Tappa centrale, impegnativa sia in termini di lunghezza che di dislivello.
Anche da un punto di vista ambientale risulta la tappa più ricca, presentando scorci rupestri, vegetazione mediterranea e paesaggi carsici.
Se necessario, è consigliabile l'interruzione a metà tappa (Borgo Rivola, in ostello oppure in agriturismi) e il proseguimento l'indomani fino al Rifugio Cà Carnè.
Tappa 2: La Via del Gesso
Con percorso diverso ma parallelo a quello della tappa 1 (questa volta si percorre il sentiero che costeggia il fiume) si torna a Borgo Tossignano e si sale a Tossignano Alta per scorciatoie fiorite che tagliano i tornanti dell'asfaltata. Dalla piazzetta si consiglia si prendere a sinistra le scalette che salgono alla chiesa (moderna, ma con Madonna su tavola a fondo oro di scuola bolognese del '300 e una Pietà in terracotta di un secolo dopo) e ad un giardino a conifere anni Sessanta: si può così vedere la Via Crucis di Angelo Biancini (1911-1988), scultore e ceramista di Castelbolognese, insegnante di plastica all'Istituto di Ceramica di Faenza, città nella quale ebbe anche il laboratorio. Di questa via Crucis esistono più versioni, che differiscono per rivestimento e cromatismo: quella della chiesa di san Giovanni Evangelista a Imola è in terracotta patinata e risale al 1951-52, mentre quella in Sant'Ippolito a Faenza è in maiolica di un delicato color sabbia.
Ci si può affacciare verso la panoramica Riva di San Biagio con, in evidenza, i massicci strati del versante sud (se ne vedono distintamente, per quanto resi discontinui da faglie, da 5 a 8; la serie stratigrafica completa sarebbe di 16), ripidissimi, anzi precipiti, pressoché nudi, giusto con sottili strisce di vegetazione erbacea o arbustiva corrispondenti agli interstrati di argilla; la forra del rio Sgarba ci separa da essa, ma, sfiorati i ruderi della rocca distrutta nel 1537 da Paolo III Farnese e tornati al sentiero Cai 705, la si raggiunge dopo una piacevole discesa fra boschetti di robinia (la popolare "acacia"), sambuco e ailanto ("e' nusò", il nocione, anche se con il noce c'è solo una vaga somiglianza morfologica ma nessuna parentela biologica) e bordi di vigneti.
Scavalcata su passerella la forra del Rio Sgarba (il Tramosasso, segnato sulla carta con il simbolo di grotta e in effetti con diversi tratti semi-sotterranei ad anfratti più o meno estesi) si inizia a costeggiare il piede della Riva di San Biagio. Solo dopo mezz'oretta di salita si piega più decisamente a sinistra (è l'unico sentiero segnato ma bisogna fare attenzione perché un'altra traccia, larga, non segnata, prosegue ai piedi delle rupi: raggiungerà ugualmente Ca' Budrio raccordandosi con il nostro, con percorso però meno spettacolare) per affrontare l'erta «direttissima» che con tratti tagliati nel gesso vivo e i primi scorci di "gariga" sale al Passo della Prè (384 m). Qui comincia (destra) il su e giù per cresta panoramica, oltrepassando Monte del Casino (474 m) che è il più alto di una serie di gobbe dopo le quali scendiamo alla sella di Ca' Budrio (454 m; rifugio).
Da qui il sentiero riparte esattamente verso est, oppure verso nord sulla strada bianca di accesso alla casa. Tagliando in diagonale fra i due si scende - ed è una deviazione assai consigliabile - ad un praterello fra due doline: qui si arriverebbe anche dalla strada con giro un po' più largo e passando proprio da quel curioso passaggio fra due massi di gesso che ci sta davanti. Alla nostra destra una barriera di biancospini, prugnoli e vitalbe nasconde l'accesso alla dolina dell'Abisso "Antonio Lusa" (segnato sulla carta) con maestoso sottoroccia cupoliforme e secolare edera; in caso di terreno fangoso è meglio affacciarsi ma non scendere, sia per il forte rischio di scivolare, sia per non calpestare rovinosamente il sottobosco).
Ora bisogna rimontare - attenzione se il fondo è bagnato - faticosamente ancora in cresta, sempre con il sentiero 705 che scavalca alcuni dossi «a promontorio» dove si vede bene la morfologia della Vena a declivi boscosi debolmente inclinati sul lato nord e pareti di roccia ripide e stratificate, talora verticali, su quello opposto. Sulla "gariga" di cresta, ben visibili anche dal sentiero, cominciano qui a comparire le prime piante di terebinto (Pistacia terebinthus), una sorta di pistacchio selvatico, schiettamente mediterraneo, che costituisce uno degli elementi più peculiari e rappresentativi della flora della Vena, differenziandone ad esempio in senso termofilo i boschi di roverella.
Nella discesa verso il ripetitore di Sasso Letroso compaiono anche le "bolle di scollamento", bizzarre forme di carsismo superficiale dovute al distacco localizzato della "prima pelle" gessosa e conseguente rigonfiamento di piccole cavità.
Alla chiesa di Sasso Letroso si piega verso la strada, che va seguita in discesa sfiorando la dolina di Sassatello e arrivando a Borgo Rivola (fontana, bar, ostello presso la ex Casa Cantoniera); se si è stanchi, considerando che siamo solo a metà percorso per questo tratto, è molto meglio, per non dire indispensabile, fermarsi; il rischio di annoiarsi è scongiurato dalla possibilità di visita alla Grotta del Re Tiberio e dal Museo delle Grotte Gessose che si trova proprio dentro l'edificio ove c'è anche l'ostello.
Chi prosegue deve scendere sulla ex statale dal bar per 50 metri: la prima deviazione segnata a destra è quella buona e porta alla passerella sul Senio (95 m, punto più basso di tutta la Vena) dopodiché c'è 1 km e mezzo di inevitabile asfalto fino al borgo di Crivellari, dove ci si infila fra le case, quasi tutte restaurate, trovando il sentiero 511 che sale ripido fino al crinale presso Monte della Volpe (494 m). Ora comincia il tratto più bello, panoramico e movimentato fin oltre Monte Mauro, sempre con le falesie rocciose punteggiate di lecci - le macchie scure - e terebinti alla nostra destra. Scendiamo alla sella di Ca' Faggia, poi risaliamo nel rimboschimento di conifere deviando a destra (occhio ai segnavia) per seguire ancora la cresta, bellissima, giungendo infine a Capanno Cavara (privato e chiuso, utili però eventualmente i tavoli all'aperto), alla bocchetta di Ca' Monti e infine alla Grotta di Monte Mauro e alla soprastante pieve, di origine molto antica (forse VI-VII sec.), ricostruita una ventina d'anni orsono. Ripreso il sentiero di crinale si arriva alla selletta ove i segnavia cominciano a tagliare il versante sud: si può così evitare la cima (o meglio: la salita ad essa è consigliabile per il panorama a 360°, ma nel caso bisogna comunque tornare indietro alla sella) per doppiare anche la cima orientale e arrivare (tratti ripidi in discesa) all'inconfondibile voltata dove ci si addentra nel bosco del versante nord (querce, ornielli, carpini e aceri); un sentiero finale scende dritto a Cassano, sulla via Cò di Sasso all'incrocio con via Monte Mauro. Ora tocca seguire quest'ultima, su asfalto, e arrivati alla provinciale di fondovalle si va a sinistra fin poco dopo via Torre Mironi per voltare sul viottolo segnato ancora 511. Questo sale per campi fino alla chiesa di Vespignano, da cui a sinistra per un km immettendosi sulla via Castelnuovo che va seguita fino a trovare (attenzione) sulla destra, nel bosco di roverella e carpino nero, i segnavia che portano per sentiero assai bello fino all'ex Parco Carnè, oggi centro-visite del Parco regionale. L'ingresso all'area protetta è tramite un vecchio cancello dopo il quale si va a destra raggiungendo in breve il rifugio (375 m).