(Tione di Trento, 05 Nov 19) Una grande scritta scarlatta, in parte sbiadita dal tempo, campeggia sopra l'ingresso di una delle case affacciate sulla piazza del paese di Tiarno di Sotto, in Valle di Ledro. Anche sostando lungo il marciapiede, al di là della ringhiera che ne delimita il cortile, è facile coglierne il contenuto: "Cappellificio Bernardino Fedrigotti e Figlio".
Resta racchiusa in queste poche parole, la storia di una lunga tradizione, che per secoli aveva reso celebre questo angolo della Riserva di Biosfera UNESCO Alpi Ledrensi e Judicaria: la fabbricazione dei cappelli di lana!
La lana di pecora, opportunamente cardata e lavorata, veniva trasformata in feltro resistente e impermeabile, con cui gli abitanti di Ledro realizzavano cappelli tanto apprezzati per la durevolezza e il prezzo contenuto. Le statistiche di inizi Ottocento, suggeriscono che fossero veramente pochi i Ledrensi che sceglievano di non cimentarsi in questa attività: nel 1834, a fronte di una popolazione di 4708 abitanti, le pecore (da cui proveniva la materia prima) erano ben 9290[1]!
Difficile conoscere le origini dell'industria dei cappelli…le prime testimonianze certe risalgono al XVI secolo, quando il curato Bernardino Degara spediva da Lenzumo cappelli a Venezia, dove un secondo Ledrense si era da poco stabilito [2]. A quel tempo, la produzione di cappelli doveva rappresentare un'occupazione prettamente casalinga, limitata ai mesi dell'anno in cui le famiglie non erano impegnate con la campagna. Nel XIX secolo però, qualcuno decise di trasformare un'attività temporanea in una vera e propria fonte di sostentamento per tutto l'anno. È il caso del cappellificio di Angelo Piva, a Molina di Ledro, che supportato dalle fabbriche di Legos e Mezzolago, riusciva a commerciare in tutto il Trentino, nel Bresciano e persino a Monza e Cremona.
Fu però Tiarno di Sotto il paese che più si specializzò nel settore della produzione di cappelli e che per più a lungo mantenne viva la tradizione. Solo qui infatti sorsero 3 piccoli laboratori (Fedrigotti, Giacometti e Risatti) che, sul finire dell'Ottocento, si attrezzarono con macchinari adatti anche alla produzione di pantofole e tomaie: nel 1890 erano 63.000 i cappelli prodotti, a partire da 94 quintali di lana [3].
Con il 1900, la crisi cominciò a serpeggiare nel settore produttivo, sia per l'imposizione di dazi che ne penalizzavano l'esportazione, sia per la loro pesantezza (1 cappello arrivava a pesare ½ chilo!). Solo la fabbrica Fedrigotti sopravvisse fino al Primo Dopoguerra (1930), quando anch'essa dovette arrendersi ai mutamenti della società moderna. A ricordo di quel glorioso passato non ci resta che qualcuno degli strumenti allora impiegati e quella scritta scarlatta su una parete malandata dal tempo.
[1] A. Scopoli (1835). Descrizione topografico-statistica della Valle di Ledro. A cura di Carlo e Paolo Cis. p.31
[2] A. Foletto (1901). La Valle di Ledro. Cenni geografici, statistici e storici. p. 52-54
[3] E. Cigalotti (1973). Attraverso la Val di Ledro. p.194-195