La foresta di S.Antonio non ha una storia ben definita alla quale si
può fare riferimento in modo esclusivo. Una prima porzione di terreni,
fra quelli che oggi ne fanno parte, insieme ai terreni della foresta di
Vallombrosa furono donati, intorno all'anno 1000, da famiglie nobili,
fra cui i conti Guidi, gli Adimari e dal monastero di S.Ilario a Fiano
(S.Ellero, Reggello), ai monaci di Vallombrosa. Questi, con Giovanni
Gualberto, fondarono a Vallombrosa nel 1039 l'ordine monastico dei
monaci benedettini. Pertanto le vicende selvicolturali e storiche di
questa foresta hanno seguito quelle del complesso più ampio a cui
apparteneva: la foresta di Vallombrosa, gestita dai monaci. Questi
terreni complessivamente erano composti da "cerri ed altri alberi" e di
"terre faggiate" come si può dedurre dall'atto di donazione fatto dalla
badessa di S.Ilario ai monaci vallombrosani.
Nel 1586 fu
realizzato, proprio dai monaci, un primo catasto forestale dal quale si
possono ricavare informazioni più precise su quella parte di terreni
che andranno in seguito a formare la foresta di "S.Antonio". I querceti
sono descritti come formazioni miste di cerro e roverella insieme a
castagni, frassini e carpini e nelle zone più alte il faggio.
Sicuramente la diffusione del castagno era notevole, data la sua
importanza per l'alimentazione umana e gli animali; il suo governo a
ceduo garantiva inoltre la paleria per il sostegno delle viti. Il
faggio, sopra i 1000 metri, formava faggete pure, presumibilmente non
così dense ed uniformi come le attuali, considerato l'intenso
allevamento di bestiame di quel tempo e la necessità di poter disporre
di ampie radure per la coltivazione di patate, segale e grano.
L'abete non aveva una grande espansione, ma quando nella seconda metà
del 600 questo legname divento oggetto di un importante commercio, i
monaci iniziarono ad estenderne la coltivazione, soprattutto nella zona
a nord della foresta di Vallombrosa.
La sezione di S.Antonio, dove predominavano le latifoglie, fu
trascurata e i boschi di faggio dimenticati probabilmente anche per la
proibizione del granduca di Toscana di "tagliare nel miglio dentro il
crine dei monti". Quando nel 1789 il granduca ordina il censimento di
tutti i beni di proprietà dei conventi, quelli forestali di proprietà
dell'abbazia di Vallombrosa, compreso il luogo detto le Balze di
S.Antonio, di circa 198 ha, assommavano a 840 ettari, con la seguente
tipologia:
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Nel 1860 la Toscana è annessa al Regno di Sardegna e con l'applicazione
delle leggi sabaude le proprietà dei monaci vallombrosani, compresa la
foresta, vengono trasferite alla Direzione Generale del Demanio con la
creazione dei primi demani forestali, dichiarati poi inalienabili. Sono
di questo periodo gli interventi di miglioramento che favorirono le
fustaie di abete bianco e contemporaneamente l'introduzione dell'abete
rosso, del larice, del pino silvestre e laricio. La prima e la seconda guerra mondiale, con la forte richiesta di legname, furono la causa dei continui tagli a raso realizzati nella foresta che interessarono soprattutto le abetine, ma anche le faggete ed i castagneti. Dopo le distruzioni causate dalle guerre, negli anni 43/44 due violenti incendi distrussero quasi completamente 154 ha di boschi di cedui di faggio della sezione di S.Antonio. I successivi rimboschimenti favorirono l'aumento di boschi artificiali di conifere a scapito delle formazioni autoctone di latifoglie. In questa situazione colturale la foresta di S.Antonio si è distinta maggiormente per aver mantenuto una selvicoltura più naturalistica, formata da circa 198 ettari di cedui di faggio, facenti parte dell'antica proprietà demaniale, piu 770 ettari di altri boschi cedui e cespugliati acquistati dallo stato negli anni 60, per un totale di 975 ha. Nel 1975 l'intera foresta di S.Antonio, di ha 1059.25.34 viene consegnata dallo Stato alla Regione Toscana, separandosi definitivamente da quella di Vallombrosa e diventando foresta demaniale regionale. Nel 1977 viene nuovamente trasferita alla Comunità Montana Pratomagno, ente locale, con compiti di valorizzazione e gestione del patrimonio demaniale regionale. |
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