Regolamento del Parco (PDF - 202Kb)
Con il nome di Spina Verde si indica la dorsale collinare che si
estende a nord-ovest di Como, a cavallo del confine italo-svizzero,
comprendendo le alture del Sasso di Cavallasca (618 m) - la cima più
alta - del Monte Croce (550 m) del Monte Caprino (487 m) e del Monte
Baradello (432 m), su cui svetta la torre dell'omonimo castello,
simbolo della città di Como e della Spina Verde.
Data la
particolare configurazione dell'area che, come una spina, si insinua
fra la città di Como e le espansioni suburbane in direzione sud-ovest,
il Parco presenta la naturale vocazione di polmone verde della città.
L'ossatura dei rilievi collinari della Spina Verde è costituita da rocce sedimentarie, risalenti al Terziario, e in particolare all'Oligo-Miocene (30-25 milioni di anni), caratterizzate in prevalenza da conglomerati che si alternano in modo irregolare ad arenarie e marne. Questi litotipi, che la letteratura geologica raggruppa nella formazione della Gonfolite, derivano dall'accumulo dei materiali trasportati dal paleo-Adda, un grande fiume che scorreva lungo una valle corrispondente all'attuale ramo di Como del Lario e si gettava con un ampio delta nel mare padano. Durante il Quaternario, le grandi colate glaciali che a più riprese scendevano dalle Alpi hanno modellato il nostro territorio con intensi fenomeni di abrasione ed escavazione, trasportando a valle cumuli di detriti rocciosi derivati da tali processi. Al ritiro dei ghiacci, i materiali trasportati sono stati abbandonati dando così origine ai depositi morenici - una mescolanza caotica di grossi blocchi, ghiaie, sabbie e limo - o a singoli massi erratici, i cosiddetti "trovanti".
Numerose sono le sorgenti, individuabili da piccole zone umide o dall'origine di corsi d'acqua, che presentano generalmente regime stagionale e portata variabile. Ad alcune di queste, la tradizione popolare nei secoli ha attribuito proprietà terapeutiche. Nella parte sud occidentale della Spina Verde sono presenti le sorgenti del Seveso e di affluenti dei torrenti Faloppia e Lura.
Il tipo di rocce presenti, il grado di pendenza dei versanti e la loro
diversa esposizione - ovvero le diverse caratteristiche geografiche ed
ecologiche - fanno sì che la vegetazione della Spina Verde non sia
omogenea. I versanti esposti a nord che guardano verso la città
mostrano delle pareti piuttosto ripide; originariamente presentano un
bosco mesofilo - che esige cioè ambienti non troppo caldi -
caratterizzato da latifoglie quali la farnia, il carpino bianco, il
tiglio, gli aceri.
I versanti rivolti a sud presentano invece dolci
declivi ben esposti al sole, in condizioni di terreno più arido e di
microclima più caldo; qui il bosco originale è di tipo xerotermofilo -
ovvero adattato ad ambienti caldi e secchi - nel quale le specie
dominanti sono la roverella, la rovere, l'orniello, il carpino nero e
il pino silvestre. Quando la pendenza si fa tale da impedire la
sopravvivenza di piante a portamento arboreo - ad esempio lungo la
mulattiera che si snoda sul versante meridionale del Sasso di
Cavallasca - si possono trovare specie vegetali adattate all'ambiente
rupicolo arido ed assolato, quali piante grasse come i semprevivi e i
sedi.
Ma la vegetazione originaria ha subito nei secoli l'intenso impatto
antropico; la situazione attuale è dunque il risultato dell'intervento
dell'uomo che, a partire dal periodo romano, ha modificato i boschi
originali con l'introduzione di nuove specie, gli incendi, il
diboscamento, il terrazzamento dei versanti per ottenere aree
all'agricoltura, all'allevamento e all'edilizia.
Attualmente i boschi di castagno sono le formazioni floristicamente più
ricche della Spina Verde, ben rappresentati soprattutto nella parte
occidentale del Parco. Questa essenza fu introdotta dall'uomo per il
valore economico dei suoi frutti e del suo legno. Si incontrano boschi
di castagno ad alto fusto e ceduo, forma tipica di governo forestale
per una crescita più veloce. Accompagnano il castagno specie originarie
quali la farnia, la betulla e, come dominante nel settore occidentale,
il pino silvestre. Nella parte orientale invece esistono tratti di
bosco che risultano composti prevalentemente o unicamente da robinia,
essenza invasiva originaria dell'America settentrionale e introdotta
nelle nostre zone nel sec. XVII.
l ripetersi di incendi e tagli ha causato in alcune zone l'instaurarsi
di vegetazioni arbustive di sostituzione di formazioni forestali, quali
i cespuglieti e le brughiere caratterizzate da nocciolo e buddleja
oppure da brugo, ginestra dei carbonai e ginestra spinosa.
Anche le praterie sono il risultato di una modificazione del territorio
da parte dell'uomo, che le manteneva come pascoli per il bestiame o
come prati da sfalcio, periodicamente tagliati e concimati. Attualmente
questo utilizzo è molto limitato e le praterie abbandonate sono
caratterizzate da una copertura vegetale sottile e fragile, esposta
all'erosione e destinata ad un impoverimento progressivo.
Per quanto riguarda la componente faunistica, nei boschi della Spina Verde si possono ancora trovare alcune specie di Mammiferi, tra cui varie arvicole, lo scoiattolo comune, il ghiro, la lepre comune, la volpe e la faina. Sono presenti anche molte specie di uccelli, sia stanziali che migratori, come il picchio rosso maggiore, il picchio verde, il picchio muratore, l'allodola, il pettirosso, lo scricciolo, l'usignolo, il merlo, il fringuello, la cinciarella, la cinciallegra, la capinera, il luì piccolo, il nibbio bruno, rapace diurno che è solito sorvolare e stazionare sui dirupi del Monte Croce e la civetta, rapace a vita notturna. Non mancano Rettili come la lucertola, il biacco, il colubro di Esculapio, l'orbettino e qualche vipera. Negli ambienti umidi presso i ruscelli e le piccole raccolte d'acqua, si possono trovare anche varie specie di Anfibi, tra cui le rane rosse, il rospo, la salamandra.
Il Castello Baradello sorge sul colle che domina la convalle, quasi una
sentinella di pietra a difesa della città e del Parco. Per questo
motivo la sua immagine è stata scelta a simbolo del Parco Spina Verde.
La zona dove sorge il castello fu fortificata fin dagli albori della
storia: molto probabilmente qui sorgeva una fortificazione molto
importante nel cosiddetto "Limes prealpino", rete di torri di vedetta
del tardo impero romano contro le invasioni retiche. Più tardi ci sono
riferimenti documentali al periodo della "Guerra dei dieci anni" tra
Como e Milano (1118-1127), quando la fortificazione fu il punto
riferimento dei comaschi nella contesa contro le truppe milanesi. La
sconfitta dei comaschi ebbe come conseguenza la distruzione della città
e delle relative fortificazioni, compreso il castello. La base della
costruzione attuale si deve al Barbarossa che, a seguito della vittoria
su Milano e la relativa pace del 1158, ordinò la ricostruzione di Como
e la formazione del Castello, sui resti dei più antichi insediamenti.
Nel periodo di transizione da Comuni a Signorie, nell'ambito della
contese tra le famiglie Torriani, Rusconi e Visconti il castello fu
centro di interessi e contese, che si inserivano nella più generale
lotta tra Como e Milano. Basti ricordare il cruento episodio della
morte di Napo Torriani, che, sconfitto a Desio nel 1277
dall'Arcivescovo Ottone Visconti, venne tenuto prigioniero per 19 mesi
in una gabbia appesa all'esterno della torre.
Il castello venne poi utilizzato in modo abbastanza discontinuo fino
alla demolizione ordinata nel 1527 dai dominatori spagnoli, che, in
rotta, intendevano impedirne l'utilizzo da parte degli Austriaci.
Ai primi del novecento si iniziarono i lavori di recupero promossi da
un comitato di cittadini appositamente costituito e nel 1927 il
castello fu donato al Comune di Como. Ai nostri giorni i volontari del
"Club Baradel" si rendono disponibili per consentire la visita alla
Torre ed il castello è ridiventato il simbolo della città mentre i
quartieri rivivono in forma allegorica, la guerra civile e le battaglie
intestine con il Palio del Baradello.