dall'acqua si trova una zona di bosco vero proprio, con specie arboree ancora igrofile (Salice bianco, Pioppo bianco, Pioppo nero, Ontano nero). In qualche caso appaiono anche le specie tipiche delle foreste planiziali che un tempo ricoprivano la Pianura Padana: Farnia, Carpino bianco, Acero campestre, Olmo campestre. Anche il sottobosco appare particolarmente ricco di specie; tra le più comuni è possibile riconoscere il Biancospino, la Frangola, il Corniolo, la Lantana, il Nocciolo. Un ambiente così vario e ben strutturato da un punto di vista vegetazionale ospita una fauna molto ricca di specie in cui sono rappresentati tutti i gruppi più importanti del regno animale, dagli organismi più semplici a quelli più complessi (insetti, ragni, molluschi, anfibi, rettili, uccelli, mammiferi). I boschi ripariali nel Parco si trovano lungo quasi tutto il corso del torrente, con la sola esclusione dei tratti dove l'attività agricola, spintasi fino alle rive, ha eliminato del tutto la componente arborea.

Bosco ripariale
Bosco ripariale
 

Il querceto

I boschi di latifoglie si trovano nel settore collinare del Parco, visto che i querceti planiziali sono praticamente scomparsi da lungo tempo a vantaggio dell'agricoltura e degli insediamenti umani. La specie arborea più diffusa è senz'altro la Roverella, insieme a numerose specie arbustive ed erbacee.

 

La storia del territorio

La presenza dell'uomo nel territorio del Parco e nelle zone limitrofe risale al Paleolitico inferiore (150.000 a.C.) con il ritrovamento di manufatti in prossimità dei vecchi alvei fluviali, dai quali la popolazione otteneva pietrame per fabbricare attrezzi e utensili. I primi insediamenti sorgevano nella fascia pedemontana tra la media pianura e i primi terrazzi fluviali, in quanto questa area era più stabile rispetto alla pianura caratterizzata da processi evolutivi; le popolazioni vivevano principalmente di caccia, pesca e raccolta dei frutti spontanei, mentre l'allevamento non era ancora pienamente sviluppato.
L'età del Bronzo (circa 2000 a.C.) vide lo sviluppo della civiltà terramaricola, che portò a un forte incremento demografico nell'area padana (con il termine "terramare" i contadini erano soliti indicare cumuli di terra scura particolarmente ricchi di depositi organici, in quanto derivati dal progressivo disfacimento dei villaggi preistorici e utilizzati come fertilizzanti). I villaggi delle popolazioni terramaricole erano ubicati nella fascia collinare e in pianura e organizzati su palafitte in prossimità dei corsi d'acqua. In questo periodo l'attività agricola subì una forte intensificazione con l'introduzione dell'aratro, evento che determinò anche l'inizio di un'intensa opera di disboscamento delle zone di pianura e di un'intensa modificazione dei luoghi. In seguito il territorio fu interessato dalla cultura etrusca, testimoniata da diversi ritrovamenti, e successivamente, a partire dal II sec. a.C., dalla dominazione romanica che portò notevoli cambiamenti: l'agricoltura venne ordinata con la centuriazione, vennero intensificati i disboscamenti, si bonificarono paludi e si diede inizio alla regimazione dei corsi d'acqua. L'interesse dei Romani per un territorio ancora selvaggio fu accentuato dalla presenza nella zona del sale, probabilmente accumulato in veri e propri depositi formatisi per l'evaporazione di acqua sorta, sotto la spinta di gas, dal sottosuolo. Del periodo romano è la fondazione di Fidenza, nata come colonia avente la funzione di posto di controllo del ponte sullo Stirone (di questo è ancora visibile un'arcata sotto la porta medievale, a poca distanza dalla cattedrale) e importante crocevia per i collegamenti nord-sud. La città, dopo un periodo fiorente nel I sec. d.C., andò incontro nel II sec. d.C. a una crisi economica che portò a un generale decadimento e a una regressione dell'economia. Nel III sec. d.C. cominciarono le grandi invasioni barbariche provenienti dal Nord e Fidenza venne più volte distrutta; in seguito con il diffondersi del Cristianesimo il nome della cittadina venne cambiato in Borgo e poi in Borgo San Donnino, in onore del soldato-martire decapitato sulle rive del torrente Stirone; solamente nel 1927 si ritornerà all'originario nome di Fidenza.
La decadenza dell'Impero Romano (III sec. d.C.), determinata dalle invasioni dei barbari, coincise con una serie di calamità naturali, quali alluvioni, siccità e pestilenze. I Longobardi dominarono queste zone dalla fine del VI sec. al VIII sec. e il territorio venne suddiviso in Ducati; la valle dello Stirone ricominciò a popolarsi, nelle zone rivierasche le case-torri presero il posto delle capanne e gli insediamenti isolati vennero sostituiti con i piccoli borghi, tutt'oggi esistenti. Questa lunga dominazione venne interrotta alla fine del VIII sec. dai Franchi.
Dopo l'anno Mille si verificò un generale risveglio economico, una notevole crescita demografica e un forte aumento del potere feudatario; inoltre nel periodo compreso tra l'XI e il XIV sec. nacquero i Comuni e il patrimonio storico-culturale si arricchì grazie alla costruzione di chiese e fortificazioni, quali il borgo di Vigoleno e l'abbazia di Chiaravalle della Colomba. Tra l'XI e il XIX sec. le vicende storiche locali furono legate al nome di diverse famiglie, quali i Pallavicino, gli Scotti, i Visconti, gli Sforza, i Farnese e i Borboni e alla costituzione nel 1545 del Ducato di Parma e Piacenza, che durò fino al 1859, anno in cui fu annesso al Regno D'Italia.


(Testi a cura di Sergio Tralongo e Monica Dominici)

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