(Tione di Trento, 23 Ott 19) Sativ-us/a/um: adatto a essere coltivato.
È questo il nome la tassonomia classica dà ad un particolare tipo di canapa, una pianta di quelle che danno diverse soddisfazioni a chi le coltiva e lavora. Non è più così difficile oggigiorno scorgere fra i campi della Valle del Chiese alcuni piccoli appezzamenti coltivati con questa pianta, facilmente distinguibile per l'altezza e per le foglie simili alla purtroppo più celebre Canapa Indiana.
L'idea di riiniziare la coltivazione delle Canapa Sativa è venuta tre anni fa ad un gruppo di giovani e meno giovani della zona di Storo e dintorni che hanno iniziato a chiedersi se ci potessero essere delle coltivazioni alternative al famoso Granoturco di Storo .Riiniziare appunto, perché in questa zona, come in molte altre della Riserva di Biosfera, la coltivazione della Canapa è una vecchia conoscenza dei nostri territori.
La coltivazione della canapa è documentata sin dal 1500 nei libri "Discorsi sull'opera di Dioscoride" di di Pier Andrea Mattioli, medico senese poi trasferitosi a Trento, che in una pagina e mezzo descrive i suoi svariati utilizzi, che partono dall'ambito dell'energia, arrivando agli usi in medicina umana e veterinaria. Da sempre quindi i nostri terreni si sono prestati alla coltivazione di questa pianta che fortunatamente non ha bisogno di terreni particolarmente fertili o "grassi" ma si accontenta anche dei semplici terreni ghiaiosi di fondo valle. Nella bassa Valle del Chiese dove gli stretti versanti si allargano e lasciano spazio per le coltivazioni fu un gran fiorire di coltivazioni di Canapa, coltura che raggiunse il suo apice negli anni '40 del secolo scorso, quando l'Italia, secondo i dati di allora, era la seconda produttrice mondiale di Canapa. La canapa allora era principalmente usata per la fibra che contiene all'interno del suo fusto, che diventava un vero e proprio filato, adatto poi ad essere utilizzato nell'industria tessile.
Ricavare la fibra dal duro arbusto della canapa necessitava però di un lungo periodo di macerazione in acqua dello stesso e per questo motivo venivano create delle grandi buche vicini ai corsi d'acqua dette appunto "masere" dove le piante venivano immerse e lasciate per svariati giorni Claudio, uno dei ragazzi che compongo in gruppo dei nuovi coltivatori, ci dice che a Storo era usanza raccogliere la canapa il pomeriggio del giorno di San Lorenzo rigorosamente dopo la messa della mattina. Ma come per altre coltivazioni tradizionali, gli anni '60 del secolo scorso hanno determinato un secco stop: il progressivo abbandono dell'agricoltura, ma soprattutto la grandissima concorrenza dei filati sintetici, prodotti dal petrolio, determinò un radicale abbandono della coltivazione della "sativa", rintanandola nei racconti d'infanzia dei nonni.
Vista la forza di volontà di questo gruppo di volenterosi, sembra che ci sia ancora qualche speranza di ripristino di questa coltivazione. Claudio ci racconta di come al momento ci sia in Valle del Chiese circa un ettaro coltivato a canapa, aggiungendo un particolare interessante, ovvero che i piccoli appezzamenti sono distribuiti dai 400 metri della piana di Storo fino ai 1000/1100 metri della Valle di Daone, dove nonostante l'altezza e il clima più rigido, questa pianta cresce comunque vigorosa. Claudio ci dice che al momento della pianta è per loro possibile utilizzare solo il seme e che da quello, dopo averlo essiccato, ricavano l'olio essenziale e poi la farina, mettendo poi in commercio questi prodotti sul circuito locale.
Secondo questi ragazzi i possibili sviluppi futuri di questa coltivazione raccontano con grande entusiasmo che sperano innanzitutto di tornare a ricavare la fibra dal fusto della pianta come si faceva una volta e farla lavorare per creare capi di abbigliamento o altri tessuti mentre vorrebbero utilizzare le infiorescenze della pianta per creare infusi alla canapa. Sativa, adatta ad essere coltivata e in aggiunta anche ad essere trasformata, una pianta dai mille usi.