Le piene che si sono susseguite negli anni '90 hanno profondamente modificato l'assetto morfologico dello Stura di Lanzo. Anche l'area della foresta fossile ha subito rilevanti modifiche. Dopo un periodo di "tranquillità" (magra), caratterizzato da scarsità di reperti osservabili (in riva destra soprattutto, a valle di Grange di Nole), la catastrofica piena del 2000 e i successivi interventi di escavazione nel letto del torrente hanno portato alla luce a centro alveo, ancora a valle della borgata Grange di Nole, numerosi tronchi e ceppi, alcuni di ragguardevole dimensione e impatto visivo. Ceppi e tronchi che hanno attirato l'occhio dei passanti, esperti e non. La voce si è diffusa nel circondario e la foresta fossile pliocenica dello Stura di Lanzo, dopo il lungo periodo di oblio, è tornata a far parlare di sé. La rinnovata "celebrità" ha, tra l'altro, posto in modo pressante il problema della tutela e della valorizzazione, intesa ovviamente come utilizzo a fini divulgativi e didattici. Contemporaneamente, l'esumazione di numerosi e significativi reperti ha fornito lo spunto per proseguire in modo più approfondito e sistematico l'attività di studio e ricerca.
Attualmente parte dei reperti più appariscenti non è più visibile perché asportato dalle piene successive.
Risalendo verso i Comuni di Grange di Nole e di Villanova, all'interno dell'Area di Salvaguardia della Stura di Lanzo, ci addentriamo in quello che rimane dell'antico bosco planiziale ripariale che un tempo affiancava il corso del fiume. Le numerose zone umide presenti nell'area sono costituite da risorgenze di acqua limpida e pulita lungo gli alvei abbandonati del torrente. In tali ambienti si conservano interessanti ecosistemi, caratterizzati da piante palustri quali: Carex, Cyperus, Heleocaris, Typha, Potamogeton e il crescione Nasturtium officinale.
E' notevole la presenza di Matteuccia struthiopteris, una felce poco comune in Piemonte.
Queste acque sorgive costituiscono l'habitat ideale per diverse specie di Pesci, tra i quali la rarissima lampreda padana Lethenteron zanandreai. Tra gli Anfibi e Rettili si segnala la presenza anche di rana temporaria Rana temporaria, del saettone Zamenis longissimus e della natrice tassellata Natrix tassellata. Presente anche il gambero d'acqua dolce Austropotamobius pallipes.
Tra le emergenze naturalistiche più interessanti si riporta la presenza di una delle ultime popolazioni di luccio Esox lucius presenti nel comprensorio e quella della rana di Lessona Pelophylax lessonae.
Noto sin dal medioevo come punto di attraversamento del Torrente mediante dei barconi ancorati ad una fune. Nei primi anni del 1900 venne realizzato un ponte su pilastri in cemento con un impalcato in putrelle di ferro e assi in legno che consentiva il passaggio dei primi mezzi agricoli e greggi.
Il ponte fu a più riprese danneggiato dalle piene della Stura, ma sempre ricostruito fino agli anni '70 (epoca in cui fu realizzato il ponte di Villanova) con passerelle provvisorie "pianche" che consentiva il passaggio della popolazione locale di Grange di Nole per accedere al capoluogo.
(Per ulteriori informazioni consultare l'archivio storico Comunale o Associazione Nost-Pais di Nole).
Sono ancora individuabili le antiche costruzioni rurali realizzate intorno al 1700, tipici raggruppamenti di case contadine chiamate "borgate" che offrono interessanti scorci di architettura e tradizioni locali (forni per il pane, pozzi, cappelle e piloni votivi).
Il vecchio mulino per cereali a tre macine è stato attivo fino agli anni '50 dove la sua pittoresca ruota sfruttava un salto di acqua di circa 5 metri derivante dal Rio Ronello.
Area naturalistica oggetto di un piano di recupero tendente a ricucire le ferite inferte al paesaggio da vecchi scavi abbandonati che ha ricreato grazie alla disponibilità di acqua le condizioni ambientali ottimali per la vegetazione un tempo dominante "ideale laboratorio per attività didattiche e per la fruizione"
L'ambiente attuale
Ai Gorèt anni addietro si era soliti andare per raccogliere i rami flessibili di salice, indispensabili per fabbricare i cesti e quelli robusti di ginepro per poterli trasportare; il bosco ben curato offriva funghi, fiori e frutti del sottobosco.
Più tardi, il progressivo abbassamento dell'alveo dello Stura, alcune opere di escavazione sulle sponde, l'abbandono colturale ed i conseguenti e ripetuti incendi boschivi contribuirono a degradare l'ambiente ripariale, e non solo quello, tanto da precluderne la facile fruizione. Il paesaggio è quello tipico che caratterizza i greti dei torrenti della pianura piemontese. La sponda è costituita da materiali ghiaiosi di grossa pezzatura sui quali nei periodi di secca trova posto la vegetazione ripariale, poi strappata dalle acque torrentizie durante le piene. Anche nelle aree invase dall'acqua solo nei periodi di piena a ridosso delle sponde, la vegetazione ha sviluppo modesto. Essa si concentra nelle porzioni inferiori e più ricche di sabbia fine dove le radici riescono a captare acqua direttamente dal torrente. Prevalgono le forme arbustive del salice da ceste, del salice rosso e di quello bianco, quest'ultimo qua e là anche allo stato arboreo, insieme al pioppo nero e al pioppo bianco.
Molto diffusa è la buddleia, specie originaria della Cina in grado di diffondersi rapidamente sui suoli ciottolosi e poveri fino ad ostacolare la vegetazione locale più tipica. Lungo la sponda, ormai alta in alcuni punti fino a 7 metri, crescono il crescione e la cardamine, che si avvantaggiano dei rari affioramenti della falda.
A maggior distanza dal corso d'acqua l'ambiente è al momento brullo e arido. Si osservano boschi cedui nei quali prevale la robinia, essenza di provenienza americana molto invadente. Il sottobosco è rappresentato quasi soltanto dalla molinia, specie che forma densi cespi erbacei che proteggono le gemme della pianta, poste a livello del terreno, dai frequenti incendi dei quali la graminacea è facile esca.
Dove il sottosuolo diviene sassoso si sviluppa il ginepro, con alcune piante compagne come la rosa canina, l'artemisia, il verbasco, l'imperatoria, mentre ai margini del ceduo sono diffusi fitti cespugli di ligustro.
Le specie amanti dell'acqua
Il bosco ceduo di robinia è interrotto da alcune vasche abbandonate derivanti da attività da cava svolte negli anni '60. Ai margini degli specchi d'acqua, dove la profondità è minore, si sviluppa abbondante vegetazione igrofila, cioè ben adattata all'ambiente acquatico, costituita soprattutto dalle tife, giunchi, carici e salici.
In questa zona si osservano anche piccoli boschetti di ontano nero, specie forestale capace di adattarsi a suoli umidi e asfittici, in genere poco presente allo stato puro.
Appena fuori dall'Area protetta troviamo la Cappella di S. Vito, a circa due chilometri dal centro di Nole, verso il Torrente Stura, in mezzo a campi e boschi. Non si conosce l'epoca precisa in cui fu edificata.
Dai documenti risulta già esistente alla fine del '500, anche se ancora molto piccola. Costruita intorno ad un pilone votivo, come molti altri santuari, fu ampliata progressivamente nei secoli XVII e XVIII. La sua edificazione si deve a "strepitose guarigioni ricevute, tra cui si narra di uno storpio guarito istantaneamente che vi lasciò le grucce"; così ci informa il parroco don Chiaretta (1898). Grande diffusione ebbe il culto a S. Vito nel 1700: testimonianza di ciò sono gli ampliamenti e gli abbellimenti, nonché la costruzione della casa del custode e un documento del prevosto Corio che nel 1771 scrive "ad esso si ricorre da tutto il luogo in tutti i bisogni".
Il santuario è formato da un'unica navata centrale, a cui sono state aggiunte due cappelle laterali (nel 1702 e nel 1711) immediatamente all'ingresso, ed una cappella più grande detta "dei quadri", ove sono custoditi gli ex voto.